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 2025  maggio 28 Mercoledì calendario

No al ddl che introduce il reato di femminicidio”, l’appello di 80 docenti giuriste. Ecco perché

Un appello firmato da quasi ottanta docenti universitarie di diritto penale per esprimere contrarietà al disegno di legge sull’introduzione del delitto di femminicidio. A dire no sono però docenti da sempre impegnate in prima linea per il contrasto alla violenza di genere, come le bolognesi Maria ’Milli’ Virgilio e Silvia Tordini Cagli, tra le autrici del testo.
«L’iniziativa è partita da sette di noi – spiega Virgilio – poi lo abbiamo diffuso alle colleghe e abbiamo già raccolto 77 adesioni. E altre ancora dovrebbero aumentare. Lo presenterò in Commissione giustizia al senato giovedì 29 maggio, poi lo invieremo a Governo, a Parlamento e Ministero della Giustizia. Vogliamo aprire un dibattito».
Ma perché quello che sulla carta sembra un’iniziativa encomiabile non piace alle penaliste che firmano l’appello?«Quello che non convince è che manca del tutto la parte relativa alla prevenzione – spiega Virgilio – come anche la Convenzione di Istanbul invita a fare. Così si rischia di fare propaganda. Lo vediamo nei paesi sudamericani dove il reato di femminicidio esiste ma i casi sono numerosissimi e l’introduzione della norma non li ha limitati».
Lo dicono chiaro e forte anche nell’incipit dell’appello, ribadendo «l’assoluta importanza delle iniziative di contrasto alla violenza contro le donne, che dovrebbero essere stabilmente iscritte nell’agenda politica ed intraprese con decisione, manifestiamo la nostra contrarietà a questa proposta di riforma per diverse ragioni».
Osservano che «grazie alle modifiche normative intervenute negli ultimi anni, la disciplina italiana, almeno sul piano sanzionatorio, già coglie lo specifico disvalore della condotta, consentendo di applicare la pena dell’ergastolo all’uccisione di una donna per motivi di genere (i recenti episodi di cronaca lo dimostrano)».
Tra l’altro nel disegno di legge si prevede che la pena per il femminicidio sia sempre l’ergastolo, ma anche su questo le penaliste non sono persuase.«Intanto perché è una pena fissa che è contraria al diritto penale e al principio di rieducazione – osserva Tordini – poi sembra che introducendo questa fattispecie di reato il problema si risolva. Quando è chiaro che non è così. Si rischia di passare un messaggio pericoloso. Sia ben chiaro, non siamo contrarie in assoluto ma ci sembra un modo propagandistico e superficiale di affrontare la questione».
La norma proposta, continua l’appello, «non sembra pertanto incrementare l’effettività della tutela penale, ma, come da più parti si sottolinea, assume una valenza meramente simbolica». Quello che invece servirebbe sarebbe «avviare una riflessione sull’insieme delle pratiche sociali, politiche, pubbliche ed istituzionali che di fatto giustificano o favoriscono la violenza maschile».
La speranza è che l’appello sia il primo passo per una «riflessione più ampia e articolata, che tenga conto della complessità del fenomeno, le cui cause sono profondamente radicate nella cultura e, a più livelli, nella struttura della nostra società. Il contesto sociale, economico e lavorativo in cui viviamo riflette un’immagine della donna frequentemente subalterna e mortificata, che favorisce o giustifica atteggiamenti di delegittimazione, sopraffazione e manipolazione, precursori di sempre più gravi atti di violenza».