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 2025  maggio 27 Martedì calendario

Intervista a Vittoria Schisano

«Io nasco in una famiglia semplice, mio papà che non c’è più era operaio, ed è una grande mancanza che mi porto nel cuore. Nella mia seconda vita mi sento orfana di padre, per le diverse dinamiche maschio-femmina». Vittoria Schisano, 47 anni, di Pomigliano d’Arco, nel 2014 è entrata in una clinica di Barcellona da uomo e ne è uscita donna. È un’attrice transgender di talento.
E sua madre, invece?

«È il mio punto di riferimento, con mia sorella. Inizialmente non mi ha capito, mi fece una guerra enorme. Non volli ascoltarla e vederla, per un anno sparii da casa. Avevo vissuto a metà per troppo tempo, poi mi chiese perdono. Ci misi molto tempo, da adulta. So che essere genitori non è facile, se mi ripenso bambina c’è una parte di me che non riesce ancora a perdonarla. Quando mi sono riappropriata di me stessa, ho scoperto l’uomo meraviglioso che era mio padre. Ho avuto il privilegio di stargli accanto negli ultimi anni della sua vita che coincidevano con i primi due della mia nuova vita. Mi ero trasferita a Roma a 18 anni perché volevo fare l’attrice. Dopo un anno dalla transizione decisi di tornare a Pomigliano. Papà vedendomi pensò che fossi mia sorella. Non mi riconobbe. Rosaria, esclamò. No papà, sono Vittoria. Disse: quanto sei bella. Il regalo più emozionante che potessi ricevere, sentirsi amata dal proprio papà».
E la sua cittadina come la accolse?
«Bene. Ero io che non mi accoglievo bene. La prima vittima dei pregiudizi sono stata io, educata dalla paura dei genitori, non avevano gli strumenti per capire e mi invitavano alla cautela, mamma mi diceva stai attenta (ma il mondo è cattivo con tutti, maschi e femmine); condizionata dalla politica che dice che i generi sono due».
A scuola...
«Ero discriminata perché mi nascondevo dietro a un dito. La mia verità era così evidente che era difficile non prenderne atto. Quando alle medie mi dicevano una battutaccia, le classiche, “frocio, femminuccia”, io mi ribellavo e l’insegnante di italiano zittiva me perché non sapeva gestire l’argomento e a non avere parole era lei. Era la cosa che più mi offendeva. Sono stata una ragazzina che si nascondeva sotto le coperte. Mi spiaceva portare questo disagio ai miei, lo tenevo per me. Chiudevo la stanza, mi mettevo allo specchio e imitavo Sophia Loren, tra la diva e la mamma che porta le polpette a tavola con una femminilità naturale e travolgente».
Com’è la sua vita privata?
«Sono circondata dall’amore degli amici e del mio compagno, Donato Scardi, che fa l’imprenditore e ha un figlio di 19 anni con cui non vado d’accordo, perché non gli è stato detto che se i genitori non vanno d’accordo si lasciano e si innamorano di altre persone».

