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 2025  maggio 26 Lunedì calendario

«Ero Dat, oggi sono Andrea. Della mia vita italiana ringrazio ancora Montanelli»

Prima si chiamava Dat Tang Minh, oggi è Andrea il vietnamita. Cittadino italiano con un debito di riconoscenza. Porta il nome della nave che ha salvato i suoi nonni quando il Vietnam era un inferno e i profughi alla deriva cacciati dai khmer rossi erano Boat People. La cittadinanza l’ha avuta a 18 anni. Curriculum esemplare: scuole elementari e medie a Zavattarello, alta Valtidone, istituto tecnico dai salesiani ad Alessandria, militare da obiettore in una casa di riposo.
«Della mia rinascita italiana devo ringraziare Indro Montanelli», dice. Dalla tasca della giacca spunta una foto tenuta come una reliquia: c’è la famiglia Tang Minh e in mezzo il grande giornalista. «Siamo andati ad abbracciarlo nel suo ufficio di direttore del Giornale. Nel 1985 un suo articolo in favore del ricongiungimento ha salvato la mia famiglia».
Andrea è un mago del tornio, da qualche anno ha avviato un’impresa artigianale che raccoglie materiali ferrosi e li trasforma in pezzi di ricambio. Sentirsi italiano per lui è naturale. Al punto da offrire prima di altri uno spazio del suo capannone ai libri dismessi che in questa valle, tra il Po e il torrente Luretta, cercavano un posto per essere schedati e catalogati, prima di finire nelle librerie diffuse sul territorio gestite da volontari. «È il mio grazie all’Italia, che ci ha salvati e ci ha dato un futuro».
Se la cittadinanza di cui si parla oggi è anche un percorso di senso, Andrea il vietnamita è arrivato fino in fondo: non dimentica lo sforzo collettivo di un Paese che ha impegnato il governo Andreotti e il ministro Zamberletti nel salvataggio di 907 uomini e donne in fuga dai mitra dei sanguinari khmer rossi. «Era il 1979 e su quelle barche sfasciate che vagavano in mare c’erano i miei nonni. Su uno straccio sporco appeso al pennone avevano scritto Sos. Erano esausti e stremati: batterono le mani quando vennero raccolti dalle navi italiane, Andrea Doria e Vittorio Veneto con la Stromboli...».
Una volta noi facevamo queste cose, non a largo di Lampedusa, ma a migliaia di chilometri di distanza, ha scritto il biografo di Zamberletti, Gianni Spartà. Quella missione umanitaria è una storia da non dimenticare, un salvataggio riuscito su pressione del Vaticano e dello spirito che anima la Protezione civile.
Il Vietnam nel 1979 era un mattatoio. L’ultimo marine se n’era andato da Saigon quattro anni prima. Via gli americani era cominciata in Cambogia la rieducazione comunista di Pol Pot: un genocidio. Chi non riusciva a fuggire allo sterminio di massa finiva ai lavori forzati. Il mondo che prima andava in piazza per loro, si voltò dall’altra parte. E iniziò l’odissea dei Boat People. «Una piccola borghesia logorata da anni di guerra, privata di tutto, si riversò sui barconi in cerca di aiuto», racconta Andrea. «Partirono i nonni, noi restammo coi genitori. Avevo due anni e un fratellino di pochi mesi. Sui barconi non c’era cibo, si rischiava di finire nelle mani dei pirati e si moriva di stenti. Le navi con la bandiera tricolore furono un miracolo inaspettato».
La piccola grande Italia. Scossa anche da articolo di fondo del Corriere della Sera. Si intitolava «Orfani». Firmato Giuliano Zincone. Definiva il sentimento della generazione che gridava «uno, cento mille Vietnam» e poi «America go home». Una generazione costretta a ricredersi. Ad abbattere i miti. A prendere atto di essersi sbagliata. Orfani, appunto.
Per quei profughi sbarcati in Italia c’era un prete in prima linea: don Mario Picchi a Roma. Un altro a Zavattarello aprì le porte della canonica. «Don Carlo Leardi ha sistemato i nonni e ha fatto di tutto per aiutarli a rimettere insieme la mia famiglia». E Montanelli da dove salta fuori? «Gli hanno scritto. Don Carlo ha mandato lettere, per lui era un riferimento». E così Montanelli ha tambureggiato sulla sua «Lettera 22»: «bisogna rimettere insieme le famiglie prima di un altro massacro, è un atto di giustizia che dobbiamo a questi profughi».
Messaggio ricevuto. Dal presidente Pertini, al ministro Andreotti, alla diplomazia, è cominciata una corsa contro il tempo. Quando la battaglia sembrava perduta è arrivata l’attesa telefonata: «i coniugi Nguyen Ki Thua e Tang Tuyet Lieu con i figlioletti Dat di 7 anni e Duc di 6 sbarcheranno a Linate il 10 novembre 1985».
Quarant’anni dopo Dat si presenta come Andrea, parla un buon italiano, è sposato, padre di quattro figli, si è trasferito da Zavatterello a Borgonovo e adesso vive a Gragnano Trebbiense. È un caso riuscito di cittadinanza: nel ricordo di quel salvataggio ringrazia ogni anno il nostro Paese con l’intera comunità vietnamita. Poi mette le mani come in preghiera e pronuncia il nome di Montanelli. La sua fotografia è sempre nel taschino della giacca. Quando la tira fuori, sembra un passaporto.