repubblica.it, 28 maggio 2025
“Bere meno alcol”. Se l’allarme dei nutrizionisti fa decollare i vini dealcolati
Moderare il consumo di alcol. È una delle raccomandazioni presenti nelle nuove linee guida della Piramide alimentare della Dieta Mediterranea, che segue le indicazioni della Società Italiana di nutrizione umana (Sinu) volte ad adottare uno stile alimentare sano e sostenibile. Raccomandazioni legate anche dal fatto che i giovani seguono sempre meno il modello della Dieta Mediterranea, da 15 anni patrimonio Unesco, considerata punto di riferimento per la salute. La nuova piramide propone un’alimentazione più orientata al vegetale, e sprona a un minore consumo di zuccheri aggiunti, sale e vino, oltre che di carne rossa. Un’indicazione che alimenta un dibattito già molto acceso nel nostro Paese: può questo nuovo modello stimolare il consumo di NoLo, i vini no alcol e a bassa gradazione alcolica, che, pur lentamente, stanno conquistando nuove fette di mercato?
Boom degli spumanti
Un segmento in crescita
Il giro d’affari globale dei NoLo oggi vale 2,4 miliardi di dollari e secondo le previsioni punta a raggiungere il valore di 3,3 miliardi di dollari nel 2028. L’Italia è fanalino di coda, i NoLo rappresentano lo 0,1% sul totale delle vendite di vino. Ma il segmento è in crescita. E il dibattito aperto.
“Non credo che le nuove linee guida dei nutrizionisti, con l’invito a moderare l’alcol e quindi il vino, siano decisive nello stimolare il consumo di dealcolati – riflette Paolo Castelletti, segretario generale di Unione italiana vini (Uiv) – I nolo sono destinati a crescere in prospettiva, ma guidati da altre dinamiche che potremmo definire ‘situazionali’: abbiamo notato cioè che i comportamenti dei consumatori sono legati più alle situazioni contingenti, come ad esempio il dover guidare, l’essere a dieta, essere incinta, dover sostenere una gara sportiva e così via. Certo, trovando sugli scaffali delle enoteche e nei ristoranti un’offerta di vini senza alcol che prima non c’era, molti potranno essere incuriositi e si aprirà una nuova possibilità: nel bouquet vino entra anche il dealcolato. E di certo chi ha dubbi sul fatto che il vino tradizionale, in certe quantità, possa far male, potrà essere influenzato nei consumi. Ritengo ad ogni modo che nel futuro, a prescindere da tutto, avranno più successo i low alcol rispetto ai totalmente dealcolati in quanto il profilo aromatico e gustativo risulta più simile al vino tradizionale. E quindi più facilmente godibile per chi cerca quel tipo di bevanda”.
La corsa ad abbassare le gradazioni
Certo è che oggi, come aveva già scritto Il Gusto parlando con il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella, molte denominazioni stanno andando nella direzione di abbassare la gradazione ai vini, senza dealcolare. Proprio perché il gusto e anche l’attenzione alla salute propongono il modello del bere moderato. “Lo dice il mercato: oggi funzionano di più i vini a bassa gradazione – riflette Castelletti – E c’è la rincorsa da parte delle denominazioni ad approvare disciplinari che abbassano la gradazione: penso alle Venezie o alla zona del Garda. In primis ci si prova con i vini bianchi, ma pure con i rossi, anche se è più difficile. Un trend che abbraccia i produttori di vino a livello comunitario, non solo in Italia: la norma Ue, al momento, non permette ai vini di andare sotto i 9 gradi (con qualche eccezione), ma nella Politica agricola comune (Pac) si discute proprio di modificare la definizione di vino riducendo la gradazione minima al consumo sotto i 9. La norma si sta orientando in questa direzione perché fotografa quello che succede nel mondo, cioè si preferisce un vino a 9 gradi invece che a 13. Detto questo, non possiamo negare che ci sia maggiore attenzione alla salute e che si beva meno, basta guardare agli elevati volumi delle giacenze di vino”.