Attrice da quando?
«Ho cominciato nel ’98 con Lando Buzzanca. Ho fatto la serie La vita che volevi, per cui il 30 mi daranno il Nastro d’argento, e il titolo mi rispecchia; abbiamo girato a Lecce e la città m’è piaciuta così tanto che con Donato siamo andati a viverci. Appena concluderà un divorzio non facile ci sposeremo. Prima, a Roma, per mantenermi ho fatto la gelataia, la cameriera, la commessa che per me era divertente, mi piaceva vendere, ero brava a fare le vetrine».
La sua vita precedente.
«Quando mi chiamavo Giuseppe interpretavo ruoli maschili, poi sempre transgender. Giovanni Veronesi mi ha detto che sono sottovalutata e dovrei competere con le colleghe. Spero che il suo augurio si realizzi. Finora si pensa a me solo come transgender (per quanto nella serie sono vincente), e non come suora, poliziotta o coatta tossica. Oggi non abbiamo bisogno di ruoli macchiettistici, basta e avanza il circo in tv. Io sono alta 1 metro e 80, perché ci si deve focalizzare su quel pezzetto lì».
Se la sente di parlare dell’operazione?
«L’ho fatta in modo incosciente e ingenuo, pensando che mettesse equilibrio nella mia vita. Se potessi tornare indietro inizierei, prima della rettificazione degli organi, le cure ormonali. Mi faceva schifo il pene, non volevo guardarmi allo specchio, era la mia grande bugia; portavo la barba per paura della verità, nella mia vecchia vita non volevo essere relegata a ruoli da ragazzo gay. Sul set di Canepazzo ho detto basta, non sono quella roba lì. È come lo tsunami: quando arriva, o affoghi oppure nuoti con tutte le forze e ti metti in salvo».
Uscita dalla sala operatoria, cosa ha pensato?
«Ho immaginato delle cose, come sarà stare con un uomo, come mi sentirò quando faremo l’amore? Uscita, sono stata visitata da una ginecologa incinta di una bambina: fu il benvenuto nel mondo delle donne; solo una donna può ascoltare anche sessualmente un’altra donna. Mi accompagnava un mio caro amico con cui in passato avevo dormito insieme, da amici. Eravamo abituati a vederci nudi. Aperto quel capitolo subentrò il pudore, gli chiesi di uscire».
E la vita sessuale?
«La medicina ti consente di avere una sessualità appagante. La sessualità di una donna è meno potente nell’impatto ma più potente nel tempo».
Come ha conosciuto il suo fidanzato Donato?
«Otto anni fa venne alla presentazione del mio primo libro, La Vittoria che nessuno sa. Storia di una donna nata nel corpo sbagliato. Non sapeva chi fossi. Iniziò un corteggiamento serrato. Abbiamo fatto l’amore dopo due mesi che stavamo insieme, ed erano passati due anni dall’intervento. Essere vergini a 30 anni è diverso che a 15, è una roba molto importante».

In cosa è rimasta uomo?
«Mi sento più uomo di tanti ometti, io sono una donna con gli attributi, molti di più di quando ero Giuseppe. Ma rivendico il mio essere femmina. La parità non va confusa con l’uguaglianza. Io adoro cucinare ma non mi sento obbligata a farlo. All’anagrafe sono Vittoria, l’unico documento che non può essere modificato è il battesimo».
Ha posato per «Playboy».
«Tutto nasce dalla volgarità di una giornalista, Selvaggia Lucarelli. Mi riferì che un ex diceva che non mi ero operata. Mi arrabbiai, non sono una mucca a cui va alzata la coda... Le risposi: vieni a casa mia, ci spogliamo tutt’e due e vediamo chi ce l’ha più bella. Se dobbiamo fare le pescivendole, lo faccio anch’io. Così 12 anni fa mi chiamò “Playboy”, prima transgender sulla copertina. Sempre Lucarelli, a Ballando con le stelle mi disse che dovevo pensare solo a ballare. Ma non sono mica Lorella Cuccarini, ognuno lì racconta anche la sua storia. Io sono portatrice mio malgrado di un messaggio, spero di essere d’aiuto».
Si sono fatti passi avanti nella percezione dei transgender?
«Un po’ sì, una volta erano solo sex worker o emarginati. Però sogno una reale emancipazione, la prossima volta mi piacerebbe parlare solo di me come attrice».
È vero che ha l’incubo di svegliarsi con la barba?
Sorride. «Era una battuta che ho detto a Le Iene».
Cosa sogna invece?
«Di andare a Sanremo. Se hanno fatto scendere le scale a Malgioglio, con tutto il rispetto, non vedo perché non dovrei farlo io».
Però vi andò Drusilla.
«Non è una donna transgender. Finito il numero si toglie la parrucca, va al supermercato e torna a essere Gianluca. Drusilla e Malgioglio sono stati due fumetti di talento. La mia presenza avrebbe un significato diverso, sarebbe anche educativa rispetto alla tolleranza».
Cos’è la trasgressione?
«È dire la verità, il vero lusso è la sincerità. Essere normali è la trasgressione».