corriere.it, 30 maggio 2025
Ignazio La Russa: «Tifo Inter fin dai tempi di Angelillo, porto nel cuore Barella e Di Marco. Se vinciamo contro il Psg faccio un fioretto»
Teso? «Sì». Ignazio la Russa, presidente del Senato, fondatore di Fratelli d’Italia, avvocato del Foro di Milano ma con radici ben piantate anche nella sua Sicilia, più precisamente a Catania, racconta il suo tifo nerazzurro alla vigilia della finale di Champions League tra Paris Saint Germain e Inter che si svolgerà domani sera a Monaco di Baviera.
Presidente, partiamo dall’inizio. Perché tifa Inter?
«Tifo Inter da quando vivevo ancora in Sicilia, ero veramente bambino. Era il 1958, l’anno prima Angelillo arrivò all’Inter: non vincemmo il campionato, ma lui in quella stagione segnò 33 gol. Mi innamorai di Angelillo e dell’Inter. Fino ad allora seguivo solo il Catania, ma da lì in poi non c’è stata più storia»
Non è quindi una passione di famiglia?
«No, mio padre non era interista. È stata una scelta tutta mia, non ereditaria come spesso accade. L’impatto con Angelillo mi colpì da subito».
Si ricorda la prima volta a San Siro?
«Sì, dovrebbe essere tra il 1960 e il ’61. Vivevamo già a Milano, studiavo in un collegio all’estero ma tornai per Pasqua. Non ricordo contro chi giocavamo, ma l’impressione che mi fece San Siro fu enorme. Era l’Inter di Helenio Herrera. Da lì in poi diventai ancora più interista».
È quella l’Inter del cuore?
«Senz’altro. Prima avevo ancora un occhio per il Catania, da quel momento in poi l’Inter ha prevalso nettamente su ogni altra simpatia. Era una squadra straordinaria, e quell’impronta non si è mai cancellata».
Domani c’è la finale di Champions, a Monaco. Con che spirito ci arriva?
«Fino a alla partita con la Lazio con lo spirito serenissimo. Ora sono più arrabbiato. Dopo il pareggio con la Lazio, che è stata come una sconfitta, arriviamo a questa finale più nervosi».
Scudetto buttato via?
«Mettiamola così. Se avessimo vinto il campionato, ci saremmo andati con leggerezza. Nel senso “Vinto il campionato, vediamo se riusciamo anche a vincere la Champions”. Invece ora c’è anche la frustrazione per un’occasione buttata».
È ancora arrabbiato per quella partita?
«Eh, come si fa a non esserlo? Al netto delle valutazioni sul Var e sull’arbitro quando sei a meno di dieci minuti alla fine, e sei in vantaggio…, io, col senno di poi, avrei blindato tutto: dentro tutti i difensori, De Vrij, Darmian, Zalewski, chiunque. Ormai in Italia ci siamo disabituati a difendere il risultato negli ultimi minuti. È un errore di tutti, Inter compresa. Ma lì era il momento di chiudersi e portarla a casa. È rimasto il sapore amaro di una vittoria sfumata all’ultimo».
Cosa cambia in vista della finale?
«Arriviamo più appesantiti. Invece che affrontarla da campioni d’Italia con l’idea di completare un capolavoro, ci arriviamo con la pressione di dover per forza riscattare quello scivolone. È un peso in più, anche se la Champions rimane comunque l’obiettivo più importante».
Il giocatore simbolo di questa stagione?
«Posso convenire anche io che sia Lautaro, senza dubbio. È il capitano, il nostro leader, il trascinatore. Però io sono molto affezionato anche a Dimarco e Barella».
E sono italiani.
«Come interismo non sono certo da meno. Rappresentano l’anima nerazzurra. E Dimarco viene addirittura dalla nostra “cantera”».
Ultima domanda: farebbe un fioretto pur di vincere la Champions?
«Guardi, ho già smesso di fumare, e alcol ne bevo poco. Non vorrei rinunciare ad altri vizi... Quindi direi che è meglio non farne».
Per una vittoria in Champions si fa.
«Potrei fare un fioretto in positivo».
Per esempio?
«Se l’Inter vincesse la Champions, alla prima partita in una qualsiasi Coppa europea che farà il Milan – semmai ci tornerà – tiferò Milan. È un’assurdità, lo so. Ma proprio perché è impossibile, vale come promessa».