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 2025  maggio 25 Domenica calendario

Il catalogo dei papi che si sono chiamati Leone

Catalogo dei Leoni
 
Leone I Magno (toscano forse di Volterra, nato nel 390 circa, santo a cui sono dedicate le giornate del 10 novembre e dell’11 aprile, morto il 10 novembre 461, papa dal 29 settembre 440). Forse è il Leone più importante di tutti. Esisteva l’Impero romano d’Occidente, e l’imperatore di quell’impero si chiamava Valentiniano III. Attila, con i suoi barbari Unni, stava per arrivare a Roma. Valentiniano, figlio di Galla Placidia, un imperatore del tutto sottomesso alla volontà del generale Flavio Ezio (che poi però avrebbe ammazzato con le sue mani) chiese aiuto a papa Leone. Papa Leone si mise in viaggio verso la provincia di Mantova e nel punto in cui il Mincio si congiunge al Po (il posto dovrebbe essere Governolo, una frazione del comune lombardo di Roncoferraro) si trovò di fronte Attila. Papa Leone si mostrava con tutte le sue insegne, in una posa sfolgorante. Bastò questo per intimorire Attila? Molti dicono di sì, altri sostengono che gli abbia dato del denaro. Fatto sta che il re dei barbari se ne tornò in Ungheria. Era l’autunno del 452. Tre anni dopo, da sud, arrivò Genserico alla guida dei Vandali, degli Alani e di un gruppo di Visigoti sbandati. Papa Leone si mosse un’altra volta e incontrò il nuovo invasore alla porta Portuense, là dove attraccavano le navi che avevano risalito il Tevere. Ottenne solo che Roma non fosse incendiata, che i Vandali non facessero strage dei cittadini, che le basiliche di San Pietro, San Paolo e San Giovanni in Laterano non venissero toccate (qui infatti si rifugiarono, poi, i cittadini). Ma non riuscì a evitare il saccheggio del palazzo imperiale, il furto del tetto d’oro che copriva il tempio di Giove Capitolino, e, in definitiva, la devastazione della città. Il papa Leone Magno, cioè il primo dei papi Leone, è importante anche per questo: a quel tempo la Chiesa era governata soprattutto dai vescovi metropolitani, che a loro volta obbedivano ai vescovi delle sedi maggiori. Leone stabilì che tutti costoro dovevano in realtà seguire le direttive di Roma, dato che il vescovo di Roma è omnium episcoporum primastotius Ecclesiae princeps, «il primate di ogni vescovo, il principe di tutta la Chiesa». Una presa di posizione che ha dato luogo a una vertenza tra il centro e le periferie del mondo cattolico che dura ancora oggi (ha pensato di ribadirla Pio IX, nel Concilio Vaticano I, proclamando l’infallibilità del Papa, cioè del vescovo di Roma, ha tentato di moderarne gli effetti papa Francesco con i suoi sinodi). In qualunque parte del mondo ci fosse una questione da risolvere, Leone, grande teologo, interveniva con le sue lettere improntate a un sentimento forte della dignità e dell’autorità di Roma. Suo obiettivo del tutto raggiunto: la Chiesa sia unita e severamente disciplinata sotto la guida del Papa, capace di sconfiggere ogni eresia (a quel tempo gli eretici non si contavano: pelagiani, priscillianisti, manichei, ecc.). Forte anche la sua lotta contro le idee che si facevano circolare nella Chiesa dell’impero d’Oriente.
 
Leone II (forse siciliano di Messina, o forse calabrese, santo a cui è dedicata la giornata del 3 luglio, nato intorno al 611, morto il 3 luglio 683, papa dal 17 agosto 682). Gran cantante, gran conoscitore del latino e soprattutto del greco antico, non poteva essere consacrato papa finché l’imperatore non avesse dato il suo assenso. E l’imperatore (si trattava di Costantino IV) non dava il suo assenso finché il nuovo papa non si fosse rassegnato a proclamare eretico il papa Onorio I, che aveva approvato l’eresia monotelita. Di che si trattava? Cristo era allo stesso tempo Dio e Uomo, ma i monoteliti sostenevano che si muoveva spinto solo dalla volontà divina. Il Concilio di Costantinopoli aveva giudicato eretica questa idea, e l’imperatore voleva che anche il papa di Roma la giudicasse eretica. A papa Leone II stavano a cuore soprattutto i poveri, come si capisce dal Liber pontificalis, dove di lui sta scritto: «paupertatis amator et erga inopem provisione non solum mentis pietate sed et studii sui labore sollicitus». Con la testa ai problemi veri, si disse alla fine d’accordo con l’imperatore e con il concilio, e pagò a Costantino IV la tassa dovuta per il suo riconoscimento.
 
