il Fatto Quotidiano, 30 maggio 2025
“Con ReArm Europe più emissioni, la Difesa distrugge l’ambiente”
Il riarmo pianificato dalla Nato rischia di aumentare le emissioni di gas serra di quasi 200 milioni di tonnellate l’anno. Non ci sono mai stati tanti conflitti contemporaneamente dalla Seconda guerra mondiale, spiega lo studio del Conflict and Environment Observatory pubblicato in esclusiva sul Guardian, e nel 2023 sono stati spesi circa 2,4 trilioni di dollari in armamenti e tecnologie inquinanti. Bisogna poi considerare i soldi che vengono spostati dalla difesa dell’ambiente a quella militare nonché la serie di conflitti che nasce proprio dalle conseguenze del cambiamento climatico, come in Darfur a causa di siccità e desertificazione o nell’Artico per le fossili e le risorse minerarie critiche a fronte del ritiro dei ghiacciai. Si stima che l’attività militare quotidiana potrebbe essere responsabile di circa il 5,5% delle emissioni globali: se le forze armate mondiali fossero un paese, sarebbero il quarto maggiore e sempre più prolifero emettitore al mondo.
ReArm Europe. I ricercatori hanno concentrato il loro studio sui Paesi Nato perché avevano il maggior numero di dati disponibili. C’è infatti un generale problema di trasparenza. “Le forze armate e i paesi – si legge nel report – non registrano e segnalano sistematicamente le proprie emissioni militari, quindi la quota reale di questa fonte di emissioni rimane poco chiara”. Inoltre, hanno escluso gli Usa perché i livelli di spesa militare sono rimasti elevati e stabili. Il riferimento è dunque l’Ue, con l’impegno della Commissione ad aumentare di 800 miliardi del bilancio militare europeo. “Supponendo che tale importo venga impiegato entro quattro anni – dicono gli studiosi – la spesa militare aumenterà di un punto percentuale del pil”. Le eccezioni alle regole del deficit, poi, porteranno un aumento complessivo dell’1,5% da parte degli Stati membri. “La spesa militare è già passata dall’1,5% nel 2019 al 2% nel 2024. Ora il piano ReArm Europe potrebbe portare a un ulteriore aumento fino al 3,5%”. Lo stesso, immaginano, si verificherà in Regno Unito, Norvegia, Canada e Turchia.
Emissioni a lungo termine. A questo punto, si rivolgono a un altro dato di riferimento “estratto da un recente studio” che “calcola come l’incremento della spesa militare pari a un punto di pil aumenti le emissioni nazionali complessive tra lo 0,9% e il 2,0%”. In pratica, le emissioni annuali totali ammonterebbe a una cifra compresa tra 87 e 194 milioni di tonnellate di Co2 equivalente. Inoltre, un carrarmato non è usa e getta: le piattaforme militari hanno una durata di vita di diversi decenni.
Appalti e tecnologie. Non ci sono, di contro, adeguati progressi tecnologici militari a basse emissioni. “L’attuale spinta agli appalti, unita alla dipendenza da tecnologie più datate e presumibilmente più note e quindi affidabili, vincola le forze armate a equipaggiamenti ad alta intensità di combustibili fossili da utilizzare per decenni a venire” si legge. Un recente rapporto dell’Agenzia europea per la difesa ha rilevato la mancanza di appalti ‘verdi’ standardizzati nelle forze armate dell’Ue, con meno del 40% degli intervistati che ha segnalato l’esistenza di una politica di appalti green. Il materiale è quel che è: le attrezzature sono formate principalmente in grandi quantità di acciaio e alluminio, la cui produzione richiede un’elevata intensità di carbonio; gli eserciti si muovono e per spostarsi usano combustibili fossili come gasolio per i mezzi di terra, cherosene per quelli aerei e marittimi (se non sono alimentati a energia nucleare).
Il danno economico. Infine, va contato l’impatto economico e sociale. “I danni possono essere espressi dal Costo Sociale del Carbonio (Scc), un indicatore monetario per ogni tonnellata aggiuntiva di carbonio emessa. La stima più recente parla di 1.347 dollari per tonnellata di carbonio. Rapido calcolo: il danno climatico collaterale causato dall’aumento della spesa militare della Nato ammonta a 119-264 miliardi di dollari all’anno per i soli 31 paesi che rappresentano il 9% delle emissioni mondiali totali. “Se più Paesi seguissero la tendenza ad aumentare la spesa militare, come è probabile in Asia, il contributo alle emissioni globali potrebbe rendere irraggiungibile anche il raggiungimento dell’obiettivo generale dell’Accordo di Parigi di limitare l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C”.