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 2025  maggio 26 Lunedì calendario

I liceali condannati, la punizione per i party «quasi nudi» delle élite di Mosca, 39 mila euro per andare in guerra: la svolta alla Kim di Putin

Nei giorni scorsi un magistrato di Nizhny Novgorod ha riaperto il caso di Kirill Smirnov e Yegor Starshinov, due teenager incarcerati un anno fa in quella città della Russia centrale. La loro colpa: nel novembre del 2023 avevano diffuso in un canale Telegram un video in cui i due, seduti in cucina, parlavano dell’Ucraina e criticavano l’esercito russo. Potenziale bacino di utenza del messaggio: 26 compagni di scuola iscritti al loro canale. La preside del liceo, Nina Govorova, li ha denunciati e per loro è scattata una condanna a due anni e mezzo di carcere non appena divenuti maggiorenni.
Adesso la procuratrice di Nizhny Novgorod, Anna Belova, vuole rivedere il processo. Ritiene ingiusta la condanna a due anni e mezzo. Intende dire che è insufficiente. Chiederà un allungamento ed è probabile che lo otterrà.
I perseguitati
Smirnov e Starnishov sono due dei 3.331 russi oggi oggetto di persecuzione da parte dello Stato per ragioni politiche, secondo il centro di ricerca Ovd Info (che oggi è considerato dal governo un «agente straniero», cioè una sorta di nemico della patria). Di questi oltre 1.604 sono detenuti, inclusi seicento nelle «colonie correttive» e una quarantina ai lavori forzati. Una parte di loro, come i due liceali di Nizhny Novgorod, sono stati denunciati da agenti, superiori o conoscenti. Il politologo Andrei Kolesnikov, che vive a Mosca, parla di un’«epidemia di delazioni».
Epidemia di delazioni
Lui stesso è classificato dal ministero della Giustizia come agente straniero, un marchio che gli impedisce di partecipare alla vita pubblica, presentare un libro, ricevere finanziamenti statali, tenere lezioni a minorenni, avere un pieno controllo del proprio conto in banca; quest’ultimo può essere sequestrato in qualunque momento da un pubblico ufficiale. E a molti «agenti stranieri» accade. «Ogni capo, investigatore o giudice oggi si vede come un piccolo Vladimir Putin – osserva Kolesnikov -. Dopo anni di ‘operazione militare speciale’ in Ucraina la loro autorità non è più limitata in alcun modo».
Perché tutto questo ci riguarda?
Il conflitto permanente
In fondo, non sembra niente di nuovo. La Russia di Putin, qui sopra con il patriarca Kirill, è aggressiva da sempre. Con lui al Cremlino, il Paese ha combattuto guerre in Cecenia (1999-2009), Georgia (nel 2008, ma l’occupazione continua tuttora), Siria (2015) e in Ucraina dal 2014. La Russia è stata in guerra per ventuno dei venticinque anni di Putin al potere; e i quattro anni in cui non lo è stato erano particolari: lui non era presidente ma primo ministro, impegnato a cambiare la costituzione per tornare al Cremlino.
Il bilancio di guerra
Con Putin presidente, Mosca è sempre stata in guerra. Ha raso al suolo città in Siria, in Ucraina e nei propri stessi confini (Grozny). Continua a farlo. Il potere di Putin ormai è talmente identificato lo stato di guerra che il bilancio militare e di sicurezza dello Stato è arrivato a ben oltre un terzo della spesa pubblica. E sale ancora. Per aumentare la produzione di armi e l’aggressione all’Ucraina, nei primi quattro mesi del 2025 la spesa totale è cresciuta all’equivalente a 180 miliardi di euro da 140 miliardi di un anno fa, a un tasso di cambio del rublo più o meno invariato.
L’atto di guerra contro i russi
L’atto di guerra di Putin è nei confronti dei russi stessi, non solo degli ucraini. Un esame del registro dei testamenti mostra che i morti in Ucraina alla fine del 2024 fossero, dal 2022, almeno 165 mila. Senza contare chi non ha lasciato niente ai familiari. Negli ultimi giorni però la pubblicazione dei dati sulla mortalità nella popolazione è stata severamente ristretta, dopo che a marzo il numero dei decessi è risultato superiore del 5,8% rispetto a un anno fa e ad aprile superiore del 15%. Poiché quest’ulteriore impennata delle morti è legata alla guerra, probabilmente non conosceremo mai il dato demografico di maggio. Rosstat, l’agenzia statistica, non può pubblicarlo.
