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 2025  maggio 29 Giovedì calendario

Intervista a Giorgio Marchesi

Carriera da eroe romantico, da Una grande famiglia a La sposa, da Braccialetti rossi a Studio Battaglia, per cui ci fu una sollevazione popolare quando, alla fine, Barbora Bobulova sceglieva di restare con il marito e non con lui, l’avvocato gentile amore di una vita. «La sceneggiatrice Lisa Nur Sultan mi disse che sui social venne insultata» spiega Giorgio Marchesi, «le storie raccontate in tv vengono prese seriamente». Questo attore dai lineamenti delicati (che da ragazzo, prima di recitare, ha fatto il commesso in un negozio di scarpe, il cameriere a Londra, lo steward alle fiere) darà il volto al funzionario di polizia Giovanni Buonvino nella nuova serie Il commissario Buonvino – Delitti a Villa Borghese
diretta da Milena Cocozza, dai libri (Marsilio) di Walter Veltroni, in onda la prossima stagione su Rai 1.
Cosa le è piaciuto di questo commissario?
«Che non fosse un maschio alfa e un solista ma un direttore d’orchestra che dà spazio agli altri per risolvere i casi. Buonvino, a dispetto dei tempi, coltiva la gentilezza. La famiglia aveva altri progetti per lui, ma come poliziotto è speciale: prova empatia per la vittima e si mette anche nei panni di chi commette il crimine. Mi diverte che quando sente determinate parole rabbrividisce, per esempio odia il verbo “performare”. Lo capisco».
Veltroni ambienta i gialli in un luogo incantato, Villa Borghese. Vi ha dato consigli?
«Lo abbiamo incontrato prima delle riprese. Ci ha dato diverse idee, su come potesse essere vestito, sulle passioni musicali e sui film: Buonvino non è di Roma, vede la città con gli occhi di un appassionato del cinema. Credo che incuriosirà anche il privato».
Non è proprio un seduttore alla James Bond.
«È un uomo solo, per scelta quasi. A 50 anni trovare una nuova compagna non è semplice. Ha avuto storie ma non va alla ricerca della bionda di 25 anni. Nella sua vita torna Veronica (Serena Iansiti), conosciuta in Accademia».
Sa che il pubblico femminile la adora, ha temuto di restare ingabbiato nel ruolo del romantico?
«Mi sono divertito col melò. E capisco il successo di certi ruoli: le persone si immedesimano».
Sta con sua moglie Simonetta Solder, attrice anche lei, da vent’anni. Il segreto?
«Ci siamo riconosciuti. Dalla prima telefonata, per un lavoro che dovevamo fare, ho sentito qualcosa di familiare. Ma lei è molto più intelligente e molto più elegante di me. Ci sono stati la passione, la lite, la rottura, il ritorno insieme. Abbiamo due figli, come padre sono un po’ old fashion, penso che ai ragazzi si debba anche dire di no».

A 19 anni via di casa, lascia Bergamo. Quando ha deciso di recitare?
«Non avevo le idee chiare. A Londra, dove ero andato a fare il cameriere, vidi uno spettacolo in un pub. Si accese la lampadina. Mi sono iscritto a un corso, ho capitoche grazie ai personaggi nascondevo la timidezza, dimenticavo me stesso. Il mio maestro Roberto Innocente ripeteva: “Se lavori impari”».
A Roma recitava a teatro?
«Un modo per allenarsi, devi essere sempre pronto. Successe con Marco Tullio Giordana, per
Romanzo di una strage. Ero in scena all’Argot, quando venivano i direttori dei casting e i registi chiedevo di non dirmelo. Mi agitavo. Giordana si ricordò dello spettacolo, mi fece tre provini per il ruolo di Freda nel film. Un personaggio negativo, facevo sempre il buono. Un vero regalo».
Che ha imparato all’estero?
«A stare al mondo. Anche dalla vita privata ho imparato, dai miei parenti, diversissimi tra loro, dal mio quartiere popolare e dal liceo borghese. So comunicare con tutti».
I suoi genitori?
«Ho perso mia madre a 18 anni, mio padre è morto un paio di anni fa. Mamma era giocosa, ascoltava la musica, cantava in macchina. Andava al Teatro Donizetti con mia nonna. Papà, invece, non parlava tanto, aveva un’azienda di impianti di riscaldamento. Nella casetta in montagna, tagliava l’erba e la legna, non stava senza fare niente. Non vedevamo il Festival di Sanremo, c’era il tg in sottofondo e criticava tutto. Un giorno guardavamo Happy days e gli strappò un mezzo sorriso: “Questo non è male”. Però mi ha fatto conoscere Eduardo De Filippo e Woody Allen».
Sarà stato fiero di lei.
«Alla fine, credo di sì. Aveva capito che faccio un mestiere che amo».
Che ha pensato delle dichiarazioni del ministro della Cultura Giuli sul cinema?
«Faccio parte di Unita, grandissima risorsa per la nostra categoria, c’è sempre stato il far west, la maternità per un’attrice è complessissima, non abbiamo un welfare che ci protegga. E la cosa più grave è l’immagine che si vuole dare degli attori: tutti privilegiati. Il 99% non lo è, e non lo sono i lavoratori del cinema».