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 2025  maggio 27 Martedì calendario

Intervista a Fiona May

«E per fortuna che non c’erano i social, altrimenti chissà cosa avrebbe fatto...».
Il botto.
«Probabile. Mamma che non rilasciava mai interviste quella volta ha tirato dritto: “In Inghilterra non credono più in Fiona, ecco perché se n’è andata”». Anno 1994, mondiali di atletica a Helsinki. Fiona May – stella delle stelle del salto in lungo, plurimedagliata, record italiano con 7,11 metri – indossa per la prima volta la maglia azzurra. Un cambio di casacca di cui i giornalisti in patria – nata nel 1969 a Slough, nel Regno Unito, ha radici giamaicane – non si fanno una ragione: «Come è possibile?».
Il motivo non erano le nozze con il collega atleta Gianni Iapichino e il trasferimento a Firenze?
«No. Ci ha pensato mamma a spiegare che la Federazione non aveva fatto niente per tenermi in Inghilterra. È scoppiato un putiferio».
Corsi e ricorsi. Ieri era la madre di Fiona May a dare pane al pane, oggi è la stessa Fiona May a farlo su qualcosa che coinvolge diverse atlete, inclusa Larissa, la talentuosa figlia che segue le sue orme. «A me non hanno mai detto che le mie vittorie non erano italiane, che siccome sono di colore non ho “l’aspetto italiano”. C’è ora un razzismo subdolo: fanno i distinguo, i sì-ma-però. Quando gareggiavo atlete e atleti erano trattati allo stesso modo e il colore della pelle non era un tema come lo è adesso».
La campionessa ne ha parlato sabato, ospite del Time Out Sport Festival che porta i suoi incontri tra Bergamo e il suo territorio, dove la campionessa ha anche fatto da madrina delle olimpiadi scolastiche dell’Isola.
Ora a essere definita «italiana, sì-ma-però» è la nuotatrice Sara Curtis, prima era stata la pallavolista Paola Egonu.
«Forse pensano che donna e di colore sia sinonimo di debolezza: stupidaggini. Agli atleti maschi in effetti non succede o succede meno. Con Paola ci siamo sentite: vai dritta, ho esortato, hai cose più importanti da fare che stare a sentire certi commenti. Poi bisognerebbe interrogare chi offende, non chi viene offeso».
A lei è successo?
«Nelle gare no: ho sentito e sento un grandissimo affetto. Nella vita, in generale, qualche volta sì: in Svizzera – avevo i capelli cortissimi – stavo passeggiando e ho incontrato un gruppo di italiani che mi indicavano ridendo: “È un uomo”. Non pensavano capissi la lingua e ho risposto per le rime. I commenti li vedo arrivare dai maschi, non dalle femmine».
Oggi una donna di destra è a capo del governo. Cosa pensa di Giorgia Meloni?
«Che è brava, all’estero si è mostrata autorevole. Sono cresciuta nell’Inghilterra di Margaret Thatcher: è normale per me vedere una donna in questo ruolo. Meloni sta facendo il suo lavoro».
E del resto del governo cosa dice?
«Non amo parlare di politica».
A Firenze, però, una parentesi in politica l’ha avuta.
«Nel 2014 ho aiutato Dario Nardella (con la lista civica del futuro sindaco di centrosinistra, ndr), tutto qui».
Voterà al referendum?
«Certo, è importante votare. Cosa, però, non glielo dico».
Torniamo a quando è passata sotto la bandiera italiana.
«Io mi ero sposata, mi allenavo in Italia dove stavo bene. Però quando Gianni propose di passare con gli azzurri dissi: no, la mia squadra è quella inglese».
Poi però...
«Alla mia Federazione ho chiesto un aiuto economico modesto, per poter continuare la preparazione a Formia, dove già mi pagavo tutto, scarpe incluse. La risposta: ecco 500 sterline. Una cifra con cui non potevo fare nulla, “prendere o lasciare”».

