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 2025  maggio 29 Giovedì calendario

Criptovalute, fondi oscuri e poche regole: la corsa di Trump è un affare di famiglia

L’anno scorso ospite d’onore fu Donald Trump che, in piena campagna elettorale, alla Bitcoin Conference di Las Vegas celebrò la sua conversione alle criptovalute: da nemico che in passato aveva definito il bitcoin una «truffa, una moneta fatta di thin air» (cioè aria fritta), a condottiero dell’avanzata delle monete digitali. Con l’obiettivo dichiarato di fare degli Usa il gigante mondiale del denaro virtuale (e quello, non dichiarato, di arricchire enormemente la sua famiglia).
Quest’anno, alla conferenza in corso nella sala congressi del casinò Venetian, The Donald, divenuto nel frattempo presidente anche grazie all’appoggio dei tycoon delle tecnologie digitali – da Elon Musk a Peter Thiel – grandi investitori anche nel denaro virtuale, non ci sarà. Non per discrezione (pochi giorni fa ha offerto una cena a 220 investitori che hanno comprato milioni di dollari di $TRUMP, cioè di una memecoin con la sua faccia, suggestiva ma privo di valore) ma perché ha passato il ruolo di star al suo vice, JD Vance: il politico di riferimento della Silicon Valley che ha avuto Thiel come mentore in tutte le fasi della sua carriera e che ieri dal palco ha promesso che le criptovalute miglioreranno la vita degli americani. Sul palco degli oratori anche i figli del leader, Eric e Donald Jr, ai quali lui dice di aver trasferito la guida della Trump Organization.

Il prestito
Per il Financial Times il summit di Las Vegas doveva essere anche l’occasione per il lancio da parte del Trump Media & Technology Group (la controllante di Truth Social, la piattaforma social del presidente) di un prestito di 3 miliardi di dollari coi quali acquistare «criptovalute come il bitcoin». Il quotidiano britannico ha incassato una smentita non del tutto convincente. Vedremo, ma comunque di operazioni miliardarie sulle cripto i Trump ne hanno già avviate più di una.
La materia è complessa anche per gli operatori che a volte rischiano di perdersi nel labirinto dei suoi vari livelli ed è sconcertante per chi, dall’esterno, vede che la stessa realtà viene alternativamente definita (e non solo da Trump) truffaldina o una nuova Eldorado.
L’arcipelago
Proviamo a orientarci con uno schema semplificato disegnando i contorni del variegato arcipelago delle monete digitali, cercando di capire qual è l’utilità potenziale (soprattutto per gli Usa) del denaro virtuale, come si stanno arricchendo i Trump e quali sono le regole di questo nuovo settore.
Dietro l’espressione valute digitali ci sono cose molto diverse. Le cripto nascono nel 2008 col bitcoin: una moneta virtuale ma prodotta in quantità limitate e sotto controllo perché estratta attraverso un lavoro computazionale (detto mining) di difficoltà crescente che costa fatica e assorbe molta energia, poi registrata sulla blockchain (un registro elettronico immodificabile). Da qui il sogno di una moneta con un suo valore ma indipendente da governi e banche centrali. Altre criptovalute, come l’Ether (legata alla blockchain Ethereum), traggono il loro valore non dal mining ma da modi meno impegnativi di produzione e, soprattutto, dal fatto di avere un ruolo privilegiato come mezzo di pagamento di certi servizi. Dunque contorni meno definiti, ma anche queste valute troveranno spazio nella riserva federale che Trump vuole creare. Le memecoin come quelle create da Trump con la sua effige o con quella di Melania, o quella precedente di Musk che pareva un gioco da collezionisti ma è diventato un business, non hanno utilità specifica, né un valore intrinseco. Infine le stablecoin: valute digitali legate a monete reali, soprattutto il dollaro.
L’utilità
Per anni un investimento rischioso, con grandi oscillazioni di valore e denaro anonimo usato spesso dalla criminalità. Ora proprio da Las Vegas parte il tentativo di usare il bitcoin come strumento alternativo alle carte di credito. Ma la funzione principale nella mente dei criptoimprenditori è quella della riserva di valore. Trump ha offerto loro un’autostrada con la riserva federale in cripto. Cosa ci finirà dentro non è chiaro, ma la vera partita futura per le finanze federali si gioca sulle stablecoin: farà guadagnare molto gli emittenti ma potrebbe rilanciare il dollaro (sta perdendo colpi per le mosse sciagurate di Trump, tra dazi e aumento del debito). Gli emittenti dovranno comprare titoli del Tesoro Usa su cui basare le nuove monete. Salirà, così, la domanda di dollari e di Treasury bills, indispensabile per finanziare a tassi accettabili l’enorme debito pubblico Usa, come ha spiegato in dettaglio Federico Fubini nelle sue analisi sulle piattaforme del Corriere.
Favori al presidente
Trump annuncia una nuova età dell’oro ma fin qui si è arricchita soprattutto la sua famiglia: guadagnano coi meme (entità del profitto oscillante col valore del token, ma rendita di centinaia di milioni già incassata come commissione sulle transazioni). Il grosso sta, però, in World Liberty Financial, la società creata 8 mesi fa dalla famiglia Trump (la controlla al 60%) che funziona da marketplace, emittente di cripto e stablecoin: una specie di banca per tutte le attività trumpiane nel settore. Vi possono affluire fondi in modo anonimo da ogni parte del mondo. Per investimento o per ottenere i favori del presidente: denaro invisibile di provenienza spesso sconosciuta. Ma Trump, che respinge le accuse di conflitto d’interessi e violazione della Costituzione (vieta finanziamenti esteri al presidente) sostenendo di aver trasferito le proprietà ai figli (che lui, peraltro, comanda a bacchetta), non si sforza di nascondere gli affari: il solo fondo MGX di Abu Dhabi ha annunciato un investimento di 2 miliardi di dollari nelle cripto dei Trump.
Le regole
I pochi controlli esistenti su questo nuovo settore finanziario volatile, impalpabile, ad alto rischio, sono stati smantellati da Trump appena arrivato alla Casa Bianca. La Sec, il poliziotto della Borsa, che stava indagando su numerose società impegnate in attività sospette o che presentavano agli investitori prospetti non veritieri, ha chiuso tutti i procedimenti appena è arrivato il nuovo capo scelto dal presidente: Paul Atkins, un entusiasta delle cripto.
Nel frattempo il Congresso (controllato dai repubblicani) prepara una legge per il mercato delle stablecoin che diventeranno riserva federale e, quindi, richiederanno un minimo di regolamentazione. Tutte le nazioni vogliono emettere queste monete digitali «garantite», le banche centrali sono al lavoro. Ma Trump, che vuole lanciare le sue stablecoin e ha già un controllo indiretto di parte del mercato attraverso il Tether, oggi nelle mani di Howard Lutnick, il finanziere di Cantor Fitzgerald che lui ha portato nel governo come ministro del Commercio, ha vietato con un suo ordine esecutivo alla Fed di entrare in questo mercato con una sua emissione: meglio evitare il fastidio di un concorrente autorevole. C’è, infine, l’aspetto Ue: l’Unione tarda a far nascere le sue stablecoin: un po’ perché le banche frenano temendo di essere scavalcate, un po’ perché blocca strumenti come il Tether, considerati inaffidabili. Rischia, così, di arrivare tardi e di restare fuori anche dalla parte potenzialmente sana di questo nuovo mercato.