Leone III (romano, santo a cui è dedicata la giornata del 12 giugno, nato nel 750, morto nell’816, papa dal 26 dicembre 795). Come ai tempi di Leone II, il re, anche in campo religioso, si considerava superiore al papa. Leone III fece subito atto di sottomissione e consegnò a Carlo Magno le chiavi della tomba di San Pietro e lo stendardo di Roma. Il papa Leone III era stato eletto dal clero. Ma ai nobili romani di parte laica, più o meno tutti quelli che appartenevano al giro del papa precedente Adriano I, questo papa non andava bene e il 25 aprile del 795, durante la processione delle Litanie maggiori, due di loro – Campolo e un nipote di Adriano I che si chiamava Pascale – s’appostarono nei pressi del monastero di San Silvestro in Capite e, quando lo videro passare, gli saltarono addosso, tentarono di cavargli gli occhi e di tagliargli la lingua, poi lo legarono e imprigionarono nel monastero di sant’Erasmo sul Celio. Passò qualche giorno, e l’uomo che vigilava su di lui, tale Albino, lo fece scappare da una finestra. Leone III si rifugiò in San Pietro, poi, protetto dal duca di Spoleto, scappò in Vestfalia, a Paderborn, dove stava il re Carlo Magno. Intanto, a Roma, i laici imparentati, o amici, di Adriano I, gridavano: «A morte! A morte! Papa Leone è un adultero! Papa Leone è uno spergiuro!». Dicono gli storici che queste accuse non erano del tutto infondate. Ma sia Carlo Magno che Leone intendevano resistere. Il papa, ben scortato, tornò a Roma e dietro a lui venne a Roma anche l’imperatore. Era il 23 dicembre del 799. Leone, presente il re, salì sull’ambone della basilica di San Pietro e giurò su Dio, ponendo la mano sul Vangelo, di essere innocente, fece cioè quella che si chiama la purgatio per sacramentum. Non ci sono obiezioni possibili a un papa che giura su Dio, e i congiurati Campolo e Pascale furono messi in galera. Il giorno dopo, il papa pose sul capo del re Carlo Magno la corona imperiale, un gesto storicamente decisivo: sanciva, senza che lo stesso Carlo Magno se ne fosse reso del tutto conto, che l’autorità civile, contrariamente a quello che pensava il sovrano, si sottometteva a quella religiosa. E sanciva la separazione tra l’impero romano d’Occidente, difeso da quel momento in poi dai Franchi, e quello d’Oriente, che sulla questione delle eventuali colpe di papa Leone non aveva potuto esercitare nessuna influenza.
 
Leone IV (romano di stirpe longobarda, monaco benedettino, santo a cui è dedicata la giornata del 17 luglio, nato nel 790, morto il 17 luglio 855, papa dal 10 aprile 847). Pontefice che confermò la supremazia del papa sull’imperatore o sul re: vennero a farsi incoronare a Roma – in modo da inculcare nelle teste dei sudditi l’idea che li avesse messi in trono Dio – l’imperatore Lotario, suo figlio Ludovico II, il re sassone Etelvulfo, e il figlio suo Alfredo il grande. Ma l’imperatore Lotario non era stato troppo amico del papa e di Roma: nell’846 i saraceni avevano devastato la città, e l’imperatore, successore di Carlo Magno, non aveva mosso un dito in sua difesa. Cercò di farsi perdonare finanziando la ricostruzione di Roma, distrutta anche da un terremoto (quello che aveva fatto crollare mezzo Colosseo) e da un vasto incendio che aveva quasi incenerito il quartiere Borgo. Leone spense le fiamme piazzandosi davanti al fuoco e benedicendolo. Poi, forte dei soldi di Lotario, si dedicò con grande perizia alla ricostruzione: le mura che ancora adesso circondano il quartiere Borgo sono state erette da lui. Ha cioè perimetrato lui la cosiddetta “città leonina”, nella quale si rifugiò indignato il papa Pio IX (pontefice dal 1846 al 1878) quando il 20 settembre del 1870 gli italiani si impadronirono della città. Altro merito di questo papa: spinse i re di Amalfi, Gaeta, Napoli e Sorrento a mettere insieme le loro flotte per sgominare i pirati saraceni.
 
