La Stampa, 28 maggio 2025
Intervista a Nadia Battocletti
Il primo traguardo è stato una sorpresa, Nadia Battocletti l’ha tagliato per mano al padre, con le ciaspole. Aveva 7 anni, oggi ne ha 25 e tra un record nazionale appena fatto, a Rabat, sui 3000 metri e uno da tentare, il 2 giugno a Rovereto, sui 1500 metri, torna a casa a Trento. L’uomo che l’accompagna nella vecchia foto, Giuliano Battocletti, è anche il suo allenatore. Insieme hanno vinto un argento alle Olimpiadi, due ori agli Europei, così come nel cross e su strada, l’intero mezzofondo. Senza mai sgarrare, «da bimba chiedevo il permesso pure per bere una Coca», ma dall’album di famiglia esce molto altro.
Torniamo sulle ciaspole, è lì che ha sentito il richiamo dell’agonismo?
«È l’anno in cui ho iniziato a fare atletica, mio padre ha vinto quella 7 km di Cavareno tre volte, nel 2007 gli organizzatori mi lanciano dentro il tracciato quando mancano 100 metri e io prendo a correre senza aspettare. Papà mi afferra la manina e fisso le ciaspole rosso rubino modificate per l’aerodinamica. Già allora, oggi parliamo di scarpe supersoniche».
Altra foto, con mamma: Jawhara Saddougui, ex ottocentista in Marocco.
«Già, fiaccolata in Val di Non, in notturna: mamma aveva ripreso a correre. Lì ho 8 anni, sto per mettere l’apparecchio ai denti, percepisco per la prima volta l’arrivo. L’agonismo invece alla seconda gara da bimba: campionato valligiano, in salita ho recuperato tutte. Due settimane dopo, altra prova e mi innamoro della strategia. Papà mi dice “da quella curva metti il muso davanti”. Un bel gioco, devo ringraziare i miei che mi hanno passato l’atletica così. Ho seguito le dritte di mamma e papà. Ancora lo faccio, ancora gioco».
Allenata da papà e consigliata da mamma. Conflitti?
«Mia madre sa fare passi indietro e comunque si confrontano, le due voci non si sovrappongono, si integrano. Mamma mi tranquillizza e mi dà forza, il Campaccio è il suo urlo: “Credici”. Si sono separati dieci anni fa, per me fanno sempre squadra».
Con la separazione, la tensione è entrata negli allenamenti?
«Ho vissuto il dolore della mamma, è stato complesso, oggi li vedo felici. Papà ha una nuova compagna, anche lei allenatrice, mamma ha deciso di dedicarsi al binomio lavoro-Nadia. Siamo molto unite».
È musulmana come lei.
«Per sposarsi papà si è convertito e io sono cresciuta in una casa di fede islamica, questo credo è percepito spesso male, storpiato, anche dai musulmani. Viene considerato super restrittivo e forzato: le regole esistono, ma nel Corano sono poche, parliamo di dettami per stare bene. Non mangiare il maiale perché non è puro, è scientifico».
Da bambina era strano essere musulmana a Trento?
«No, con me in classe 24 bimbi e 5 o 6 musulmani. Le maestre brave a non mettere accenti sulle differenze anche se non andavamo a catechesi. Tutto naturale, anche le donne con il velo in Marocco, quando si andava a trovare i parenti».
Ha pensato di portare il velo?
«No, mai sentito il bisogno. Davvero, non ci sono divieti o giudizi. Mai mia madre mi ha impedito di festeggiare il Natale. Da grande mi sono ritrovata nei principi del Corano e negli ultimi quattro anni l’ho vissuto con più convinzione».
Molti in nazionale condividono la fede islamica, Per esempio, il maratoneta Aouani. È un tema di conversazione?
«Lui è mirato nel suo approccio alla religione, gli ha fatto fare un salto di qualità nella corsa, quello che ti fa bene è da approfondire. Ci siamo scambiati consigli su Ramadan, ma parliamo più di atletica».
La nazionale multiculturale è un fattore assorbito dalla nostra società?