È rimasta male.
«Mi sono sentita abbandonata. Invece qui sapevo di poter crescere tanto e ho trovato l’appoggio giusto, quindi eccomi qui: ho scelto. Ricordo la prima volta che ho indossato la tuta con la scritta Italia. Che, le devo dire, era pure bellissima. Sul campo incontravo colleghi inglesi straniti: cosa fai vestita così? Ci ha pensato mamma a chiarire. Io gareggiavo e dentro di me pensavo: devo battere la Federazione inglese!».
Oggi le è passata?
(Ride)
«Ni».
Sua figlia Larissa ha scelto il salto in lungo.
«All’inizio mi guardava: bello, ma non voglio sporcarmi con tutta quella sabbia. Poi ha provato, non ha più smesso. È bravissima. Il mio ex marito era tutto contento: dai che batti mamma! Se vincerà l’oro che a me manca sarò felicissima».
Larissa le chiede consiglio?
«Fa di testa sua. Quando è in crisi però io ci sono sempre».
È in ansia durante le sue gare?
«Seguo da lontano, il più lontano possibile. Non voglio essere ingombrante. Certo che sono in ansia».
Quando sua figlia salta lei chiude gli occhi?
«Dipende. Il salto del record europeo l’ho guardato bene perché mi volevo godere uno spettacolo straordinario».
May, non ha rinunciato alla laurea.
«A 16 anni, atleta talentuosa, non amavo fare i compiti e sono stata bocciata. I miei genitori non volevano che mollassi gli studi e l’hanno messo in chiaro. Sono tornata in classe, ho trovato un docente di economia bravissimo che mi ha fatto appassionare.
Non era facile studiare e allenarmi però ce l’ho fatta: poco prima delle Olimpiadi del 1992 mi sono laureata all’università di Leeds. Cinque anni fa ho preso un master in International sport governance. Ho sempre pensato fosse giusto avere un piano B».
Lo sta mettendo in pratica questo piano B?
«Purtroppo mi è difficile lavorare nel campo del business. Per tutti sono Fiona May l’atleta e le proposte che ricevo sono solo legate a questo: io invece vorrei andare oltre. La differenza è arrivata con Puma che mi ha voluto nel consiglio di amministrazione: ruolo che adoro. Purtroppo è ancora l’unica opportunità. I numeri, ma soprattutto audit e sostenibilità, sono la mia specialità. Ho appunto una laurea e un master. L’Economia è il mio secondo amore».

Non paga, ha fatto anche l’attrice.
«Amore numero tre. Butta la luna mi ha dato tantissimo, non immaginavo di poter recitare (in italiano!) e ottenere certi consensi. Però non so se farei la terza serie perché scatterebbe il confronto con la Fiona più giovane».
E il teatro?
«Le figlie mi prendono in giro (più Larissa che Anastasia, perché Anastasia – la piccolina – è abituata e dice: va bene vai, ciao ciao): mamma, pure il teatro?! Per me e Luisa Cattaneo nel 2020 sono stati adattati a ruoli femminili i personaggi di Maratona di New York di Edoardo Erba. Dovevamo recitare e correre su un tapis roulant per tutta la durata dello spettacolo. Abbiamo fatto non so quanti chilometri, una faticaccia. Però in quei mesi mi sono ritrovata in formissima».
Non che di solito non lo sia. Oggi fa sport?
«Se capita. Boxe, yoga solo se ho tempo. Il che non capita spesso perché soprattutto, durante il giorno, corro dietro alle mie figlie».
Sa anche ballare.
«Prima dell’atletica ho studiato danza, da bambina»
.
Una dote che abbiamo visto in tv.
«A Ballando con le stelle (programma vinto nel 2008, ndr). Quando mi hanno rifilato la prova di tip tap pensavano forse che sarei stata un disastro, invece avevo l’asso nella manica».
Competitiva a 360 gradi.
«Massimiliano Rosolino scherzava: Fiona, sei vecchia».
Proprio così diceva?
«Non me la sono presa, perché zitta zitta pensavo: vi faccio vedere io cosa so fare».
Un momento bello e uno brutto della sua carriera.
«Tutto fa parte di Fiona May. Bello: certo avere vinto i Mondiali battendo grandissimi atleti del salto in lungo. La grande delusione invece è stata a Siviglia nel 1999: quella vittoria era mia, ma andò altrove».
E nella vita.
«Avere avuto due figlie bellissime: sono un po’ pazze, iene eh, ma fantastiche. Adoro i miei nipotini, figli di mia sorella: che gioia. Le cose dolorose: la morte di mio padre, due anni fa, e il divorzio...».
Mai pensato di fare uno sport di squadra?
«Sono antipatica: non finirebbe bene!».