repubblica.it, 30 maggio 2025
Di chi è lo Spazio? Inchiesta sul Far West dei cieli
Nello Spazio nessuno può sentirti chiamare un avvocato o un vigile urbano. Perché lo Spazio è il nuovo Far West: un luogo di immense risorse a disposizione del più scaltro, dove già è partita una nuova corsa all’oro (e al platino), una frontiera avventurosa di rivalità globali e di regole ancora scritte sulla sabbia, dove la tecnologia corre più veloce del diritto e la posta in gioco è planetaria. E come in ogni buon western, volano pallottole da ogni parte: l’Agenzia spaziale europea (Esa) stima in 1,2 milioni gli oggetti tra 1 e 10 centimetri – frammenti e detriti spaziali prodotti da esplosioni e collisioni – che girano pericolosamente, a velocità vorticose attorno alla Terra, mettendo a rischio satelliti e navicelle. Razzi vengono lanciati da ogni parte del globo – tanto per dare l’idea, anche il Ruanda ha dal 2020 un ambizioso programma spaziale.
Decine di migliaia di satelliti, statali ma soprattutto privati, affollano l’orbita aumentando ogni giorno di più i rischi di collisione. Il turismo spaziale è ormai una realtà – anche se, per ora, riservata alle élite: dalla prima passeggiata spaziale privata (quella del miliardario Jared Isaacman con la missione Polaris Dawn del 12 settembre 2024) siamo ora passati al primo volo spaziale privato tutto al femminile (14 aprile 2025), con le miliardarie Lauren Sánchez (moglie di Jeff Bezos) e la diva pop Katy Perry su un razzo Blue Origin, la compagnia spaziale del boss di Amazon. Al “liberi tutti” degli appetiti privati si somma il tintinnare di sciabole spaziali: secondo l’ex segretario di Stato americano, Antony Blinken, i russi vogliono portare un’arma nucleare nello Spazio, e ultimamente il Pentagono ha annunciato lo sviluppo di un nuovo satellite (il Discriminating Space Sensor) capace di distinguere le testate missilistiche reali da quelle fittizie (usate per confondere i radar) e dai detriti, come parte del progetto “Golden Dome” di difesa del territorio Usa da attacchi russi o cinesi con missili balistici o ipersonici.
L’ultimo trattato: 1967
Tutta questa attività rende ogni giorno più urgente rispondere a domande come: a chi appartiene lo Spazio? Chi può fare cosa sulla Luna o su Marte? Chi è nel torto quando due satelliti si scontrano? A chi chiedere danni se un relitto spaziale – come la sonda sovietica Cosmos 482, lanciata nel 1972 per raggiungere Venere ma rimasta in orbita da allora per un malfunzionamento – precipita sulla Terra e distrugge un palazzo? (Per fortuna alla fine Cosmos 482, il 10 maggio, si è inabissata nell’Oceano Indiano, senza fare danni). In realtà il diritto spaziale esiste. Ma è vecchio, frammentario e spesso ignorato. Perché fanno testo leggi pensate all’epoca del telefono a gettoni, quando i supermilionari con la fregola da Star Trek e i satelliti guidati dall’intelligenza artificiale erano soltanto fantascienza. «L’architrave è il Trattato sullo Spazio extra-atmosferico del 1967, ratificato da oltre 110 Paesi. Vieta la sovranità statale su corpi celesti, proibisce le armi di distruzione di massa nello Spazio, e lo definisce come “provincia dell’umanità”» spiega Claudia Cinelli, docente di Diritto internazionale del dipartimento di Scienze politiche dall’università di Pisa e responsabile del progetto Euspil sulla politica spaziale dell’Unione Europea. «Quel trattato è figlio di un’epoca che non esiste più: venne scritto quando gli attori principali erano gli Stati – al tempo solo Usa e Urss – e l’obiettivo primario era evitare che la Guerra Fredda diventasse una guerra spaziale. Oggi oltre agli Stati ci sono tantissimi attori privati come SpaceX, Blue Origin, Virgin Galactic, Starlink, Kuiper, OneWeb e poi università, startup e consorzi. Sul “chi li regola?” e “con quali norme?” la discussione è in corso».
