La Stampa, 26 maggio 2025
Se Black Lives Matter è in frenata, la speranza è solo nella teoria del pendolo
Una veglia a lume di candela, una funzione religiosa, un concerto gospel seguito da letture di poesie. È così che Minneapolis ha ricordato la morte di George Floyd, ucciso cinque anni fa dall’agente di polizia Derek Chauvin che per nove minuti ha premuto il ginocchio sul collo del quarantaseienne afroamericano, mentre lui ripeteva “I can’t breath”, la supplica diventata il grido di battaglia contro il razzismo. Una commemorazione sottotono, soprattutto se paragonata ai 26 26 milioni che cinque anni fa si riversarono nelle strade di tutti i 50 stati, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana.
La misura di quanto il movimento Black Lives Matter fosse sostenuto allora e di quanto, in pochi anni, quel sostegno lo abbia perso, un po’ per colpa sua, un po’ sotto i colpi dell’amministrazione Trump. La stessa George Floyd Plaza – l’incrocio tra la 38esima strada e Chicago Avenue trasformato in un memoriale a cielo aperto – dopo cinque anni non ha ancora trovato la sua forma definitiva. C’è il murale con la faccia di Floyd, ci sono i fiori lasciati dai turisti, ma il futuro della piazza è ancora oggi oggetto di acceso dibattito tra il governo di Minneapolis e i membri della comunità, tra chi la vorrebbe chiusa al traffico e chi, come i commercianti della zona, vorrebbe riaprirla. Questo mentre in tutta la nazione altri memoriali in onore di Floyd e del movimento sono stati cancellati, vandalizzati o lasciati in rovina e mentre poche settimane fa è stata rimossa l’enorme scritta gialla Black Lives Matter sulla sedicaesima strada, vicino alla Casa Bianca, una decisione presa dalla sindaca su pressione dell’amministrazione Trump che aveva minacciato di tagliare i fondi federali alla capitale. Un deliberato atto di cancellazione dei simboli che si accompagna allo svanire delle speranze in una riforma federale della polizia e nell’impegno per far prevalere diversità, equità e l’inclusione, spazzato via da Trump con un ordine esecutivo, e mentre il dipartimento di giustizia ha appena deciso di chiudere le indagini sugli illeciti nei confronti dei dipartimenti di polizia di diverse città tra cui Minneapolis, New York e Memphis. Trump a parte, non c’è dubbio che la lotta al razzismo stia vivendo un momento di regressione e che il movimento che la sostiene sia ai minimi storici di popolarità.
Nato dopo l’assoluzione di George Zimmerman per l’omicidio di Trayvon Martin nel 2013 e dopo le morti di Michael Brown a Ferguson e di Eric Garner a New York nel 2014, entrambi per mano della polizia, è con l’uccisione di Floyd che Black Lives Matter ha il suo picco arrivando a raccogliere, nel 2021, la sbalorditiva cifra di 79,6 milioni di dollari. L’anno successivo, la cifra scende a quasi 8,5 milioni di dollari e nel 2023 si aggira intorno ai 4,7 milioni. A provocare il crollo delle donazioni ci sono le accuse di cattiva gestione, di sperpero, di utilizzo privato di fondi che si sono riversate sui leader, danneggiando la reputazione del movimento stesso. Un esempio su tutti: Sir Maejor Page, ex leader di Atlanta, è stato condannato a 42 mesi di carcere per frode e riciclaggio di denaro. Secondo i dati del Pew Research Center la popolarità di Black Lives Matter è scesa di 15 punti percentuali rispetto al picco di giugno 2020, sebbene una leggera maggioranza del pubblico esprima ancora sostegno. La stessa ricerca riporta che il 72% degli americani afferma che “la crescente attenzione alla razza dopo l’omicidio di Floyd non ha portato a cambiamenti che abbiano migliorato la vita delle persone di colore”.
Chi vuole essere ottimista trova conforto nella teoria del pendolo: il risentimento bianco che è alla base del sostegno a Trump fa parte del normale corso della storia americana per cui a un avanzamento sociale segue sempre una reazione negativa. Il trionfo dell’abolizionismo lasciò il posto al Ku Klux Klan; la fine dell’era della Ricostruzione, dopo la guerra civile, portò violenza e terrore, ma i neri mantennero la cittadinanza. Come dire che i movimenti sociali possono andare incontro a battute d’arresto e inversioni di marcia, ma indietro del tutto non si torna mai. Con buona pace dei Maga.