Leone V (laziale di Ardea, benedettino, papa dal luglio al settembre del 903). Epoca di lotta tra le famiglie romane. Di questo Leone non si sa quasi niente. Deposto dopo un mese dall’antipapa Cristoforo. Morto più o meno subito dopo. Forse.
 
Leone VI (romano, data di nascita ignota, papa dal 27 maggio 928, morto nel dicembre dello stesso anno o nel gennaio del 929). Salì al soglio per volere di Marozia, di fatto in quel momento dittatrice di Roma. Il marito di Marozia, Guido di Toscana, profittando della scomparsa del re Berengario – ammazzato a Verona dai sostenitori di Rodolfo di Bologna – aveva rinchiuso in Castel Sant’Angelo il papa Giovanni X, provvedendo poi a farlo sopprimere. Marozia, che preparava l’elezione al Soglio del figlio Giovanni (avuto da papa Sergio III, e dal 931 effettivamente papa col nome di Giovanni XI) piazzò nel frattempo al vertice della Chiesa questo Leone VI, il primo dei cosiddetti “papi cortigiani”. Durò appena sette mesi.
 
Leone VII (romano, monaco benedettino, anno di nascita ignoto, papa dal 3 gennaio 936, morto il 13 luglio 939). Un papa obbediente, che si mise al servizio dell’uomo che in quel momento comandava a Roma, Alberico II di Spoleto, un altro figlio di Marozia, che l’aveva concepito con Alberico I di Spoleto. Alberico II voleva cacciare i baroni romani che si piazzavano nella campagna intorno alla città, e per questo spinse per la creazione, nei dintorni di Roma, di tanti monasteri. Leone VII, ubbidiente, gli andò dietro. Si dice che non volesse essere papa. Flodoardo, che, venuto a Roma, era stato a pranzo con lui, scrisse che si trattava di «un’anima candida».
 
Leone VIII (romano, nato tra il 910 e il 920, papa una prima volta dal 4 dicembre 963 al 26 febbraio 964, e una seconda volta dal 23 giugno 964 al 1° marzo 965). Nessuna impresa memorabile da parte di questo Leone, se non il fatto che fu papa per due volte. L’imperatore Ottone I di Sassonia venne a sapere che papa Giovanni XII si stava mettendo d’accordo con Adalberto II d’Ivrea per scacciare i tedeschi dall’Italia. Scese dunque a Roma, ma non trovò Giovanni XII, che era intanto fuggito in Corsica. Si radunò il Concilio, e, spinto dall’imperatore, voleva processarlo. Ma Giovanni fece sapere che non aveva nessuna intenzione di tornare in città. Il Concilio, quindi, lo dichiarò decaduto e si sarebbe preparato a nominare un nuovo papa, se Ottone non avesse imposto la nomina di Leone. «Come!» dissero i vescovi «se questo Leone non è neanche prete!». «Ma a questo, rispose l’imperatore, si porrà facilmente rimedio». Detto fatto, Leone fu fatto papa (l’ottavo dei Leoni) e dopo la nomina a papa, fu consacrato suddiacono, diacono, presbitero e infine vescovo. I romani, sobillati dal papa Giovanni in esilio e finanziati dai baroni della campagna, provarono a ribellarsi, e diedero l’assalto al Vaticano. I tedeschi però li massacrarono, aumentando l’odio della città verso l’imperatore. Infatti, appena Ottone ebbe lasciata Roma per dar battaglia a quelli di Spoleto, i romani tornarono all’assalto e papa Leone («come agnello tremante in mezzo ai lupi», scrisse Gregorovius) fu costretto a rifugiarsi a Camerino. Tornò quindi a Roma l’ex papa Giovanni XII. Ma appena rientrato morì. I romani s’affrettarono a eleggere papa il diacono Benedetto, ma l’imperatore tornò di corsa e, squadernando davanti ai vescovi il cosiddetto Privilegium Othonis, il quale sanciva che nessuno potesse esser papa se l’imperatore non era d’accordo, impose che Benedetto venisse destituito e che Leone fosse nuovamente innalzato al Soglio. Fu così che l’ottavo Leone fece il papa due volte.
 
