La Lettura, 1 giugno 2025
Il laburismo conservatore
Il futuro della sinistra è a destra? Verrebbe da pensarlo, a giudicare dalle pozioni assunte dal primo ministro britannico Keir Starmer, leader del più grande partito progressista europeo, quello laburista, tornato al potere nel luglio 2024. Una vittoria che alcuni avevano salutato, improvvidamente, come una nuova alba del centrosinistra mondiale ma che, sotto la torsione degli eventi, ha assunto tutt’altra piega.
L’ultima sterzata del premier di Londra, la più eclatante, è avvenuta nelle scorse settimane sul tema dell’immigrazione, dove Starmer ha usato un linguaggio che riecheggiava quello della destra xenofoba: la Gran Bretagna rischia di diventare «un’isola di stranieri», ha detto, una frase che ha ricordato a molti il famigerato discorso sui «fiumi di sangue» pronunciato nel 1968 dall’esponente conservatore Enoch Powell, che venne accusato di razzismo e cacciato per questo dal governo-ombra.
Il leader laburista ha dichiarato fallito «l’esperimento dei confini aperti», che a suo dire ha causato danni «incalcolabili», e ha annunciato una dura stretta sull’immigrazione. Ma non c’è solo questo: Starmer si ammanta di patriottismo a ogni piè sospinto (si «avvolge nella bandiera», come dicono gli inglesi), esalta le forze armate e professa ammirazione per predecessori quali Winston Churchill e Margaret Thatcher, non esattamente campioni di progressismo.
E pensare che il premier britannico aveva iniziato la sua carriera come avvocato dei diritti umani: come è avvenuta questa metamorfosi? Ci sono senza dubbio ragioni elettorali: la destra populista di Nigel Farage, che cavalca il tema dell’immigrazione, ha trionfato alle elezioni amministrative del 1° maggio ed è in testa nei sondaggi a livello nazionale. Quel che è peggio, Farage fa breccia proprio fra quelle classi popolari che costituivano il bacino naturale dei laburisti: da qui la scelta di Starmer e degli strateghi che lo circondano di tagliare l’erba sotto i piedi di Farage e allinearsi a quegli istinti socialmente conservatori che prevalgono nei ceti operai, molto distanti dal sentire delle élite liberali metropolitane che hanno catturato la sinistra negli ultimi decenni.
Ma non ci sono solo calcoli di bottega: Starmer ha argomentato che il controllo dell’immigrazione si allinea con i valori laburisti di giustizia ed equità, perché non è possibile garantire il funzionamento del welfare state e dei suoi obiettivi redistributivi ma allo stesso tempo aprire le porte a chiunque. La tesi è che l’immigrazione incontrollata colpisce i più vulnerabili perché deprime i salari, accresce la pressione sui servizi pubblici e diluisce la solidarietà sociale.
Questa combinazione di orizzonti di sinistra e politiche finora considerate di destra – un laburismo conservatore, se vogliamo – ha in realtà un retroterra teorico molto articolato in Gran Bretagna: è il filone del cosiddetto Blue Labour, il laburismo blu (che è il colore dei conservatori), una prospettiva che è stata definita per la prima volta anni fa da Lord Maurice Glasman, filosofo politico che siede alla Camera Alta per i laburisti e che è il pensatore in questo momento forse più ascoltato a Downing Street.
In maggio Lord Glasman ha presentato pubblicamente il suo manifesto durante un incontro – al quale «la Lettura» ha partecipato – presso il think tank di centrodestra Policy Exchange, una lectio intitolata significativamente «Perché solo il conservatorismo può redimere il socialismo».
Secondo Lord Glasman, che non a caso è stato l’unico esponente laburista britannico invitato all’inaugurazione di Donald Trump lo scorso gennaio, «l’età della restaurazione è il modo migliore per descrivere lo Zeitgeist contemporaneo»: e dunque il suo obiettivo è restaurare quella che considera l’autentica tradizione laburista, riallineandola al sentire e ai bisogni della classe lavoratrice.
