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 2025  maggio 26 Lunedì calendario

Intervista a Giulio Muttoni

Giulio Muttoni rappresenta un pezzo di storia della città di Torino. Chiunque abbia esultato o pianto di gioia tra il pubblico dei grandi concerti rock, pop e jazz, sa che a lui deve il merito di quelle serate. E poi, risiedono nella memoria collettiva gli eventi organizzati per Medals Plaza, la Piazza delle Medaglie dei XX Giochi olimpici invernali disputati a Torino nel 2006, trasmessi in mondovisione. Il palco, tra i più grandi costruiti in Europa, era nel cuore di piazza Castello; ospitò 55 delle 84 cerimonie di premiazioni degli atleti, 15 concerti durante le olimpiadi, 5 concerti durante le IX Giochi paralimpici invernali e la cerimonia di chiusura delle paraolimpiadi. Ma tutto cominciò con un ragazzo che «sognava una Mercedes».
Partiamo dagli esordi, ci racconta il suo primo incarico?
«Mi venne affiato dal Partito Comunista, all’interno del quale seguivo l’organizzazione di eventi sotto la supervisione di Primo Greganti. In seguito iniziai a lavorare per l’Arci, all’interno del quale contribuivo ad organizzare concerti per “I punti verdi”, grande intuizione di Giorgio Balmas. Due esperienze di grande formazione. È stato lì che ho imparato davvero il mio mestiere».

Poi arrivò il balzo al Big Club.
«Un’esperienza straordinaria che ho potuto realizzare grazie all’esperienza maturata all’Arci e con la squadra di collaboratori che nel frattempo si era consolidata. Fu una sfida: era il 1985, avevo trentadue anni e pochi soldi in tasca. Firmai molte cambiali».
Il Big ebbe un grande successo.
«Al di là delle previsioni. Una bella avventura che condivisi con il mio amico, socio e direttore del Big, Andrea Tortorella».
Molte coppie si formarono nelle serate a tema…
«È vero, era la serata delle “anime gemelle”».
Sono celebri i concerti e le performance del Big.
«Certo, quello era il vero intento: essere un club di intrattenimento. Ed è stato proprio al Big che è avvenuto l’incontro con la multinazionale Philip Morris con la quale iniziai una lunga, importante collaborazione».
Come arrivò al contatto?
«Attraverso i brand manager che, all’interno dei locali più importanti d’Italia, proponevano il “servizio fumo” attraverso le ragazze immagine. Dai primi contatti arrivai a poter dialogare con i presidenti della multinazionale. Ne conobbi sette. Nacque una lunga, proficua collaborazione che durò quasi quarant’anni».
Da dove partì? Che cosa avete realizzato insieme?
«Iniziammo sulla fiducia, perché organizzammo per loro uno stand nell’ambito di Torino Esposizioni: era la nostra prima esperienza nel campo. Ricordo la fatica e il terrore quando, al termine dell’allestimento, ci chiesero di installare la moquette. In realtà, fu un bel successo dovuto al fatto che replicammo il format dell’intrattenimento anche all’interno dello stand, creando un effetto sorpresa».
E poi?
«Da lì, diventammo una vera e propria società di eventi. Con loro, per esempio, abbiamo partecipato al Motor Show, manifestazione di straordinarie proporzioni. Poi, collaborazioni nel campo del cinema, della vela, del jazz, motocross. Dopo PM, arrivarono nuovi clienti importanti per cui organizzammo tour internazionali».
Era un partner importante dunque.
«Più che altro, eravamo il loro braccio armato in un mercato in cui gli era vietata la pubblicità diretta. Fu un successo perché Philip Morris puntò sulla nostra potenzialità offrendoci l’opportunità di crescere e imparare soprattutto coinvolgendoci attivamente nelle strategie aziendale».
Arriviamo al 2006, ai Giochi di Torino.
«In occasione delle olimpiadi invernali, l’assessore Elda Tessore, donna di straordinaria lungimiranza, propose l’evento Medals Plaza. Lei capì l’importanza di dare visibilità alla cerimonia di consegna delle medaglie, evento altrimenti destinato a esaurirsi sulle piste, sempre lontano dal grande pubblico. Arrivarono in Piazza Castello artisti come Boccelli e Whitney Houston».
Faticoso?
«Fu galvanizzante e faticoso. Per esempio, dovevamo gestire la sicurezza di 700 operai addetti alla costruzione del palco».
Dopo arrivò l’esperienza dei siti olimpici. Lo rifarebbe?
«No. Subentrai in una società che aveva perso 21 milioni in tre anni, convincendo Live Nation, gruppo internazionale nel campo di eventi e gestione degli spazi, a diventare socio sperando nel loro sostegno operativo, ma non arrivò. Fu una delusione. Nel 2015 Parco Olimpico andò in pareggio e dal 2017 iniziò a produrre utili. Ho il ricordo di una vera e propria battaglia nei confronti di molti detrattori. La sensazione di aver investito tanta energia vanificata dalla vicenda giudiziaria che ha interrotto tutto».
I fan ricordano i grandi concerti.
«Tra tanti: U2, che rimasero in città 10 giorni per le prove del tour, Madonna, Coldplay. Aver martellato a lungo le grandi agenzie fu premiante: Torino divenne numero 2 in Italia per numero concerti».
Quasi tutti i suoi collaboratori hanno fatto con lei tutto il percorso professionale.
«Sì, sono tutte persone a cui sono legato non solo professionalmente ma soprattutto dal punto di vista umano. Nel mio lavoro il capitale umano ha fatto la differenza. Il successo è scaturito dalla collaborazione di una squadra affiatata su cui ho sempre potuto contare. Per me è stato inevitabile coinvolgerli in ogni nuova avventura professionale o difenderli quando è stato necessario».
Per molto tempo è stato al centro di una vicenda giudiziaria che, per ora, sembra conclusa al meglio. Cosa le resta di questa esperienza?
«Amarezza e rabbia, sono solo moderatamente soddisfatto. In dieci anni è stata distrutta la mia vita e le mie aziende».
Si tolga un sassolino…
«Quando sono stato rinviato a giudizio non mi ha stupito la reazione dell’opinione pubblica, influenzata dalle accuse, ma l’abbandono da parte del board delle due aziende che ho citato, con cui ho condiviso, per decenni, l’organizzazione di eventi eccezionali e una straordinaria amicizia: Live Nation e Philiph Morris. Una vera delusione».
Ora i pilastri della sua vita sono...
«I miei figli, che adoro. Jimi, uomo dalla grande rettitudine, riflessivo, che mi ha regalato una nipotina, e Valeria, carnale, vulcanica. E poi, mia moglie, Patrizia, la parte complementare di me. Con lei sarà bellissimo invecchiare».
Quale è stato il primo sogno?
«Sognavo una Mercedes…».