la Repubblica, 27 maggio 2025
Il record di papà che lasciano il lavoro per stare con i figli
Nel 2024 quasi 61 mila genitori, con figli fino a tre anni, hanno lasciato il lavoro in Italia. Diecimila in più del pre-pandemia. Un’emorragia dovuta a orari troppo lunghi, carichi di lavoro eccessivi, desideri di trovare aziende migliori. Ma, soprattutto, per l’impossibilità di conciliare vita professionale e cura dei bambini: oltre 35 mila genitori, rispetto al totale, hanno dato questa come principale motivazione. Lo hanno dichiarato al momento delle dimissioni, partecipando a una verifica dell’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) il quale accerta che non ci siano casi di mobbing.
Ancora una volta hanno mollato soprattutto le donne, oltre 42 mila, indicando tra i vari motivi prima di tutto l’impegno nell’accudire i piccoli. Ma si sono dimessi pure quasi 19 mila uomini. Il 30,5% del totale. È la prima volta che viene registrato un dato simile. Se da un lato può essere il segno di una maggiore mobilità sul lavoro, dall’altro appare come un primo cambiamento negli equilibri familiari: l’anno scorso il 21,1% dei padri, circa 4 mila, ha dato come spiegazione principale del recesso la complessità nella cura dei bambini. Appena due anni prima la percentuale era ferma al 7,1%.
Resta «uno sbilanciamento di genere di notevoli proporzioni» ricostruisce l’Inl. Ma la crescita tra i padri, è probabilmente «il segnale di un ulteriore indebolimento di un Paese che fa molta fatica. E quandosubentra un figlio diventa tutto più impegnativo – spiega Mauro Magatti, professore di sociologia all’Università Cattolica di Milano –. Non si riescono a gestire i tempi: molti lavorano su orari incompatibili con le esigenze dei bambini». Tra i genitori dimissionari, considerando ogni motivazione, «la componente dei padri non è più trascurabile» scrive l’Inl: nell’ultimo decennio sono passati da «presenza residuale» a quasi un terzo del totale. In un contesto di incertezze economiche e salari bloccati, «può succedere che nella coppia decida di mantenere il posto il lavoratore “più forte”: chi ha miglioripossibilità sul mercato. E oggi sono anche donne istruite e preparate – prosegue il docente – una razionalità economica».
Molti che abbandonano sono operai, sanitari, addetti al commercio, impiegati in alberghi e ristorazione. Per Danilo Papa, direttore dell’Inl, le ultime analisi confermano che «la genitorialità, in particolare per le lavoratrici madri, continua a rappresentare un momento critico nella permanenza nel mercato del lavoro. Questo quadro rafforza la necessità di un’azione istituzionale integrata, capace di prevenire e contrastare le discriminazioni in modo efficace, tempestivo e concreto». Marianna Filandri, sociologa economica all’Università di Torino, sottolinea quanto incidano «impieghi poco pagati o saltuari che non forniscono abbastanza reddito per le spese della cura, così costose. Si rinuncia a un reddito per bilanciare le spese e svolgere quelle attività. Quasi sempre è la donna a farlo, perché ha salari piùbassi. Il fatto che oggi, magari nelle coppie giovani, alcune possano guadagnare di più, o avere contratti più stabili, può spingere l’uomo a rimanere a casa». E aggiunge: «Davanti al bassissimo tasso di natalità, la risposta politica non può essere un bonus, serve un supporto strutturale».
Il 24% degli abbandoni sono in Lombardia. Seguono Veneto ed Emilia Romagna. Agli ultimi posti Basilicata, Valle D’Aosta, Molise. «I congedi di paternità sono uno dei modi più importanti per arrivare a una parità effettiva – dice Rita Biancheri, professoressa di sociologia dei processi culturali all’Università di Pisa –. Andrebbero estesi al pari di quelli delle donne. Sulla famiglia bisogna metterci la mano. La Francia ha agito su congedi e incentivi,ha funzionato».