Per orientarsi in questa nuova frontiera sono infatti nati i primi corsi e master in diritto spaziale, come appunto il progetto Euspil, coordinato da Cinelli, che esplora le molte – e affascinanti – “zone grigie” della giurisprudenza extraterrestre. E dunque: di chi è veramente lo Spazio? Importante saperlo per via delle risorse spaziali che fanno gola a tanti. Metalli rari, acqua ghiacciata, elio-3... «La Nasa nel 2023 ha lanciato una sonda che nel 2029 toccherà l’asteroide Psyche, composto al 95 per cento di metalli rari. Anche altri Stati e privati, come Musk o la società AstroForge, hanno piani per attingere a queste risorse, e ad oggi non è chiaro quale regime giuridico si applicherà» spiega Cinelli. «Il Trattato sullo Spazio extra-atmosferico non prevede una condizione giuridica per le risorse spaziali. Il successivo Accordo sulla Luna (del 1979) chiedeva di considerare sia i corpi celesti (come la Luna) che le risorse spaziali (l’elio-3 estraibile dalla Luna) come patrimonio comune dell’umanità, e quindi non soggetti ad appropriazione privata. Ma questo accordo ad oggi è stato ratificato soltanto da 17 Stati – peraltro non potenze spaziali – e quindi non è vincolante. La tendenza sembra essere il divieto di appropriazione per il corpo celeste – nessuno potrà dire “Marte è mio”, insomma – ma con la libertà di appropriarsi invece delle risorse che si estraggono da esso. Sia per gli Stati che per – come già previsto dal 2015 da una legge statunitense – per i privati».
Chi trova l’acqua comanda
Quando si parla di estrazione spaziale, l’immaginazione corre subito all’oro e al platino. Ma, per ora, la risorsa più ambita è molto più modesta: l’acqua. Non perché valga miliardi sulla Terra, ma perché essenziale per vivere e viaggiare nello Spazio: «L’acqua è la nuova benzina» ci spiega Michelle Hanlon, direttrice del centro di Diritto spaziale all’università del Mississippi. «Da essa ricaviamo idrogeno e ossigeno, utili per respirare e per alimentare i motori a razzo. Chi controlla l’acqua lunare controllerà la capacità di andare oltre la Luna». Le missioni future, da Artemis III alla cinese Chang’e, puntano tutte al Polo Sud lunare, dove si sospetta la presenza di ghiaccio nel sottosuolo. Ecco perché serve chiarezza. Chi potrà trivellare? Con quale autorizzazione? Con quale beneficio per gli altri Paesi? Un possibile modello è quello dei fondali marini internazionali: sono patrimonio comune dell’umanità e nessuno Stato può rivendicarne la sovranità o chiedere diritti esclusivi. L’Autorità internazionale dei fondali marini rilascia concessioni di esplorazione e sfruttamento e stabilisce criteri di condivisione equa dei benefici tra gli Stati. Però, come in ogni Far West che si rispetti, c’è chi dice no.«In realtà potrebbe essere possibile rivendicare la proprietà di un pezzo di Luna o di Marte: l’articolo 3 del Trattato del ‘67 dice che nello Spazio il diritto internazionale si applica, e la Dichiarazione universale dei Diritti umani, all’articolo 17, afferma che ogni essere umano ha il diritto di possedere proprietà. Non credo che, andando nello Spazio, possiamo perdere questo diritto così basilare» spiega Hanlon. «Nessuno ha ancora promosso seriamente questo pensiero, oltre agli accademici, ma è una questione che in futuro, realisticamente, dovremo affrontare».
