Avvenire, 28 maggio 2025
Il “disastro” di Starmer: dopo i pensionati fa dietrofront sui bimbi
Ancora un altro. Dopo il ripensamento sui tagli ai sussidi per i pensionati, il premier britannico Keir Starmer sta meditando un nuovo passo indietro. L’inversione a “U”, questa volta, riguarda il tetto massimo agli assegni familiari. Incalzato dal malcontento interno al partito laburista e, soprattutto, dal drammatico calo dei consensi, il premier sta pensando di abolire il limite che fissa a due il numero dei figli per i quali può essere presentata richiesta di sussidi. Insomma, una manovra “di sinistra”. La soglia dei due figli, va ricordato, era stata introdotta dai conservatori nel 2017: Starmer, arrivato a Downing Street a luglio scorso dopo 14 anni di governo Tory, ha sempre chiarito che non era tempo di abbatterla. Il ministro dell’Educazione, Bridget Phillipson, ieri, ha lasciato intendere che quel momento potrebbe essere arrivato. «Ci stiamo lavorando», ha dichiarato, mettendo però le mani avanti: «Costerebbe molto». Secondo gli esperti circa 4,5 miliardi di sterline. L’idea al vaglio dell’esecutivo è un’ampia riforma del sistema sociale, da annunciare entro l’autunno, che accolga le istanze della popolazione a basso reddito. Phillipson ha fatto però sapere di aver istituito una task force, allargata al ministero del Lavoro, incaricata di affrontare in maniera specifica il nodo della povertà infantile. L’associazione Child Poverty Action Group ha stimato che il “no” di Starmer a rimuovere il limite agli assegni familiari ha spinto nell’indigenza 10mila bambini nei soli primi tre mesi di governo laburista. Circa 109 al giorno. Secondo Resolution Foundation, ancora, il tetto dei due figli, se mantenuto, farà salire il numero dei minori poveri a 4,8 milioni entro le prossime elezioni (2029-2030).
Il ravvedimento del leader laburista sugli assegni familiari segue di pochi giorni quello sui sussidi per il riscaldamento invernale a favore dei pensionati. Mercoledì scorso, Starmer ha comuni-cato che rinuncerà ai tagli annunciati a settembre nell’ambito di una manovra di bilancio “lacrime e sangue” «necessaria» a rimettere in sesto le casse dissestate dello Stato. L’opinione pubblica già si chiede: quale sarà la prossima marcia indietro?
Starmer, va segnalato, è alle prese con una gravissima crisi di consenso certificata lo scorso 3 maggio dalla sonora sconfitta incassata dal partito alle elezioni locali. In quella circostanza, il Labour si è visto stappare da Reform Uk, l’ultradestra di Nigel Farage, il seggio elettorale di Runcorn and Helsby storicamente parte del cosiddetto “muro rosso”. I sondaggi aggiungono veleno ai dolori del premier. Il suo partito è passato dal 37,5 per cento dello scorso luglio, quando i laburisti stravinsero le elezioni, al 23 per cento di maggio 2025. È il calo peggiore mai registrato per un governo dal 1983. Paragonabile, per certi versi, a quello vissuto nel 2022 da dall’allora premier Boris Johnson nel pieno dello scandalo Partygate.
I labour stanno cercando di mascherarle la crisi rilanciando la statura internazionale del loro leader: protagonista della Coalizione dei volenterosi nell’ambito della guerra in Ucraina e delle negoziazioni commerciali che hanno portato il governo del Regno Unito a inanellare in un mese tre intese post Brexit (con Usa, India e Ue). Successi che, tuttavia, non soddisfano gli elettori e la pancia del partito gravato, tra l’altro, da una frattura (non solo ideologica) tra la vicepremier Angela Rayner, che ama definirsi «socialista ma non corbyninana», e la centrista Rachel Reeves, il Cancelliere dello Scacchiere. Il Labour, avverte un editoriale del Guardian a sintetizzare lo scenario, «sta navigando le turbolenze con una bussola politica rotta rischiando di fare la fine delle altre sinistre europee»: uccise dalla destra.