Leone IX (Brunone dei conti di Egisheim-Dagsburg, alsaziano, nato il 21 giugno 1002 a Eguisheim, oggi in Francia, santo a cui sono dedicate le giornate del 19 aprile e dell’8 maggio, papa dal 12 febbraio 1049, morto il 19 aprile 1054). Nominato a Worms, non volle accettare finché l’elezione non fosse stata confermata dai romani. Si mise in cammino, ed entrò nell’Urbe in abito da pellegrino. Gran viaggiatore, tra Italia, Francia e Germania. È stato calcolato che su sessantuno mesi di pontificato ne abbia passati a Roma appena sei. Fece la guerra ai simoniaci, dichiarando decaduti i vescovi che s’erano comprati la nomina. E fece guerra anche al sesso dei chierici, imponendo la castità a chi fosse minimo suddiacono. Impose poi che le concubine dei preti fossero rinchiuse nel Palazzo Lateranense a far le serve. Diede battaglia ai Normanni, che dominavano al Sud, ma fu sconfitto a Civitate e messo in prigione a Benevento. Dove però fu trattato con grande devozione. E amò infatti grandemente la città, che ancora oggi lo onora. Morì mentre i suoi ambasciatori stavano a Bisanzio, a trattare un’intesa sul rito da adottare e su altre questioni di fede. La trattativa, con la sede vacante a Roma, precipitò nel dissidio definitivo tra le due chiese, che si separarono allora per sempre (Scisma d’Oriente), mantenendo di qua il nome di Chiesa cattolica, e di là quello di Chiesa ortodossa.
 