«Noi non ce ne rendiamo conto, per me Simonelli è Lollo, non un ostacolista nato in Tanzania e Dosso è Za, semplicemente un’amica, come Larissa… Capisco che siamo lo specchio di un cambiamento e l’argomento tra noi esce. A tavola, scorri i social e vedi i commenti sulla staffetta: invece dei tempi parlano della pelle. C’è ancora chi sparge idiozie».
A lei sono arrivate?
«No. Ho paura a pensarlo, però può essere che non mi percepiscano come afrodiscendente perché sono chiara. Non si può dare importanza a certi, se non rispondi, non rilanci, quel commento scende, proprio fisicamente e tu lo lasci lì, per terra. Come una schifezza».
Una schifezza che ha lasciato per terra?
«Mamma fa la spunta: “guarda c’è una cattiveria. A volte controllo, altre no. Leggo: Dove vai? Le africane non le vedi».
Le vede e ne supera molte. Quando ha capito di poterci riuscire?
«I Giochi di Tokyo hanno reso meno sfocato il panorama. A Parigi ero al top e alla finale dei 5000, papà mi ha caricato: “Se loro danno il meglio, tu non sei tanto dietro”. Quarta. Nei 10000 ho liberato la testa: “Metto in pratica tutto quello che ho imparato. Occhi aperti, non sai quando ma pronta, come loro, attaccata”. Argento».
L’unica gara storta in una costante progressione. L’ultimo posto ai Mondiali del 2023.
«Ha fatto male per mesi. Ho preso una sberla e non capivo nulla, già in pista. Volevo nascondermi, cercavo un telo per sparirci sotto. Avevo le gambe gonfie, sentivo il caldo, la peggior giornata mai vissuta. Sono uscita, abbracciata da papà e dalla compagna di squadra a cui sono più vicina, Sinta Vissa, ho iniziato a piangere. Piango ancora adesso».
Non intendevo evocare un dolore ancora vivo.
«Non passa, però è servito. Ho fatto tanti di quelli errori da poterli catalogare. Dalla pasta iper mega salata che ho mangiato lo stesso e mi sono ritrovata stanca e sudata. Rientrata a casa, ho dovuto sopprimere il cagnolino, una periodo da dimenticare. Mio padre mi ha dato uno scossone: “vuoi fare il meeting di Padova? Tanto per stare a piangere sul divano...” Quando sei ferito e reagisci giusto prima di collassare? Ecco».
Si allena lungo l’Adige, dove è passata la storia italiana.
«La scuola mi ha portato ai luoghi chiave. So come mai qui c’è un monumento a Battisti. Con l’università abbiamo contribuito a rilevare la città sotterranea. Quando corro al dosso di Trento, sul viale in memoria degli alpini, ne immagino le vite. Davanti alle scritte e ai caratteri della seconda guerra mondiali sento la gravità: i cartelli con la distanza da qui a Berlino, da casa al passo Mendola creato da Mussolini…»
Trento, la montagna che incombe l’ha mai agitata?
«Vedere dalla finestra la catena delle Maddalene mi rilassa. Il fidanzato è anche maestro di sci, aspetta che io chiuda la carriera per portarmi in pista. Ci ridiamo su, se ci vado adesso mia madre grida. E ha ragione, troppo rischioso. Come la moto, parcheggiata».
Come ha conosciuto il fidanzato?
«Amico di una compagna di università a ingegneria edile».
Amore a prima vista?
«Per me sì, per lui no. Mi ha attirato l’approccio pacato. Ora mi vizia, è una coccola continua. Comunque, ho fatto il prima passo “sai che sei proprio un bel ragazzo?” e lui rosso totale. Mi ha invitato a uscire e stiamo insieme dal settembre 2022. Ogni giorno è diverso, la sua famiglia è come la mia, ci si preoccupa l’uno dell’altro».
Precisa, concentrata, studiosa, la sacerdotessa del mezzofondo. Mai fatta una pazzia?
«Studio, corro, pianifico, controllo senza stress. Anche in gara: chi c’è c’è. Follie... Oddio, adesso non ne avrei il tempo ma mai saltato scuola, mai andata a una festa senza avvertire, chiedevo a mamma il permesso per la Coca Cola».