Il boom della mixology
Del resto, non è un caso che negli Usa su 10 consumatori su 7 bevono sia vino tradizionale sia no e low alcol. Una tendenza intercettata da tempo da Massimo Vallotto, titolare con la moglie Maria Pia Viaro di Ca da Roman, azienda veneta di Romano d’Ezzelino (Vicenza) fra i pionieri in Italia dei vini dealcolati, e di un resort con bistrot e ristorante gourmet dove il trend dei NoLo sia nel vino sia in mixology emerge con forza, soprattutto nelle preferenze della GenZ. Lo sottolinea Vallotto, vignaiolo astemio, che produce solo Piwi e coltiva le uve con rigoroso metodo biologico: “Che la nuova piramide alimentare sproni un consumo moderato di alcol è certamente un’indicazione che nelle persone sensibili al tema salute può portare a bere meno vino e a orientarsi verso scelte diverse. Noi da 5 anni produciamo una bollicina no alcol a base di uve resistenti quali Bronner (60%) e Joanniter (40%), che rappresenta la versione alcol free del nostro vino di punta. La maggior parte delle cantine, soprattutto nel passato, faceva i no alcol con i vini più scadenti, noi abbiamo fatto il percorso inverso”. Il Piwi senz’alcol si chiama Zero Max, nome che richiama l’assenza di alcol e il nick name del titolare. “Non dobbiamo dimenticare che oltre il 50% della popolazione mondiale non beve – osserva Vallotto – e che ci sono Paesi in cui la vite non è neanche coltivata. Ma oggi, a prescindere da tutto, c’è una nicchia che si sta espandendo e che predilige, soprattutto fra i più giovani, i vini senz’alcol, ma anche e soprattutto i cocktail: ce ne sono alcuni storici come il Bellini e l’Hugo che in versione zero conquistano la GenZ. Sostituendo la soda con un delacolato di alto livello, certi cocktail regalano sensazioni vicine all’originale e sono più sani. Lo notiamo nei nostri ristoranti: nella GenZ non c’è propensione a bere vini importanti e non c’è neanche più molto interesse alla narrazione tradizionale del vino. I giovani sono invece propensi a bere low alcol e soprattutto a bere sano. E in questo noi produttori dobbiamo essere onesti con loro”. Zero Max viene prodotto in 2500 bottiglie sulle 50mila totali di Ca da Roman ed è considerato un fiore all’occhiello della produzione.
“Giusto mettere in guardia, ma non esageriamo”
Invita a non mettere il vino sotto accusa e a recepire il messaggio in modo più generale, riferito quindi all’abuso di l’alcol, Francesca Poggio, titolare del Poggio di Gavi e vicepresidente delle Donne del Vino. “L’invito a bere moderatamente di sicuro può favorire il consumo di vino dealcolato, ma attenzione: è giusto moderare la quantità e tutelare la salute. Ma che l’abuso di alcol crei si sa da sempre, non è una novità. Il monito va riferito all’alcol in generale non solo al vino. Ed è bene dare questo messaggio ai giovani, che vanno spronati a bere moderatamente nella quantità ma anche a bere bene in termini di qualità. Se si evita un bicchiere di vino perché fa male e poi si bevono 5 shottini di superalcolici di certo non va bene per la salute”. E in questo senso i NoLo stanno entrando sempre di più anche in mixology.
I numeri dei no alcol: l’ascesa
I NoLo rappresentano un segmento in crescita in un contesto che vede il vino in arresto o stabile sia sul fronte dei volumi (-0,9%) che dei valori (+0,3%). Il mercato globale dei NoLo oggi ammonta a 2,4 miliardi di dollari che si prevede diventino 3,3 miliardi di dollari nel 2028, come emerge da una recente analisi dell’Osservatorio del Vino Uiv-Vinitaly su base dati Iwsr (International Wine & Spirits Research), con un tasso di crescita annuale composto (Cagr 2028/24) dell’8% come valore e del 7% in termini di volume. In questo contesto, i dealcolati – che al livello europeo sono riconosciuti come vini – potranno e dovranno trovare un loro posizionamento. Oltre l’80% delle vendite è realizzato nei primi 5 Paesi, con gli Usa a dominare il mercato con uno share a valore del 63%, seguiti da Germania (10%), Uk e Australia (entrambe al 4%) e Francia (2%). In Italia i No-Lo valgono lo 0,1% sul totale delle vendite di vino, per un controvalore si 3,3 milioni di dollari che – secondo le stime Iwsr – dovrebbe raggiungere i 15 milioni nei prossimi 4 anni, con un tasso di crescita annuale (Cagr) atteso del 47,1%.