ilfattoquotidiano.it, 25 maggio 2025
Dalle riunioni fittizie alla digitazione di testi senza senso, così i dipendenti fingono di lavorare: negli uffici aumenta il fenomeno “ghostworking”
Emergono delle curiosità interessanti nel nuovo rapporto – citato anche dal New York Post – dello studio di Resume Now, ovvero un centro online per la ricerca di lavoro. Quello che ne emerge è una società sempre più stressata per i ritmi di lavoro tanto che, anche a causa di ciò, sarebbero in aumento le persone che fanno “ghostworking”. Di cosa si tratta? Fingere di lavorare. O meglio: fingere di essere indaffarati a lavoro. Il tutto per apparire sempre produttivi, sempre sul pezzo quando, invece, non sempre è così. Anzi, talvolta non è neanche richiesto. “Più della metà dei dipendenti (58%) ammette di fingere regolarmente di lavorare – riporta la testata americana -. Dalle riunioni fittizie alla digitazione di testi senza senso, i dipendenti stanno diventando creativi per mantenere l’illusione di produttività“. Non solo. Nella maggior parte dei casi chi fa ghostworking cerca, in realtà, un altro impiego. Dunque finge di lavorare per cercare un nuovo posto di lavoro, forse meglio retribuito o con maggior comfort.
Gli esperti hanno spiegato: “Con il burnout, l’incertezza professionale e il lavoro da remoto che confondono i confini, i dipendenti stanno sempre più esplorando nuove opportunità durante la giornata lavorativa”. I dati sono questi: il 23% dei ghostworker gira per l’ufficio con un quaderno, mentre il 22% digita a caso parole senza senso sulla tastiera, simulando uno sforzo legittimo.
Il 15% ha tenuto il telefono all’orecchio senza effettuare una vera chiamata. Un altro 15% tiene aperti i fogli di calcolo mentre consulta contenuti non pertinenti. Inoltre il 12% ha pianificato riunioni fittizie per evitare di lavorare davvero. E ancora il 24% cerca un nuovo impiego sfruttando il tempo in azienda per modificare il proprio curriculum, mentre un 23% si candida addirittura per nuove posizioni tramite i computer forniti dall’azienda e il 20% risponde alle chiamate dei reclutatori dall’ufficio.
“Dulcis in fundo”, il 19% uscirebbe furtivamente dall’ufficio per fare colloqui con altre aziende. La soluzione? Secondo gli esperti potrebbe essere quella di “bilanciare la responsabilità con l’autonomia, dando ai dipendenti gli strumenti e la fiducia di cui hanno bisogno per essere davvero produttivi, non solo per apparire impegnati”. Insomma, un concetto non troppo distante da quello del TaskMasking, di cui erano stati accusati principalmente i dipendenti più giovani, quella della Gen Z. Eppure, a quanto pare, sono fenomeni piuttosto trasversali.