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 2025  maggio 27 Martedì calendario

Ungheria, 17 Paesi Ue attaccano: “Vieta il Pride e viola i diritti Lgbt. Attivare l’articolo 7”. Ma l’Italia non firma

“La situazione in Ungheria non è accettabile”. Le parole della ministra danese per gli Affari europei, Marie Bjerre, riassumono il clima di nuova, in realtà mai sopita, tensione tra Bruxelles e Budapest sullo Stato di diritto. Una decisione fondamentale potrebbe arrivare già nella giornata di martedì, con il Consiglio Affari Generali Ue che si è riunito per esaminare, tra le altre cose, la procedura dell’articolo 7 nei confronti del governo di Viktor Orbán che potrebbe portare alla sospensione di Budapest dal voto nelle riunioni dei 27 Stati membri. Il motivo: la decisione dell’esecutivo magiaro di vietare il Pride.
Sono già 17 i Paesi, tra cui anche Francia e Germania mentre non c’è l’Italia, che in una dichiarazione congiunta si dicono “profondamente preoccupati” per la messa al bando del Pride in Ungheria e chiedono a Budapest di “rivedere tali misure per garantire il rispetto e la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali di tutti i cittadini, in conformità con i propri obblighi internazionali“. Il testo, promosso dai Paesi Bassi, mostra all’Ungheria la strada da seguire per evitare di incorrere in provvedimenti da parte dell’Unione e chiede alla Commissione presieduta da Ursula von der Leyen di “usare tempestivamente e pienamente gli strumenti a sua disposizione in materia di Stato di diritto nel caso in cui tali misure non vengano riviste di conseguenza”. Da parte sua, Palazzo Berlaymont fa sapere di aver “detto chiaramente all’Ungheria che siamo aperti all’impegno e al dialogo. Questa è sempre la nostra prima preferenza. Vogliamo che gli Stati membri siano pienamente conformi allo Stato di diritto. Non è un optional, è un obbligo fondamentale dell’appartenenza all’Ue e ce lo aspettiamo dall’Ungheria, come da tutti gli altri Stati membri”, ha spiegato il commissario europeo per la Democrazia, la Giustizia, lo Stato di diritto e la Tutela dei Consumatori Michael McGrath. “I membri del Consiglio devono quindi prendere una decisione politica in merito all’articolo 7 – ha aggiunto – la Commissione è stata molto proattiva nell’affrontare le questioni relative allo Stato di diritto con l’Ungheria”. Oltre al divieto del Pride, il commissario si è soffermato sul progetto di legge sulla trasparenza della vita pubblica, spiegando di aver inviato a Budapest una lettera insieme alla vicepresidente della Commissione Henna Virkkunen per esprimere “le nostre gravi preoccupazioni” e chiedere il ritiro del progetto di legge poiché si tratta di “una violazione del diritto dell’Ue, compresa una violazione delle libertà del mercato interno e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Se il governo ungherese dovesse approvare e promulgare questa legge siamo pronti a utilizzare gli strumenti a nostra disposizione”.
Il ministro ungherese per gli Affari Europei, Janos Boka, smentisce la ricostruzione dei Paesi critici nei confronti del suo governo e assicura che Budapest è in grado di spiegare come stanno andando realmente le cose: “In Ungheria non esiste una cosa come il divieto del Pride. L’audizione di oggi mi darà l’opportunità di spiegare ai miei colleghi il quadro costituzionale e giuridico. Spero che, dopo queste discussioni, i miei colleghi intorno al tavolo usciranno con una visione più sfumata della legislazione ungherese”, ha dichiarato.
Lo scontro nasce dalla riforma costituzionale approvata il mese scorso in Ungheria che sancisce il primato del diritto dei bambini a un “corretto sviluppo fisico, intellettuale e morale” sugli altri diritti fondamentali, eccetto il diritto alla vita. Un giro di parole, secondo i critici, per giustificare qualsiasi tipo di restrizione dei diritti delle minoranze, in particolare della comunità Lgbtqi+ già attaccata in passato dall’esecutivo ungherese con l’accusa di trasmettere valori dannosi per i minori. Tanto che per tracciare e multare i partecipanti, Budapest ha acconsentito all’uso del riconoscimento facciale, pratica vietata dal diritto europeo.
Arrivando al Consiglio Ue, la ministra Bjerre ha detto che nessun progresso è stato registrato in questo mese, nonostante i messaggi inviati da Bruxelles: “Al contrario, vediamo un declino in termini di valori e diritti fondamentali. E dobbiamo difenderli perché è su questo che si fonda l’Ue. Siamo pronti a utilizzare gli strumenti necessari anche per andare avanti con l’articolo 7, se si riuscirà a trovare un consenso”.
Consenso che, al momento, non sembra esserci. Oltre al via libera del Parlamento europeo, serve anche che si esprimano a favore i quattro quinti degli Stati membri. In questo momento, sono 16 i Paesi firmatari del documento e non è chiaro se altri decideranno di aderire. Un appello lo ha lanciato entrando al Consiglio Ue anche la ministra svedese per gli Affari europei, Jessica Rosencrantz, che si è detta “profondamente preoccupata per i recenti sviluppi, per i passi indietro in materia di Stato di diritto e di trasparenza. Assistiamo a un giro di vite sulla società civile e, non da ultimo, all’esempio più recente del divieto delle marce del Pride. Abbiamo avuto sette anni, sette audizioni, questa situazione non può continuare, a meno che oggi non si veda un atteggiamento completamente nuovo da parte ungherese”.