Il bonus di guerra
Sappiamo però che il bonus d’ingresso per firmare un contratto con l’esercito e partire per l’Ucraina è salito: dall’equivalente di circa cinquemila euro un paio di anni fa a 25 mila euro per la regione di Mosca, 28 mila per Magadan, fino a 39 mila per Sverdlovsk. Anche le indennità in caso di morte sono aumentate, in molti casi da 80 a 140 mila euro circa. Putin non vuole un’altra mobilitazione come quella del settembre 2022, per non suscitare l’avversione dei russi verso l’avventura ucraina. Preferisce coprire d’oro i propri cittadini perché accettino di autodistruggersi nella fornace del Donbass, in cambio di pochi metri da rosicchiare in una pianura devastata: oggi la Russia controlla meno territorio ucraino rispetto a tre anni fa (19,4% oggi, contro il 27% circa all’inizio di aprile del 2022).
Il modello nord-coreano
Quale regime è capace di una follia del genere? Andrei Yakovlev, Vladimir Dubrovskiy e Yuri Danilov scrivono su “Foreign Affairs” che il putinismo è diretto verso un modello nord-coreano di autocrazia militarizzata. È rilevante per noi in Europa perché in questi ultimi due anni Putin presenta ormai sempre più spesso la guerra come una lotta della civiltà russa contro l’arroganza dell’Occidente. I nemici siamo noi, l’Ucraina la presenta quasi solo come il territorio attuale sul quale si combatte questa lotta che resterà anche nel caso di una tregua. Il putinismo vive ormai attorno all’idea del conflitto perpetuo con un Occidente debosciato, decadente e colonialista – ne dipende – e si struttura in questa sua missione con i tratti di un totalitarismo personalista. Così ogni trasformazione interna ha il suo riflesso nelle sue azioni all’esterno e viceversa. Per questo è importante capire la metamorfosi in corso. A partire proprio dalle delazioni.
I premi alla carriera
In Russia, i premi di carriera ai pubblici ufficiali in base al numero delle denunce sono una tradizione di età zarista. Non è mai stata abolita ma – secondo i calcoli di Ovd Info – dall’inizio della guerra totale all’Ucraina il numero delle accuse per cause politiche è raddoppiato a una media di una decina di nuovi casi alla settimana. Le possibili violazioni del codice penale sono 52, dal «tradimento dello Stato», alle «operazioni riservate con stranieri», all’«insulto pubblico di sentimenti religiosi». La delazione ha preso le caratteristiche di un fenomeno di costume. Qualche anno fa alcuni dissidenti hanno aperto un «sistema automatico unificato per le denunce» al sito Rosdonors.rf, offrendo l’opzione di rivolgersi al Cremlino, alla Duma e ad altre sei alte autorità. Era finto, ma sono piovute migliaia di segnalazioni.
Alexander Baunov è convinto il totalitarismo sia la direzione di marcia del sistema.
Il suo libro «La fine del regime» (in Italia uscito per la Silvio Berlusconi editore) racconta del crollo dei dittatori in Spagna, Portogallo e Grecia, ma con quel titolo fra i russi è andato a ruba. All’autore è valso il marchio di agente straniero. Fra le conseguenze, il trasferimento dei ricavi dalle vendite del suo libro su un conto della banca Sberbank di fatto sotto il controllo del governo. «In Russia non vivevamo questo livello di repressione neanche ai tempi di Nikita Krusciov o di Leonid Breznev» mi ha detto Baunov. «Gli uomini della nomenclatura sovietica tendevano a essere meno aspri – continua Baunov -. Putin invece non ha le loro paure e non è soggetto allo stesso sistema di decisioni collettive: conta sul fatto che il suo regime non finirà, dunque non risparmia lunghe condanne al carcere per chiunque altro». Meno di un quinto delle pene per reati politici si ferma ai quattro anni di carcere, circa metà delle condanne sono di almeno sette con decine di casi di pene a vent’anni e oltre.
Il fantasma di Prigozhin
Un fondo d’insicurezza sulle élite il dittatore sicuramente deve averlo, perché la rivolta di Evgenij Prigozhin nel giugno del 2023 ha rivelato la loro potenziale infedeltà. Mentre il capo di Wagner marciava su Mosca, senza trovare resistenza, pochissimi nelle élite amministrative, degli affari o anche dell’esercito hanno espresso la loro condanna. Improvvisamente il silenzio dei propagandisti si era fatto assordante. Il sistema nella sua rigidità mostrava che, sotto pressione, può spezzarsi di colpo.

