ilmessaggero.it, 29 maggio 2025
Chiara Jaconis, un 13enne ha lanciato la statuetta che l’ha uccisa. La famiglia: «L’aveva già fatto. I genitori sapevano e hanno taciuto»
Otto mesi dopo emerge la verità, ma è una verità che per la famiglia Jaconis aggiunge rabbia al dolore: «Pensavamo che Chiara fosse morta per una tragica fatalità, invece abbiamo capito che tutto ciò poteva essere davvero evitato. E poi chi sapeva è rimasto zitto». La Procura minorile di Napoli ha chiuso le indagini sulla morte di Chiara Jaconis, la trentenne padovana colpita da una statuetta caduta da un balcone mentre si trovava in vacanza a Napoli con il fidanzato. Il responsabile sarebbe un ragazzino di 13 anni, un adolescente problematico, che già in passato si sarebbe reso protagonista di lanci di oggetti dal balcone. Vista l’età non è considerato imputabile. Il fratello ha invece più di 14 anni e quindi avrebbe potuto finire a giudizio, ma la sua posizione è stata archiviata. Intanto rimane aperta l’inchiesta della Procura ordinaria per verificare eventuali responsabilità dei genitori.
La ricostruzione
Il pomeriggio di domenica 15 settembre Chiara stava passeggiando per i Quartieri Spagnoli quando è stata colpita in testa da una statuina in onice con delle decorazioni che richiamano l’antico Egitto. Si è accasciata a terra perdendo i sensi sotto gli occhi del fidanzato e le speranze di salvarla sono durate meno di due giorni: la ragazza, che aveva realizzato il sogno di lavorare a Parigi per il marchio Prada, è morta il 17 settembre in ospedale.
Questa è la dinamica, poi ci sono le due inchieste. Durante le indagini sono stati sequestrati svariati dispositivi elettronici e sono state ascoltate diverse persone tra vicini di casa e collaboratrici domestiche. Dagli atti della Procura minorile, trasmessi agli avvocati della famiglia Jaconis, emerge che le statuette lanciate in strada sarebbero addirittura due e peserebbero complessivamente oltre 10 chili. La mano sarebbe quella di un tredicenne che già in passato avrebbe lanciato tablet, cuscini e altri oggetti. Fin da subito due coniugi, residenti nel palazzo dal quale sarebbero precipitati gli oggetti, sono stati indagati per omicidio colposo in concorso e omessa vigilanza. La coppia ha sempre negato ogni responsabilità, sostenendo di non riconoscere quegli oggetti e di non aver visto o sentito nulla. La Procura minorile ha concluso il lavoro, ora si attende la Procura ordinaria.
Lo strazio della famiglia
Gianfranco Jaconis, padre di Chiara, è uno degli amministratori di condominio più noti di Padova e da mesi combatte per capire cos’è successo quel maledetto pomeriggio. «Visti i precedenti, tutto ciò poteva essere evitato – sono le sue prime parole di commento -. Attendiamo che i nostri avvocati analizzino tutto il materiale arrivato dalla Procura minorile e attendiamo l’esito delle indagini della Procura ordinaria, poi tireremo le somme. Da ciò che emerge capiamo che quel ragazzino poteva e doveva essere seguito con più attenzione».
Parole ancor più dure da parte di Roberta Jaconis, sorella di Chiara: «Dopo aver ricevuto gli atti, provo una profonda rabbia. Fino a quel momento, nutrivo ancora la speranza che si fosse trattato di una semplice casualità. Invece è ormai evidente che si è verificato un fatto grave che sarebbe stato facilmente evitabile». Questa è la premessa, poi c’è l’affondo: «Trovo difficile credere che il figlio minore abbia agito da solo. Quello che mi colpisce maggiormente, però, è l’atteggiamento dei genitori. Fino a oggi hanno sempre negato ogni responsabilità, affermando di non aver mai visto gli oggetti in questione, sostenendo quindi che non appartenessero a loro. Eppure, gli atti raccontano un’altra storia. Spero e credo che tutto ciò rappresenti un’aggravante per le responsabilità che ricadono sui genitori. Il loro comportamento, tra omissioni e negazioni, rende ancora più grave quanto accaduto». Cristina, mamma di Chiara, non si dà pace. Le sue poche parole riassumono perfettamente lo stato d’animo della famiglia Jaconis: «Non vogliamo vendetta ma chiediamo giustizia. Spero che in questo senso la legge ci aiuti».