corriere.it, 28 maggio 2025
Chi sono i «centimiliardari» e perché fanno male alla democrazia: i nuovi oligarchi e la società più diseguale dell’Antico Egitto
In tutto il mondo ci sono solo 17 «centimiliardari», ma insieme possiedono 2.700 miliardi di dollari. Se non riuscite a capire quanti sono, non preoccupatevi: non è colpa vostra. È che è una quantità di denaro inimmaginabile. I centimiliardari non esistevano prima di 8 anni fa e anche il termine è un neologismo, un adattamento dell’inglese centibillionaires: indica le persone che hanno un patrimonio superiore a 100 miliardi di dollari. Secondo la classifica dei miliardari di Bloomberg, i loro patrimoni non fanno che aumentare.
I nomi
A oggi sono (in ordine dal “meno” al più ricco):
17. Mukesh Ambani (industria petrolifera Reliance), 104 miliardi di dollari, India
16. Amancio Ortega (Zara), 106 miliardi di dollari, Spagna
15. Jensen Huang (Nvidia), 115 miliardi di dollari, Usa
14. Alice Walton (Walmart), 116 miliardi di dollari, Usa
13. Rob Walton (Walmart), 116 miliardi di dollari, Usa
12. Jim Walton (Walmart), 119 miliardi di dollari, Usa
11. Michael Dell (Dell), 121 miliardi di dollari, Usa
10. Sergey Brin (Google), 143 miliardi di dollari, Usa
9. Bernard Arnault (LVMH), 152 miliardi di dollari, Francia
8. Larry Page (Google), 153 miliardi di dollari, Usa
7. Steve Ballmer (Microsoft), 156 miliardi di dollari, Usa
6. Warren Buffett (società di investimento Berkshire Hathaway), 157 miliardi di dollari, Usa
5. Bill Gates (Microsoft), 173 miliardi di dollari, Usa
4. Larry Ellison (azienda tecnologica Oracle), 181 miliardi di dollari, Usa
3. Mark Zuckerberg (Facebook, Meta), 222 miliardi di dollari, Usa
2. Jeff Bezos (Amazon), 222 miliardi di dollari, Usa
1. Elon Musk (Tesla, SpaceX), 374 miliardi di dollari Usa
L’oligarchia del denaro
Come si vede dalla lista, alcuni vengono dalla stessa famiglia o dalla stessa azienda, per lo più appartengono al mondo della tecnologia e la maggior parte sono americani. L’aumento delle loro ricchezze ha avuto un’accelerazione nel tempo, destinata ad aumentare ancora: secondo Forbes, fino a 8 anni fa nessun patrimonio superava stabilmente i 100 miliardi di dollari, anche se quello di Bill Gates aveva brevemente toccato questa soglia già nel 1999, per la prima volta. In un lungo articolo sul New Yorker, Evan Osnos sostiene che questa enorme accumulazione della ricchezza ha creato negli Stati Uniti un’oligarchia di fatto, a cui sta dando espressione politica la seconda presidenza di Donald Trump.
Gli ultra-ricchi e la società di oggi più diseguale dell’Antico Egitto
«L’ondata di denaro che circonda la Casa Bianca ha spazzato via qualsiasi baluardo contro la corruzione rimasto nella legge e nella cultura americana. I ricchi donatori ci sono sempre stati, naturalmente. Ma un decennio fa nessuno al mondo possedeva più di cento miliardi di dollari», scrive Osnos. «Gli ultra-ricchi si sono accaparrati una quota della ricchezza d’America persino più grande dei magnati ottocenteschi della Gilded Age. Gli studiosi che si occupano di disuguaglianza fin dal Neolitico faticano a trovare precedenti. Tim Kerig, un archeologo che dirige il Museo di Alzey, in Germania, mi ha detto: “Le persone che hanno costruito le piramidi egizie erano probabilmente in una società meno diseguale”. Ha aggiunto che le persone più ricche di oggi stanno semplicemente accumulando troppa ricchezza perché il sistema possa contenerla. “L’evoluzione economica e tecnica è molto più veloce di quella sociale, mentale e ideologica”, ha detto. “Non abbiamo avuto il tempo di adattarci a tutti quei miliardari”».
L’aumento della diseguaglianza
La concentrazione della ricchezza in poche mani e l’aumento della diseguaglianza non è un fenomeno solo americano. In Come dèi tra gli uomini. Una storia dei ricchi in Occidente (Laterza, 2024), lo storico dell’economia Guido Alfani spiega che si registra in tutto il mondo: «Nel 2020, in Europa, l’1% e il 5% più ricchi possedevano rispettivamente il 29,4% e i 52,7% della ricchezza complessiva, mentre in Nord America queste cifre salivano al 34,8% e al 62,1%. Se si considera la popolazione mondiale nel suo complesso, tuttavia, si scopre che l’1% più ricco deteneva quasi la metà della ricchezza totale (4,9%), un dato che saliva al 70,1% per il 5% più ricco». Questo accentramento è dovuto a «una serie di cause concomitanti che hanno favorito la crescita della disuguaglianza (di reddito) a partire dalla fine degli anni Settanta», tra cui le riforme fiscali (che hanno abbassato le tasse sui grandi patrimoni), la contrazione dello Stato sociale, il cambiamento tecnologico basato sulle competenze, la crescente concorrenza nel commercio internazionale e l’ascesa del settore finanziario. «È solo a partire dalla fine del XVIII secolo, con l’inizio dell’età delle rivoluzioni, che il principio dell’uguaglianza dei diritti (compresi i diritti politici) è diventato una pietra miliare delle società occidentali. Per un certo periodo, nel corso del XX secolo, la politica è sembrata dipendere meno dalla ricchezza. Questa fase, tuttavia, potrebbe essere giunta al termine, anche in parte a causa delle dimensioni storicamente senza precedenti raggiunte da alcuni patrimoni, nonché delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie di trasformare la ricchezza in capacità di influenzare gli elettori. In relazione a ciò, si sta diffondendo la preoccupazione che l’estrema concentrazione della ricchezza possa produrre un cambiamento de facto della natura stessa delle democrazie occidentali» nota ancora Alfani.
