Avvenire, 28 maggio 2025
In Camerun è già contestazione contro la ricandidatura di Biya
I paesaggi e gli orizzonti sconfinati; il sole, l’aria e le polveri che creano colori intensi come solo in Africa la natura riesce a donare: se esiste un luogo che racchiude in sé tutta la magia dell’intero continente africano, il Camerun ha le carte in regola per aspirare a tale primato. Il viaggio che vi raccontiamo inizia nell’ovest del paese, dove le red track, le infinite piste rosse che dalla capitale Yaoundé si estendono per miglia fin nell’entroterra, per poi fondersi con la vegetazione lussureggiante creando un tableau vivant di palme e foresta pluviale. Con i suoi 475.442 chilometri quadrati di superficie, il Camerun è il 53º stato più grande del mondo e offre un variegato panorama tra modernità e tradizione. Le cose materiali si intersecano con la bellezza della natura: ogni creatura, ogni foglia, è parte di un ecosistema che pulsa di vita. Dai Bamileke ai Bamoun, le comunità locali, uomini e donne custodi di tradizioni secolari, sono determinati a mantenere vive le loro usanze e consuetudini. Conoscere il Camerun significa abbracciare la sintesi di mille volti: dalla vita pulsante delle città costiere al ritmo ancestrale delle tribù, fino al silenzio surreale della giungla. È un paese che racconta storie antiche e contemporanee, custode di una diversità etnica che si manifesta nei costumi e nei linguaggi di oltre 250 gruppi etnici. In questo contesto intriso di vita pulsante, il Camerun si proietta verso le elezioni presidenziali di ottobre e un futuro carico di aspettative e innumerevoli incognite. Con un’importante storia post coloniale, iniziata con l’unione delle due anime che lo componevano, anglofona e francofona, il paese è oggi appesantito da contraddizioni e contrasti. Su tutte la “crisi anglofona” deflagrata in conflitto nel 2016 quando le Forze Armate Camerunesi hanno iniziato una campagna militare su larga scala per contrastare i gruppi separatisti.
La questione anglofona del Camerun ha radici nel contesto delle trasformazioni coloniali e postcoloniali. Originariamente colonia tedesca chiamata Kamerun (1884-1916), il territorio fu diviso dopo la Prima guerra mondiale tra Francia e Gran Bretagna. La zona di pertinenza britannica, circa il 20%, fu gestita come parte della Nigeria. Nel 1960 i due paesi africani ottennero l’indipendenza, ma rimase irrisolto il destino delle regioni anglofone. Nel 1961 si tenne un referendum sotto l’egida dell’Onu e queste ultime decisero di unirsi al Camerun francese. Così, il primo ottobre dello stesso anno, il presidente Ahmadou Ahidjo proclamò la nascita della Repubblica federale del Camerun con un assetto statale che garantiva autonomia a entrambe le parti. Tuttavia, a partire dal 1972, con la scoperta delle riserve di petrolio al largo delle coste anglofone, cambiò drasticamente il quadro politico. Nel maggio di quell’anno, con un nuovo referendum che chiedeva se si volesse abbandonare il sistema federale, il governo centrale avviò la dissoluzione dell’autonomia anglofona con il trasferimento di archivi, l’imposizione di un’amministrazione centralizzata e l’instaurazione di uno stato di polizia su tutto il territorio anglofono. La crisi si è aggravata ulteriormente con l’introduzione di insegnanti di lingua francese nelle scuole anglofone e con l’ingerenza nel sistema giudiziario. Da quel momento si sono susseguite innumerevoli azioni di protesta, animate dall’Ambazonia Governing Council e dal Southern Cameroons National Council (gruppi inizialmente formati da professionisti e intellettuali) poi degenerate in guerriglia. L’esercito camerunese ha risposto con misure repressive e violazioni sistematiche dei diritti umani, inclusi attacchi indiscriminati contro la popolazione civile, arresti arbitrari e tortura. Devastanti le conseguenze per i civili. Migliaia di persone sono state costrette a fuggire dalle loro case, con stime che parlano di oltre 700.000 sfollati.
Le infrastrutture sociali, in particolare l’istruzione e la sanità, hanno subìto enormi danni, con scuole chiuse e ospedali in difficoltà. La mancanza di sicurezza ha anche favorito l’emergere di problemi economici, con l’agricoltura – una delle principali fonti di sostentamento – che ha subìto gravi danni. In questo contesto di crisi Paul Biya, 92enne presidente del Camerun da 43 anni, ha imposto una politica di “tolleranza zero” che ha portato a esecuzioni sommarie rafforzando il ciclo di violenze. A nche per questo, la sua ricandidatura alle presidenziali del 2025 alimenta la frustrazione di un popolo stanco di conflitti e stagnazione. La Chiesa cattolica, una delle istituzioni più rispettate in Camerun, ha recentemente espresso preoccupazione per le condizioni politiche e sociali deteriorate nel paese, denunciando la mala gestione della crisi anglofona e la mancanza di una vera democrazia.
Al di là del conflitto e della repressione ad esso legata, stanno crescendo altre forme di resistenza. Tra queste spiccano le Brigade anti- sardinards, un movimento di attivisti principalmente composto da membri della diaspora camerunense che si oppongono apertamente al presidente Biya.
Le Bas non solo denunciano la corruzione e il nepotismo, ma offrono anche una visione audace di giustizia sociale e di cambiamento. Con una strategia di attivismo innovativa, utilizzano i social media come piattaforma per mobilitare l’opinione pubblica e far conoscere le ingiustizie che colpiscono il paese. Mentre il Camerun si avvicina all’importante tornata elettorale del prossimo autunno, il futuro rimane dunque incerto. Nonostante gli attivisti siano monitorati con attenzione, sia dentro che fuori dai confini del paese, restano l’unica “risposta” diretta alla repressione e alla disuguaglianza sociale nel Camerun. Guidato da esuli, per lo più intellettuali, artisti e attivisti che condividono una visione comune di democrazia, questo gruppo ha come obiettivo primario la fine del regime di Biya.
Il termine “sardinards” è utilizzato in modo denigratorio per descrivere i sostenitori del presidente, spesso associati a pratiche di nepotismo e corruzione. Contrariamente a molte organizzazioni politiche tradizionali, la strategia di attivismo adottata è più fluida e non convenzionale. Prediligendo azioni dirette e agguati “mordi e fuggi”, le Brigade anti-sardinards riescono a evitare le repressioni da parte delle forze di sicurezza e, simultaneamente, con l’approccio audace generano una forte attenzione mediatica. Utilizzando i social network come canali primari di comunicazione, i membri delle Bas documentano le loro proteste e alimentano il dibattito pubblico, attirando l’attenzione su problematiche che spesso restano ignorate dai media tradizionali. Fino a pochi mesi fa, molti osservatori credevano che le Bas fossero in fase di declino, essendo apparse frammentate per le diverse visioni all’interno del movimento. Ma con l’approssimarsi delle presidenziali hanno ripreso vigore. La crescente disillusione nei confronti della leadership di Biya e l’inevitabile stanchezza del popolo camerunense, stufo di un regime che ha promesso miglioramenti per l’intera società ma non ha mantenuto gli impegni annunciati, le Bas si propongono come un catalizzatore per il cambiamento e la speranza di un futuro migliore. Per tutti.