il Fatto Quotidiano, 30 maggio 2025
Educazione affettiva nelle scuole, per la formazione siamo tra gli ultimi in tutta l’Europa
Secondo un rapporto del Parlamento europeo del 2022, “l’educazione affettiva e sessuale completa è fondamentale per migliorare la salute sessuale e riproduttiva dei giovani, promuovere l’uguaglianza di genere e prevenire la violenza di genere”. L’Italia resta tra gli ultimi paesi dell’Unione europea per questo tipo di formazione, per l’assenza di un curriculum nazionale obbligatorio, con iniziative regionali frammentarie e una preparazione insufficiente dei docenti.
In Europa la formazione sulla sessualità è obbligatoria e integrata nei curriculum da decenni in diversi paesi. In Francia è stata inserita ufficialmente nei programmi scolastici nel 2001, diventando obbligatoria dai 6 anni con almeno tre cicli di lezioni annuali. Il programma ABCD de l’égalité, lanciato nel 2014, ha introdotto attività per educare all’uguaglianza di genere fin dalla scuola materna, anche se la sua estensione nazionale è stata rallentata da difficoltà nella formazione degli insegnanti e nel rapporto con le famiglie, tanto che si è resa necessaria una revisione dal prossimo settembre.
In Germania l’istruzione sessuale è obbligatoria dal 1968, con programmi integrati e trasversali, insegnanti formati e un approccio olistico che include aspetti biologici, emotivi e relazionali. Questa formazione è considerata buona dalla maggior parte degli esperti e si basa su standard europei definiti dall’Oms.
In Spagna l’educazione alla salute sessuale è stata introdotta con una legge del 1990, ma l’applicazione è stata disomogenea. Solo nel 2023 il governo ha approvato una riforma per assicurare che i corsi siano svolti in tutte le fasi educative.
Nel Regno Unito dal 2020 l’educazione affettiva e sessuale è obbligatoria nelle scuole dagli ultimi anni delle elementari, con programmi che coprono salute sessuale, relazioni, consenso e diversità. Scozia, Galles e Irlanda del Nord hanno normative simili da anni.
Un approccio che sembra funzionare: in Estonia dal 1997 è attivo un programma nazionale triennale di formazione sulla sessualità che ha raggiunto 190.000 studenti entro il 2009, con la riduzione del 37% degli aborti, del 55% delle infezioni sessualmente trasmesse e dell’89% delle diagnosi di Hiv tra gli adolescenti.
Ungheria e Polonia rappresentano casi di inversione della rotta. Dal 2021, Budapest ha vietato la formazione completa sulla sessualità nelle scuole, proibendo la discussione di temi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Anche la Polonia negli ultimi anni ha limitato l’istruzione sessuale a contenuti biologici ridotti e ostacolato l’insegnamento di tematiche legate all’identità di genere e all’orientamento sessuale.
In molti altri Stati membri, la formazione è opzionale o inserita solo in materie generiche come biologia o educazione civica, con insegnanti spesso poco preparati e risorse limitate.
Un recente studio dell’Oms Europa (2024) segnala però un aumento del sesso non protetto tra gli adolescenti, con crescita di gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili. Il 44% degli studenti ha partecipato solo a lezioni sporadiche e il 32% a un singolo incontro.
Nei Paesi nordici, nonostante elevati livelli di uguaglianza di genere, si registrano tassi relativamente alti di violenza domestica e femminicidi, fenomeno noto come “paradosso nordico”. Questo si può in parte spiegare con una maggiore consapevolezza e propensione a denunciare la violenza, oltre che con differenze culturali nella gestione del fenomeno.
Secondo dati Eurostat 2019, in Svezia il tasso di femminicidi è 0,49 ogni 100.000 abitanti, in Finlandia 1,07, in Danimarca 0,93 e nei Paesi Bassi 0,48. In Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, i tassi sono inferiori rispetto all’Europa orientale, ma la violenza domestica resta un problema.