La pretesa del controllo
Forse è per questo che da allora Putin ha esteso la sua presa totalitaria, cioè l’espandersi del controllo dello Stato alla vita privata, anche delle élite. Alla fine del 2023 Anastasia Ivleeva, una presentatrice televisiva attraente e politicamente allineata, ha ospitato un party per ricchi moscoviti il cui dress code era: «Quasi nudi». Lei indossava un monile da oltre duecentomila dollari sul didietro, mentre una folla di alti burocrati, uomini d’affari, celebrità e influencer aveva trovato altre soluzioni. Nei giorni seguenti sono uscite le solite foto rubate su siti di gossip e riviste patinate. Tutto pilotato, come sempre. Perché tutti i protagonisti erano figure del regime.
I party delle élite a Mosca
Solo che stavolta è arrivata la reazione. Putin in persona ha commentato: «L’élite del Paese dovrebbe essere fatta di gente che partecipa all’operazione militare speciale, non che va in giro mostrando i sederi e i genitali». Le scuse degli invitati al party o le donazioni alla chiesa ortodossa – quella che teorizza l’espiazione totale dei peccati per chi si immola in Ucraina – non sono valse a nulla. Ivleeva ha subito un’ispezione fiscale, altri si sono visti cancellare contratti televisivi e cinematografici. Mesi dopo alcuni dei partecipanti al party dei «quasi nudi» erano ancora impegnati in serate di spettacolo per le truppe nell’Ucraina occupata, a titolo di espiazione.
La fedeltà non basta
L’episodio figura in un libro sulle élite russe in tempo di guerra, che pubblicherà nei prossimi mesi Alexandra Prokopenko. Ex banchiera centrale russa, in esilio dal 2022, anche lei è stata dichiarata agente straniero. Prima di lasciare la Russia – forse per sempre – ha notato che su un muro della scuola materna di sua nipote era apparsa una grande foto di Putin e del Cremlino al posto dei disegni dei bambini. La fedeltà passiva non basta più, bisogna far prova di mobilitazione e di disponibilità; anche senza sapere esattamente in che modo. Scrive Prokopenko: «In Russia le regole del gioco sono state riscritte, ma a nessuno è stato spiegato come. Prima bastava non criticare la guerra o appoggiarla sottotono, non sfidare il Cremlino, non lasciare la Russia o semmai farlo in modo discreto. Ora – continua Prokopenko – nessuno nel ceto dirigente sa dire cosa potrebbe innescare la prossima punizione: abiti d’importazione, andare al concerto sbagliato, una battuta di cattivo gusto?».
Le spie scolastiche
È più facile, in un certo senso, per chi si trova due o tre livelli sotto. Lì sai cosa aspettarti. Ogni grande università ha il suo agente interno dell’Fsb, il servizio segreto, che osserva e raccoglie le denunce. Ogni università minore ha un funzionario con lo stesso incarico. Dalla prima elementare i bambini si esercitano sulle frasi di Putin e il sistema scolastico è passato ai libri di testo unici, in tutte le materie umanistiche. Quello di storia è firmato da un alto funzionario al servizio diretto di Putin, Vladimir Medinsky. La seconda guerra mondiale viene raccontata come un’eroica lotta per la sopravvivenza della Russia da sola, rimuovendo gli alleati occidentali o le armi fornite dall’America di Roosevelt. La stessa guerra all’Ucraina sempre più spesso è presentata come la continuazione della stessa lotta per finire il lavoro.
La mobilitazione completa
Resta il carattere ambiguo di questa scelta. In primo luogo perché «se questo è il racconto – nota Prokopenko – allora manca un’immagine di cos’è la vittoria». Anche perché il totalitarismo implica una mobilitazione completa della società. Ma per sedare le ansie del pubblico Putin nega persino che questa esista, preferendo l’eufemismo di «operazione militare speciale» anche dopo tutti i morti e i feriti. Per questo Kolesnikov definisce il sistema «totalitarismo ibrido». Dice: «Putin ha trovato un modo efficace di alternare la mobilitazione militare ma soprattutto emotiva della società e la smobilitazione delle maggioranze, la loro possibilità di vivere vite private in cui la guerra non figura».
Red notice
Questo non toglie niente alla ferocia del sistema. Baunov e Prokopenko sono fuggiti e lavorano al Carnegie Eurasia, un think tank passato nel 2022 da Mosca a Berlino e diretto da Alexander Gabuev. Gabuev, 40 anni, viaggia in tutto il mondo per alimentare la vita del Carnegie e tenere i riflettori sul regime. Sa cosa rischia. «Se da Mosca partisse una red notice, una richiesta all’Interpol di arresto ed estradizione nei miei confronti, in Occidente le polizie non la eseguirebbero, ma su altri Paesi avrei dei dubbi», mi ha detto. Pochi giorni dopo la red notice è partita davvero. Gabuev ora è un ricercato internazionale. Vive fuori dalla Russia, in teoria al sicuro. Ma per anni non saprà in quale aeroporto nel mondo potrebbe essere arrestato.