Ne conseguono quelli che lui definisce «i paradossi del Blue Labour: il vecchio è il nuovo, la tradizione è la base della modernizzazione, la monarchia è la migliore difesa della democrazia». Si tratta di «un particolare spazio di socialismo conservatore, di marxismo burkeiano, di socialismo monarchico».
La cassetta degli attrezzi ideologica è variegata ed eclettica: da Karl Marx si prende l’analisi del capitalismo, «la cui nozione di alienazione è vitale alla comprensione dell’economia», ma se ne respingono le idee politiche, viste come antesignane degli orrori del comunismo sovietico, la cui condanna da parte di Glasman è senza se senza ma: «La tradizione laburista può essere definita dal suo rigetto del comunismo», afferma.
Le altre fonti teoriche sono l’etica della virtù aristotelica, con il suo concetto di «bene comune», e la dottrina sociale cattolica, basata sulla dignità del lavoro. Ma il tutto viene riportato alla Bibbia e alla nozione che la natura umana è sacra e non è solo una risorsa per l’accumulazione di potere o denaro.
Ne conseguono quelle che Glasman enuncia come «le verità»: e cioè che «gli esseri umani non sono commodity, ma creature sociali che cercano connessioni e significato. Neppure la natura è una commodity, ma un’eredità sacra. La leadership e partecipazione della classe lavoratrice è centrale per la democrazia, che è essenziale per resistere al dominio dei ricchi. La democrazia locale è vitale così come le forme di democrazia economica, che possono tenere a freno le forze di mercato».
Per Glasman ogni movimento politico deve andare oltre la filosofia razionale e abbracciare il paradosso, per combinare elementi apparentemente contraddittori: «La tradizione laburista – sostiene – è nazionale e internazionale, conservatrice ed egualitaria, cristiana e secolare, repubblicana e monarchica, democratica ed elitaria, radicale e tradizionale, ed è efficace e trasformativa tanto più quanto sfida lo status quo in nome di valori antichi quanto moderni».
Questa tradizione laburista alla quale Glasman si rifà si è anche rivelata storicamente come «il più grande antidoto al fascismo»: i suoi principi pratici sono «più democrazia, dignità del lavoro, obblighi reciproci, deferenza verso le istituzioni, integrità ed efficacia delle forze armate, integrità e fiducia nella polizia, preferenza all’industria rispetto alla finanza, enfasi sulla classe più di altri aspetti dell’identità, rispetto per la famiglia, rispetto per i sindacati, contrattazione collettiva».
Allo stesso tempo, il Lord laburista tesse un elogio del conservatorismo inglese: «La sua forma distintiva – argomenta – è una delle glorie del mondo, prima che fosse catturato dai fanatici thatcheriani del libero mercato. Il suo genio è capire che la tradizione è una condizione della modernizzazione, che la solidarietà è importante, che la società richiede un senso del sacro per prosperare, che la monarchia è più importante del mercato, che il significato conta più della scelta». Purtroppo però «la penetrazione del liberalismo progressista ha eviscerato i conservatori».
È questa la bestia nera dei «laburisti blu», perché nella loro analisi il Labour, a partire da Tony Blair, «ha abbandonato sia socialismo sia conservatorismo per abbracciare uno pseudo-liberalismo che è ostile alla solidarietà». Dunque «ci deve essere un riconoscimento e un pentimento per i peccati del socialismo», perché «il punto di partenza del Blue Labour è proprio che il partito laburista non era un partito liberale».
E dall’altro lato il partito laburista non si è chiamato socialista o socialdemocratico, ma partito del lavoro (labour), il cui legame vitale deve essere ripristinato: «Dobbiamo esplorare le complessità degli orientamenti politici della classe lavoratrice – sostiene Lord Glasman – senza aggettivi peggiorativi, come “estrema destra” o “nativisti”, dobbiamo rapportarci a loro senza preoccupazioni paternalistiche». Perché altrimenti succede quello che è successo a Durham, la città di minatori culla del laburismo, che ha visto il trionfo totale di Farage: «La nostra culla è diventata la nostra tomba», commenta amaro Glasman. Ma resta da vedere se la resurrezione della sinistra può avvenire vestendo i panni della destra.