I limiti alle donazioni politiche
Osnos arriva alle stesse conclusioni e sottolinea che un momento decisivo di questa trasformazione, negli Stati Uniti, è stata la sentenza della Corte Suprema del 2010, che ha rimosso i limiti alle donazioni politiche. Dando ancora più potere ai ricchi. In base a quella sentenza Elon Musk ha potuto donare nel complesso 288 milioni di dollari alla campagna elettorale di Trump e del partito repubblicano, diventando il maggior finanziatore politico del Paese. Come ha scritto il Washington Post, Musk si è così accaparrato «una straordinaria quantità di potere come membro della cerchia ristretta di Trump», che gli ha garantito l’«influenza su Trump e sulle leve del governo». È difficile non pensare che si sia comprato il governo.
Le scelte elettorali
Il fatto che la maggior parte dei centimiliardari abbia accumulato la sua ricchezza (e il potere ad essa connesso) in settori capaci di orientare come mai prima le scelte degli elettori incide ancora di più su questa trasformazione sostanziale – anche se non formale – della democrazia. Oltre a Musk anche Jeff Bezos – che deve parte della sua ricchezza a commesse governative – è passato da essere critico nei confronti di Trump a sostenerlo con donazioni e contratti alla moglie (ne abbiamo scritto in questa Rassegna). E lo stesso ha fatto Mark Zuckerberg.
Storicamente un modo per limitare il crescere delle diseguaglianze e l’aumento indiscriminato dei patrimoni con i loro effetti distorsivi sulla politica è la tassazione: alzare le tasse sui grandissimi patrimoni permette sia di limitare il loro potere che di redistribuire la ricchezza in modo più equo.
Il taglio delle tasse ai ricchi
Ma Trump ha scelto la strada opposta, tagliando molto le tasse ai più ricchi, che già negli Stati Uniti godono di condizioni molto vantaggiose. «Se possiedi uno yacht, due Picasso e una stanza piena di monete d’oro, paghi meno tasse sulla proprietà di una persona che possiede una casa da duecentocinquantamila dollari in una piccola città dell’Ohio» dice Erica Payne, fondatrice di Patriotic Millionaires, un’associazione americana che lotta per far alzare le tasse ai ricchissimi. «Nel 2020, secondo ProPublica, almeno diciotto miliardari hanno presentato dichiarazioni dei redditi così abilmente assemblate da avere diritto ad assegni di stimolo per la pandemia. Quando Bezos valeva diciotto miliardi di dollari, nel 2011, ha avuto diritto a un credito d’imposta per i bambini» ricorda ancora Osnos.
Il club dei multimiliardari e i legami con Trump
L’amministrazione Trump, inoltre, ha strutturalmente reso le donazioni alla sua campagna e gli investimenti nelle sue aziende (o in quelle dei suoi familiari), un prerequisito per avere accesso al presidente e alla sua amministrazione. Non c’è solo l’aereo da 400 milioni di dollari che gli ha regalato il Qatar. Il 22 maggio Trump ha “premiato” i 220 principali investitori nella sua criptovaluta $TRUMP con una cena con lui nel suo golf club della Virginia. Nonostante la Casa Bianca abbia insistito sul fatto che Trump avrebbe partecipato all’evento «nel suo tempo libero», ha parlato da un leggio con il sigillo presidenziale, mentre promuoveva un settore finanziario che sta generando profitti per la sua azienda di famiglia. Il figlio maggiore del presidente, Don Jr, ha fondato – insieme al magnate della Silicon Valley David Sacks – il club Executive Branch (il «ramo esecutivo»), a cui si accede solo su invito e pagando una quota di iscrizione che arriva fino a mezzo milione di dollari. Alla festa di lancio c’erano ministri, membri del governo e funzionari degli enti di controllo statali seduti accanto a rappresentanti dell’industria farmaceutica e di altri settori. «Sembrava una festa della Casa Bianca» ha detto a Osnos un ospite che ha chiesto l’anonimato. «È un segno di come Trump abbia riempito la sua amministrazione di persone che possono davvero permetterselo».
Bernie Sanders e il tour politico: «Fight Oligarchy»
Il ruolo della nuova oligarchia è così evidente nella seconda amministrazione Trump che sta generando una forte reazione politica. Il tour politico del democratico Bernie Sanders, che sta avendo grande successo anche nelle aree repubblicane degli Stati Uniti, si chiama non a caso «Fight Oligarchy», combatti l’oligarchia.
Intanto le diseguaglianze negli Stati Uniti stanno diventando insostenibili. «Il Paese nel suo complesso non è mai stato così ricco; all’inizio del 2025, il patrimonio totale delle famiglie americane ha raggiunto un picco storico. Ma queste cifre sono falsate dalle enormi fortune dei vertici. Circa la metà degli americani non può permettersi una spesa di emergenza di mille dollari e i due terzi inferiori sono quasi altrettanto pessimisti sulle loro prospettive come lo erano durante la crisi finanziaria del 2008» ricorda Osnos.