Prigionieri sulla Terra
Sempre ammesso che riusciremo ad allontanarci dalla Terra. Perché il rischio di rimanere prigionieri del nostro stesso pianeta è concreto, a causa dell’aumento esponenziale dei detriti spaziali. «Tracciamo oltre 40 mila oggetti superiori ai 10 cm, abbastanza grandi da distruggere un satellite o un razzo. Quando uno di questi è in rotta di collisione con un satellite o la Stazione Spaziale Internazionale, si manovra per evitarlo», ci dice Mark Matney, responsabile scientifico dell’Orbital Debris Office della Nasa. «Ma ci sono centinaia di migliaia di frammenti tra 1 e 10 cm, non tracciabili, che possono causare avarie se colpiscono componenti vitali. Anche schegge di pochi millimetri, a quelle velocità, possono essere devastanti». Ogni collisione produce a sua volta nuovi detriti. «Lo scenario peggiore è quello della sindrome di Kessler – dal nome del mio ex capo – in cui ogni scontro genera nuovi frammenti, aumentando la probabilità di ulteriori collisioni. Un effetto domino che potrebbe rendere impossibile superare l’orbita terrestre».Anche l’Esa è sensibile al problema: «Per evitare questi oggetti orbitanti, facciamo in media quattro manovre all’anno per satellite. Se continueremo a utilizzare lo Spazio come facciamo oggi, il numero di oggetti in orbita raddoppierà in meno di 50 anni, e anche nel caso teorico che si fermasse oggi tutta l’attività spaziale planetaria, la popolazione di detriti orbitanti continuerebbe a crescere per le collisioni tra tutto ciò che è già lassù» ci spiega Francesca Letizia, ingegnere del dipartimento Space Debris Mitigation dell’Esa. «Le principali cause sono le esplosioni in orbita, soprattutto dei sistemi propulsivi. Possiamo ridurre il rischio con la passivazione, cioè eliminando l’energia residua nei corpi abbandonati. I modelli mostrano che così potremmo dimezzare i detriti in due secoli».
Scontri al vertice
I rottami orbitanti si possono raccogliere, ma il compito degli “spazzini spaziali” è molto complesso e costoso. «Servirebbe un approccio su misura per ogni frammento. Alcuni ruotano e sono difficili da catturare. L’Esa lancerà nel 2028 la missione ClearSpace-1 con una sonda dotata di bracci per rimuovere il satellite Proba-1. Sarebbe la prima missione a eliminare un oggetto non predisposto al recupero (perché lanciato nel 2001, quando non si parlava ancora di bonifica spaziale)», spiega Letizia.Un grande passo avanti sarebbe convincere gli Stati a evitare la distruzione volontaria di satelliti. «Oggi il 50 per cento degli allarmi di collisione che riceviamo deriva dai frammenti causati in due soli eventi: il test antisatellite cinese del 2007 e lo scontro del 2009 tra i satelliti russi Cosmos 2251 e Iridium 33. C’è una petizione attiva, lanciata dagli Usa, per limitare i test di armi antisatellite. Ma è difficile pensare che in questo momento la Cina e la Russia aderiscano».
A complicare tutto, c’è la responsabilità sfuggente degli attori privati: che succede, ad esempio, se un satellite di Musk danneggia la Stazione Spaziale Internazionale? «Per Musk rispondono gli Usa, perché gli attori privati come lui non hanno obblighi dal punto di vista del diritto internazionale dello Spazio» risponde Cinelli. «È lo Stato che ha il dovere di regolamentare e controllare l’attività spaziale delle proprie aziende private». Lo stesso vale per i turisti spaziali che dovessero infortunarsi in volo o in uno degli hotel spaziali previsti. «Il trattato del ’67 prevede un obbligo di soccorso per gli astronauti, ma non definisce chiaramente cosa succede a un turista privato» dice Hanlon. «La responsabilità legale ricadrebbe comunque sullo Stato che ha autorizzato il lancio». Ogni turista cosmico oggi firma una liberatoria simile a quella degli sport estremi. Ma quando gli hotel orbitali saranno abitati da personale civile, nasceranno nuove domande: quale legge si applica a un contratto di lavoro nello Spazio? Tutte questioni che andranno affrontate anche grazie ai nuovi esperti in diritto spaziale grazie a corsi come quello dell’università di Pisa. A breve la fuga dei cervelli potrebbe avere una direzione imprevista e ardita: lo Spazio, ultima frontiera.