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 2025  giugno 01 Domenica calendario

Se staccarsi è impossibile il male dei nostri ragazzi schiavi degli smartphone

A una bambina di 9 anni di Roma è andata anche peggio, rispetto all’adolescente di Torino: «La madre le ha tolto il telefono e lei si è buttata dalla finestra» racconta Stefano Vicari, che dirige la neuropsichiatria infantile al Bambino Gesù di Roma e insegna all’università Cattolica. Le conseguenze non sono state per fortuna fatali, ma la storia del ragazzo ricoverato a Torino in crisi di astinenza da cellulare non stupisce medici e psicologi. «L’aumento dei problemi psichiatrici in adolescenza coincide con la diffusione dei cellulari» riflette il medico romano. «Nel 2010 al Bambino Gesù visitavamo 2-3 bambini a settimana al pronto soccorso con problemi psichiatrici. Alla vigilia della pandemia eravamo saliti a 3 al giorno. Oggi siamo a 5. Nel 2010, e non è un caso, è arrivato il primo cellulare capace di scattare selfie. Nel 2013 i prezzi degli apparecchi sono crollati».
A quegli anni risale anche la nascita di una nuova parola: nomofobia. Era il 2008 e il servizio postale britannico ebbe l’idea di condurre un sondaggio sulla “no mobile phobia”: la fobia di restare senza cellulare. Il 53% degli intervistati rispose che provava ansia quando perdeva o dimenticava a casa il telefono, restava con la batteria scarica, entrava in una zona senza campo o non riceveva chiamate né messaggi per un po’.
Il campione era composto da adulti, a dimostrazione di quanto l’assimilazione dei telefoni alle nostre vite coinvolga ogni età. I 9 miliardi di cellulari sulla Terra superano il numero degli esseri umani. E uno studio del 2014 dell’università di Zurigo su Current Biology dimostrava che i possessori di un touchscreen avessero l’area cerebrale deputata al tatto dei polpastrelli più sviluppata rispetto a chi digitava ancora sulle tastiere.
Tanto è matura questa nostra evoluzione, che secondo alcuni non ha nemmeno senso provare a fermarla. «Privare i ragazzi dei cellulari oggi sarebbe come tentare di fermare il mare che avanza», sostiene Federico Tonioni, psichiatra del Policlinico Gemelli di Roma e fondatore del primo ambulatorio in Italia per la dipendenza da internet (era il 2009, ancora una volta le date ricorrono). «L’astinenza da telefono non esiste. Credo che il ragazzo di Torino abbia avuto una crisi di rabbia nei confronti dei genitori che erano in guerra con il suo telefono. Ma il tempo trascorso dai ragazzi oggi sul cellulare equivale a quello che passavo io facendo finta di studiare, mentre in realtà fantasticavo guardando fuori dalla finestra. Era il mio spazio inviolabile. E il cellulare è lo spazio inviolabile dei ragazzi di oggi. Piegare bambini o ragazzi con la propria forza di adulti genera solo rabbia. Io ho sempre lasciato il telefono alle mie figlie, mi sono fidato. Oggi loro sono felicemente adulte e innamorate».
Una distinzione fra adulti e bambini va comunque mantenuta, avverte Vicari, il cui ultimo libro è proprio “Adolescenti interrotti, intercettare il disagio prima che sia tardi”. «Internet, insieme al motore a scoppio, è una delle invenzioni più importanti dell’umanità, ma non ci sogneremmo mai di affidare un’auto a un bambino. I cellulari espongono i più giovani a pericoli reali, sui quali i genitori devono vigilare. La derisione o l’umiliazione sui social, l’educazione sessuale relegata al porno, la distorsione della realtà operata da internet: bambini e ragazzi sono più vulnerabili rispetto agli adulti. È doveroso proteggerli».
Fra i giovanissimi dipendenti dal cellulare (si stima che in Italia siano quasi 100mila) ascoltati al Bambino Gesù c’è una 14enne che, stupendo i genitori, ha iniziato ad andare a letto tutte le sere alle 8. «Dormiva fino all’una, l’ora in cui arrivavano nuovi video su TikTok» racconta il neuropsichiatra. Una volta ha spiegato a una famiglia che i genitori dovrebbero dare il buon esempio, spegnendo i cellulari alle 9 di sera. «E io che faccio? È stata la reazione della madre». A una 14enne che faticava a svegliarsi per la scuola il medico ha dato un consiglio simile. «Non lo farò mai, mi ha risposto. Poi si è alzata, si è girata e ha lasciato lo studio».