ilsole24ore.com, 29 maggio 2025
L’intelligenza artificiale già ruba il lavoro ai giovani della Gen Z
L’intelligenza artificiale sta cominciando a creare problemi sul lavoro ai giovani della generazione Z, in particolare per i ruoli tech. Lo affermano alcuni studi usciti in questi giorni e lo conferma Linkedin, nelle parole del manager responsabile delle opportunità lavorative (chief economic opportunity officer). L’allarme, confermato anche dal report Future of Jobs 2025 del World economic forum (Wef), riguarda soprattutto le figure di entry level. I giovani, di solito: appunto. Anche se non tutti gli esperti concordano su questo problema, è significativo che alcuni nuovi studi convergano sulle stesse conclusioni, certo da guardare con attenzione. Sono rilevanti sia per chi si affaccia al mondo del lavoro o deve valutare un corso di studi sia per le aziende chiamate a prendere decisioni sulle assunzioni da fare.
Si veda quanto emerso dalla ricerca appena pubblicata da SignalFire, una società di venture capital basata sui dati che monitora i movimenti lavorativi di oltre 600 milioni di dipendenti e 80 milioni di aziende su LinkedIn.
SignalFire ha notato che nel 2024 le aziende tecnologiche hanno assunto meno neolaureati rispetto al 2023. Un calo 25% nel 2024 rispetto al 2023. Nel frattempo, le assunzioni di laureati nelle startup sono diminuite dell’11% rispetto all’anno precedente.
E, per essere più espliciti sulle cause, Asher Bantock, responsabile della ricerca di SignalFire, afferma che esistono “prove convincenti” che l’IA sia un fattore determinante.
I lavori entry-level sono suscettibili all’automazione perché spesso comportano attività di routine e a basso rischio che l’IA generativa gestisce bene.
Aziende come Goldman Sachs e Morgan Stanley avevano già preso in considerazione la possibilità di ridurre fino a due terzi le assunzioni di personale junior e di abbassare gli stipendi di quelli assunti perché il lavoro con l’IA non è più così impegnativo come in passato, secondo quanto riportato dal New York Times lo scorso anno.
Al tempo stesso, le aziende tecnologiche hanno ancora più bisogno di professionisti esperti. Secondo il rapporto di SignalFire, hanno aumentato del 27% le assunzioni di professionisti con due-cinque anni di esperienza, mentre le startup hanno assunto il 14% in più di persone con lo stesso livello di anzianità.
Diventa realtà un vecchio paradosso che finora era poco più che una barzelletta – cioè che le aziende vogliono persone con esperienza, ma non permettono ai giovani di farsela, perché non li vogliono assumere.
Certo concorda Raman di Linkedin: l’intelligenza artificiale sta minacciando sempre più quei tipi di lavori che storicamente hanno rappresentato un trampolino di lancio per i giovani lavoratori all’inizio della loro carriera.
“I primi a crollare sono i gradini più bassi della scala professionale”.
Secondo il report Wef, il 40% dei datori di lavoro prevede di ridurre il proprio organico nei settori in cui l’intelligenza artificiale è in grado di automatizzare le attività.
Ad esempio, gli strumenti di intelligenza artificiale svolgono i compiti di codifica e debug semplici che i programmatori junior facevano per acquisire esperienza. L’intelligenza artificiale sta anche svolgendo il lavoro che un tempo era di competenza dei giovani impiegati in ambito legale o retail (marketing, addetti al servizio cliente, back office). Di fatto, il tasso di disoccupazione dei laureati è aumentato più rapidamente rispetto a quello degli altri lavoratori negli ultimi anni, ha detto Raman, anche se non ci sono ancora prove definitive che l’intelligenza artificiale sia la causa della debolezza del mercato del lavoro.
Ecco: non ci sono forse ancora prove definitive, ma segnali preoccupanti e sempre più esperti che accusano l’AI.
Anche perché il quadro è chiaro-scuro. Secondo lo stesso Raman, le aziende non stanno eliminando del tutto i lavori entry-level; i dirigenti continuano a cercare idee nuove dai giovani lavoratori e alcuni hanno scelto di usare l’AI per supportarli invece che per sostituirli. Alcuni junior possono fare meglio e di più grazie all’aiuto di un chatbot, come emerge da alcuni studi in ambito marketing o assistenza clienti.
Una misurazione fatta dall’Economist sul mercato del lavoro americano, in questi giorni, evidenzia che la disoccupazione giovanile aumenta dal 2009 e comunque – almeno da loro – si tiene bassa (4 per cento). Hanno analizzato l’andamento dell’occupazione per i ruoli più impattati in teoria dall’AI (colletti bianchi) e non hanno trovato traccia di questo impatto. L’Economist aggiunge che questo trend si ritrova anche in altri Paesi Ocse.
La verità – nota la rivista liberista inglese – è che poche aziende la utilizzano realmente per lavori importanti. E in genere preferiscono usare l’AI per aiutare un lavoratore a svolgere il proprio lavoro più velocemente, invece che per licenziarlo.
Ci sono studi a conforto di quest’analisi. L’AI non sta dando i risultati sperati e questo è un freno per la sostituzione dei lavoratori o un blocco delle assunzioni. Un sondaggio Ibm ha rilevato che tre iniziative di AI su quattro non riescono a garantire il Roi (ritorno sull’investimento) promesso. Uno studio del National Bureau of Economic Research sui lavoratori dei settori esposti all’AI ha rilevato che la tecnologia non ha avuto quasi alcun impatto sui guadagni o sulle ore lavorate.
Secondo S&P Global, un fornitore di dati, la percentuale di aziende che abbandonano la maggior parte dei loro progetti pilota di IA generativa è salita al 42%, rispetto al 17% dello scorso anno. Il capo di Klarna, un fornitore svedese di servizi “compra ora, paga dopo”, ha appena ammesso di aver esagerato nell’uso della tecnologia per tagliare i posti di lavoro nel servizio clienti e ora sta riassumendo personale umano per ricoprire tali ruoli. Secondo McKinsey, l’adozione dell’AI generativa potrebbe incrementare la produttività del lavoro solo tra lo 0,1% e lo 0,6% all’anno entro il 2040, a seconda del livello di adozione e della riorganizzazione delle mansioni lavorative.
Ma allora che si fa, in questa confusione? Molti esperti suggeriscono comunque, ai giovani, di tenere presente la questione. Demis Hassabis, capo di Google Deepmind e Nobel per la Chimica, suggerisce di insistere con gli studi Stem – competenze comunque importanti – e al tempo stesso lavorare sulle “metacompetenze”, tipicamente umane: senso critico, creatività, flessibilità, capacità relazionali, “imparare a imparare”.
Non è molto chiara come indicazione ma, nella notte, anche una lucina può fare la differenza nel cammino.