Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  maggio 30 Venerdì calendario

I confini del potere

Ciò che accade negli Stati Uniti riguarda l’intero Occidente, il futuro della democrazia liberale in America ma anche in Europa. Sono lecite due domande. La prima è di carattere empirico: saranno i fatti a decidere quale sarà il punto di caduta. La seconda domanda è invece di carattere normativo e riguarda il dover essere, il modo in cui si intende la democrazia dei moderni.
La prima domanda è la seguente: è più forte l’aspirante autocrate o sono più forti le istituzioni la cui funzione è di scoraggiare o impedire l’affermazione dell’autocrazia? La seconda domanda è invece di questo tenore: quale deve essere il punto di equilibrio fra la legittima esigenza di un governo eletto di rappresentare la volontà dei propri elettori e di mantenere le promesse ad essi fatte e l’altrettanto legittima esigenza che, in nome della volontà popolare, non si stravolga la trama complessa di cui è fatto un regime democratico moderno? Detta in altri termini: dove va collocato il confine fra democrazia liberale e democrazia illiberale? Donald Trump, applaudito da tanti suoi emuli europei (come Marine Le Pen ed altri) sta tentando di affermare il suo diritto di governare in nome del mandato popolare ricevuto indebolendo o annichilendo tutti i (forti) contropoteri che la Costituzione americana prevede per impedire l’affermazione di tirannie. Era questa la vera preoccupazione dei padri fondatori, dei costituenti di Filadelfia. Pur con tante trasformazioni nel corso della sua storia, l’America è sempre riuscita a tenere a bada l’ animus dominandi, la volontà di potenza dei vari capi politici che si sono succeduti. Ci riuscirà anche questa volta? È plausibile ritenere che Trump di danni alla democrazia americana ne farà. Ma saranno danni tali da cambiare la natura del patto costituzionale su cui l’America si è fin qui retta? Non lo sappiamo naturalmente. Sappiamo però che la capacità di resistenza delle istituzioni e della società americana resta assai forte. Come mostra, da ultimo – e in modo clamoroso – la sentenza che nega a Trump il potere di imporre dazi senza l’autorizzazione del Congresso. Il problema fattuale (l’aspirante autocrate è il più forte?) si intreccia con il problema normativo (devono esserci limiti, e quali e quanti, alla capacità discrezionale del titolare del potere rappresentativo?). È una questione antichissima: molto spesso le tirannie (si pensi ai tiranni della Grecia antica) governano appellandosi al popolo, alla volontà popolare, aizzando il popolo contro l’aristocrazia. Trump, come certi suoi emuli europei, chiama il popolo a ribellarsi contro le élite, colpevoli di avere calpestato o ignorato la volontà popolare. L’operazione può avere successo. Nel senso che la tendenza illiberale può consolidarsi. Ma può anche accadere che, messe sulla difensiva dal potenziale autocrate, le suddette élite prendano atto dei tanti e gravi errori commessi e si rigenerino trovando il modo di tornare in sintonia con gli elettori. Nel caso americano molto dipenderà, plausibilmente, da come si riorganizzerà il Partito democratico (quali nuovi leader emergeranno?) e come ciò si rifletterà nel comportamento dei repubblicani non trumpiani (quelli che oggi subiscono Trump pur non apprezzandolo affatto). Le elezioni di mid-term ci daranno qualche indicazione al riguardo. Si tenga conto inoltre del fatto che la società occidentale del XXI secolo è assai diversa da quella della prima metà del secolo scorso. È una società in cui ci sono diritti sentiti e vissuti come tali da tanti e che è difficile calpestare senza suscitare potenti reazioni. È forse possibile fare una scommessa: le più prestigiose Università americane alla fine vinceranno il braccio di ferro con Trump. Anche perché, nel corso del conflitto, saranno costrette a rivitalizzarsi mettendo fuori gioco quella cultura woke (contro cui Trump si scaglia) e che le stava gravemente danneggiando.
La sentenza sui dazi ci dice un’altra cosa interessante. Era opinione di molti osservatori che mentre Trump avrebbe incontrato forti difficoltà nel suo tentativo di annichilire i checks and balances (il sistema di pesi e contrappesi) su cui si regge la democrazia americana, e dunque non sarebbe riuscito a trasformare quella statunitense in una democrazia illiberale, la sua azione internazionale, invece, non ne sarebbe stata condizionata. Non è così. In un mondo di fortissime interdipendenze anche la politica estera della Presidenza deve sottostare a vincoli interni potenti. I dazi di Trump danneggiano gli altri Paesi ma anche l’economia, e quindi la società, americane. E le istituzioni reagiscono.
Quali conseguenze ha tutto ciò per l’Europa? Una cosa è pressoché certa. Dovesse affermarsi negli Stati Uniti la democrazia illiberale, tanti Paesi europei farebbero la stessa fine. In Europa gli anticorpi sono sempre stati assai più deboli che in America. Non avremmo scampo. Altrimenti, i giochi non si chiuderanno, il futuro europeo resterà aperto. Ciò detto però gli europei non potranno continuare a fingere che nulla sia accaduto o stia accadendo. Non tutto ciò che Trump dice o fa è senza ragioni. Sicuramente con meno violenza verbale e, almeno formalmente, senza trattarci da nemici, anche un presidente diverso da Trump ci presenterebbe il conto. Soprattutto in materia di difesa. Gli elettori americani non hanno comunque più voglia di accollarsi la difesa dell’Europa. E ne hanno il diritto. Trump o non Trump toccherà comunque agli europei tirare fuori i soldi (e, prima ancora, la volontà politica) che servono allo scopo. Toccherà a noi dimostrare che diamo un qualche valore alla difesa di noi stessi e delle nostre democrazie.