Il Messaggero, 28 maggio 2025
Salvare l’Italia in quattro minuti
Il segreto è tutto in quattro minuti. Duecentoquaranta secondi e non uno in più. La capacità della Difesa si gioca tutta qui, nel tempo che ci vuole per mandare giù un caffè. La strategia è precisa. Per evitare che gli attacchi vadano a buon fine, che i missili arrivino a destinazione o che i droni sfuggano ai radar, la reazione deve scattare subito, esattamente in quei quattro minuti. Altrimenti il danno rischia di essere irreparabile, che gli apparati strategici vadano in tilt e che il piano del nemico venga realizzato alla perfezione. Il tempo conta quasi più della forza e lo sa bene Vladimir Putin, che in poche ore voleva occupare Kiev e che in oltre tre anni non è riuscito ad andare oltre le quattro regioni al confine senza raggiungere gli obiettivi che si era posto prima del 2022. La forza e la quantità di uomini gli consentono di resistere ma il tempo lo ha tradito.
LA STRATEGIA
L’Italia lavora su quei quattro minuti che sono il chiodo fisso dei generali ma per assicurare una reazione così rapida ci vuole un addestramento tanto lungo. E anche articolato, con un’integrazione di forze che ha bisogno di essere studiata e messa alla prova. Sui fatidici quattro giri di lancette si concentrano da due settimane quattromila uomini, con elicotteri, aerei, carri armati, droni, apparati antimissile, sistemi cyber e altre forme di armi moderne che sfruttano soprattutto l’ultima frontiera delle trincee, che è quella digitale. La lezione che le forze armate hanno imparato in questi tre anni di conflitti, quello sul fianco est dell’Europa ma anche quello del Medio Oriente, si ripassa in questi giorni in una grande esercitazione, la più grande dell’anno, che coinvolge cinque regioni e che allarga il suo raggio d’azione tra il Tirreno e il Mar di Sardegna. Non è la classica simulazione di una battaglia. Stavolta il quadro è più complesso e c’è da affrontare una battaglia più sofisticata e senza esplosioni: l’attacco è digitale, partito da un nemico che non si presenta e che dimostra di essere capace però di arrecare danni persino più violenti dei cannoni. Basta poco per mandare in tilt un Paese, senza jet e senza mitragliatrici. È sufficiente paralizzare le reti che governano i treni e quelle degli ospedali. E poi c’è un rischio che stavolta si deve prendere in considerazione: la strana strategia di una potenza nemica che distrugge uno dei suoi satelliti per generare detriti che danneggiano quelli degli altri. La paralisi è dietro l’angolo, ed è guerra vera, anche se i carri armati sono ancora tutti parcheggiati. Ma dalle provocazioni iniziano i conflitti. E questa è storia che si ripete e si ripeterà. «Dal quadro geopolitico attuale stiamo imparando tantissimo – sottolinea il generale Giovanni Iannucci, numero uno del Comando operativo di vertice interforze e grande regista della Joint Star – Dallo scenario Ucraino apprendiamo l’uso intensivo dei droni, la combinazione di altissima tecnologia e dell’intelligenza artificiale. Il conflitto in corso in Medio Oriente ci mostra come può impattare l’uso intensivo dei missili e il tentativo di sovraccaricare i sistemi di difesa e di renderli inefficaci. Lo hanno fatto gli Houthi e l’Iran contro Israele. Tutto si sta evolvendo velocemente e per noi questo è lo spunto per uno studio continuo».
LA DIFESA
Il passo successivo è un attacco doppio. Con i missili e con i droni, ma di quelli improvvisati, tecnologia da ragazzini adottata dai militari. Ai radar possono sfuggire ma il blitz è quasi sempre preciso. Chirurgico e dannosissimo. Il Samp-T piazzato ai confini della Sardegna, uno di quegli apparati di difesa aerea che l’Italia ha realizzato con la Francia e donato all’Ucraina, stavolta può non bastare. La corona difensiva si allarga in mare, dove sono schierate le navi della Marina. La Trieste, ultima nata e dotata di tecnologia all’avanguardia, è un gigante di 19 piani che trasporta elicotteri e può diventare una portaerei. È il cervellone blindato dell’operazione. Le altre unità si muovono nei paraggi. Nella zona c’è un caos strategico. Elicotteri che decollano dalle navi e F35 che si schierano negli scali militari più vicini. La contraerea risponde, si spara e si abbattono razzi. Nella sala comando del Trieste i radar segnalano i missili in arrivo, i target scelti dal nemico, le posizioni degli apparati di difesa e gli obiettivi da proteggere. Sembra un video game ma la sfida è reale. Realissima. E tutto deve rispettare la famosa regola dei quattro minuti.
LA BATTAGLIA
Tutto finito? No, per niente. Perché l’escalation, si sa, è questione di ore e l’ampliamento del quadro del conflitto rende tutto imprevedibile. La Difesa lavora su questo. La deterrenza, parola magica per i generali. E come si ottiene? Addestrando i fanti ai combattimenti con forze nemiche di terra, scatenando il fuoco degli elicotteri Mangusta, facendo calare gli incursori con le corde su navi in movimento o in mezzo alla campagna. Si spara, sì, furiosamente. Ma non basta. Perché quello che di questa guerra simulata non si vede viaggia su uno scenario solo apparentemente, tra cyber e spazio. Le munizioni del mouse sono le bombe del futuro (anzi, del presente) ma per fermare missili e droni servono ancora i caccia, gli elicotteri d’attacco, i carri armati (digitali pure loro oramai) e le truppe. A questo punto c’è più tempo e se lo scontro a fuoco infuria con questa violenza significa che la prima fase di reazione – quella dei 240 secondi – non è andata alla perfezione. «Alla fine ci diremo cosa è andato bene e cosa c’è da migliore – ragiona il generale Iannucci – Fin da ora posso dire che ci soddisfa la capacità di integrazione tra molte articolazioni, tra navi, aerei, truppe di terra e centrali operative. Nel campo della difesa missilistica e aerea dobbiamo fare passi avanti. E poi abbiamo la necessità di potenziare la capacità produttiva».
GLI ALLEATI
Il piano che l’Italia mette a punto in questi giorni è strategico anche per la Nato e non solo perché alle forze armate del nostro Paese è affidato il compito di difendere prima degli altri il fianco sud dell’Alleanza. Alla Joint Star osserva tutto in prima fila la vice segretaria della Nato, Radmila Sekerinska. Osservano i generali di molti stati, quelli alleati e quelli che in qualche modo collaborano con la nostra Difesa. Dalla Francia all’ormai blindatissima Polonia, il Qatar, l’Iraq e la Germania, gli Stati Uniti in fase di riduzione degli interessi sul fronte europeo, ma anche le Filippine, l’Egitto o l’Algeria. Ci sono persino alti ufficiali di India e Pakistan, che si ritrovano forse per la prima volta dopo lo scambio non cordiale di missili. Scambiano poche parole, stanno spesso vicino, ma fanno attenzione a non essere fotografati insieme. Mentre si simula la guerra, sul ponte di Nave Trieste e nel grande poligono di Capo Teulada, al sud della Sardegna, si tenta anche la via della pace.