la Repubblica, 29 maggio 2025
L’ambasciata a Mosca avverte “A rischio le nostre aziende”
C’è una ragione se Antonio Tajani è ritornato a contestare il golden power contro Unicredit. Il motivo è contenuto in un documento che il ministro degli Esteri ha ricevuto il 12 aprile. Il titolo dice già molto: “Ruolo sistemico di Unicredit a sostegno delle imprese e del sistema Italia nella Federazione russa e conseguenze di un’eventuale uscita da questo mercato”.
A firmare la relazione è Cecilia Piccioni, l’ambasciatrice italiana a Mosca. Quando scrive alla Farnesina mancano sei giorni al Consiglio dei ministri chiamato a esaminare il Dpcm che fissa i paletti all’Ops lanciata da Unicredit per l’acquisizione di Banco Bpm. Alla fine, il provvedimento passerà in Cdm, ma solo dopo che Tajani, a nome della delegazione di Forza Italia, avrà messo a verbale la sua contrarietà. E qui rispunta la relazione. L’ambasciatrice avverte sui rischi legati all’uscitadella banca dalla Russia. «Ove la presenza di Unicredit nel Paese venisse meno – si legge in un passaggio gravi sarebbero le conseguenze per l’operatività del Sistema Italia nelle sue dimensioni pubblica e privata in primis e degli operatori di Paesi terzi che si avvalgono di questo istituto di credito». A pagare il conto delle prescrizioni sarebbero le 250 imprese italiane che operano nel territorio della Federazione russa e che già devono fare i conti con le sanzioni internazionali. «Il messaggio» dell’obbligo a lasciare il Paese -spiega l’ambasciatrice -sarebbe percepito come un inatteso e incomprensibile abbandono non solo nei confronti della collettività italiana in generale (4.992 italiani), ma soprattutto di chi, operando nel rispetto dei regimi sanzionatori Ue, ha affrontato sensibili difficoltà e gestito le crescenti limitazioni imposte dalla congiuntura internazionale». L’inopportunità di procedere con i poteri speciali, e quindi evitare contraccolpi economici, emerge da un’altra considerazione di Piccioni.
Lì dove mette nero su bianco che «un’eventuale uscita dal mercato russo di Unicredit si configurerebbe come provvedimento anticiclico assunto in una fase che vede moltiplicarsi le aspettative di apertura di una finestra di opportunità connessa agli sviluppi del dialogo russo-statunitense che lasciano intravedere possibilità, con tempi e modi tutti da definire, di rientro nella Federazione di investimenti occidentali».
Altre ragioni, in questo caso di natura politico-diplomatica. «Un ritiro di Unicredit» dal mercato russo «incrinerebbe la credibilità dell’azione delle istituzioni italiane in Russia, soprattutto alla luce dell’apprezzatissimo impegno del vertice politico nazionale in un articolato e produttivo ingaggio con questa comunità d’affari».
Nel documento si fa anche riferimento al rischio di compromettere «seriamente» la funzionalità degli uffici dell’ambasciata, oltre a quelli del Consolato a Mosca e dell’Ice (Istituto per il commercio estero) insieme all’Istituto italiano per la cultura. Un incremento «massiccio» delle richieste di assistenza agli italiani – recita il documento – si tradurrebbe in un aumento dei carichi di lavoro e impatterebbe negativamente sulla qualità dei servizi offerti.