Leone X (Giovanni di Lorenzo de’ Medici, fiorentino, nato l’11 dicembre 1475, morto il 1° dicembre 1521, papa dal 19 marzo 1513. Celebre il ritratto che gli fece Raffaello, conservato agli Uffizi). Figlio di Lorenzo il Magnifico, membro cioè della più potente famiglia d’Italia, imparentata oltre tutto col papa regnante Innocenzo VIII, il cui figlio ultraquarantenne Francesco Cibo (sì, il papa Innocenzo VIII era padre! e non sarebbe stato l’unico) aveva sposato la sorella sua Maddalena de’ Medici, appena quattordicenne. Grazie a questi parenti di così gran peso, Giovanni era stato fatto cardinale a soli 14 anni, ed era entrato la prima volta in conclave a 17, quando era morto il papa Innocenzo. Ma i pontefici che vennero dopo Innocenzo – Alessandro VI Borgia, Pio II Piccolomini, infine Giulio II della Rovere – gli furono poco amici. Giovanni, dopo aver viaggiato in Germania, Olanda, Francia, venne a vivere a Roma, in Palazzo Madama, prima preso in affitto e poi acquistato (il Palazzo Madama è quello dove adesso c’è il Senato). Faceva il poeta, e teneva un circolo letterario, evitando ogni complicazione politica per non dar fastidio al pontefice. Ma al tempo di Giulio II dovette mettersi alla testa di un esercito e, dopo aver massacrato quelli di Prato, andare a conquistare Firenze, alleata dei francesi. Era l’anno 1512. Poco dopo, papa Giulio morì, ci fu il conclave e finalmente Giovanni, la cui famiglia era di nuovo in auge, fu eletto papa e prese il nome di Leone. Partecipò in vario modo alle guerre che a quel tempo si combattevano in Italia, alleandosi ora con questo e ora con quello (da ultimo con Carlo V, l’uomo sul cui impero non tramontava mai il sole). Però il guaio più grosso, e duraturo, gli venne dalla Germania. Papa Leone aveva speso molto nelle guerre del tempo e soprattutto nella costruzione della nuova basilica di San Pietro. Mandò a chiedere soldi, perciò, all’arcivescovo di Magdeburgo e Halberstadt, il margravio Alberto di Hohenzollern. Questi gli disse: ti do centomila ducati se mi dai l’arcivescovado di Magonza. Papa Leone disse di sì e l’arcivescovo si rivolse allora al banchiere Jakob Fugger per avere i centomila in prestito. Il banchiere era pronto a darglieli, ma voleva sapere: in che modo mi saranno restituiti? L’arcivescovo girò il problema al papa, e il papa rispose: ma possiamo ricorrere alle indulgenze! Le indulgenze erano documenti che il peccatore acquistava dalla Chiesa e grazie ai quali, secondo quanto gli garantiva la Chiesa, evitava l’inferno. La Chiesa ne faceva una grande uso, e i fedeli compravano volentieri. Papa Leone emise quindi la bolla Sacrosanti Salvatoris et Redemptoris (31 marzo 1515) e l’affare fu concluso. Hohenzollern avrebbe venduto per sei anni queste indulgenze, girando metà del ricavato a Roma e l’altra metà al banchiere Fugger. Ma il monaco agostiniano Martin Lutero – uomo nel cui cuore abitava il furore di Dio e che apparteneva allo stesso ordine del papa di adesso Leone XIV Prevost – sentì un giorno predicare il frate domenicano Johann Tetzel, il quale molto rozzamente faceva una grande pubblicità a questo commercio di indulgenze. Il monaco Martin Lutero ne fu talmente sdegnato che poco tempo dopo andò ad affiggere sul portale della chiesa d’Ognissanti a Wittenberg le famose novantacinque tesi che diedero origine allo scisma protestante. Il papa Leone, nonostante le scomuniche e i processi, non capì l’importanza di quelle contestazioni, che giudicava solo «beghe di frati».
 
Leone XI (Alessandro di Ottaviano de’ Medici di Ottajano (refuso?), fiorentino, nato il 2 giugno 1535, morto il 27 aprile 1605, papa dal 1° aprile 1605). Volle fare il prete contro il parere della madre. Amico fraterno di San Filippo Neri, che gli avrebbe pronosticato la tiara. Anche il Vasari aveva scritto a Vincenzo Borghini che Alessandro «e omo che Dio lo farà salir più alto». E però, quando fu eletto papa, non durò che ventisei giorni. In questo breve lasso di tempo, riuscì ad abolire la tassa con cui i romani mantenevano le truppe pontificie e a far capire al mondo che non avrebbe mai favorito i propri parenti.
 
Leone XII (Annibale della Genga, marchigiano di Genga, distretto di fabriano, all’epoca in provincia di Macerata, adesso in provincia di Ancona. Conte, nato il 2 agosto 1760, morto il 10 febbraio 1829, papa dal 28 settembre 1823)
Il giubileo dell’anno 1800 non s’era potuto celebrare, per via di Napoleone. E non si celebrarono neanche quello del 1850 (Roma era ancora nel caos dopo la Repubblica romana e la fuga del Papa a Gaeta) e quello del 1875 (il Papa, indignato con gli italiani, se ne stava chiuso nella “città leonina”). Dunque, il Giubileo del 1825, che papa Leone XII volle a tutti i costi per riaffermare la santità di Roma dopo le profanazioni napoleoniche, è in qualche modo memorabile, anche se i 95.000 pellegrini – accolti benissimo in una città stremata da quell’invasione – vennero quasi esclusivamente dall’Italia. Bello, di gran portamento, gran salottiero, gran conversatore, gran cacciatore, gran seduttore, però indolente e molto reazionario (il suo fu in pratica un regime di polizia), Papa Leone XII è ricordato anche per aver perseguitato gli ebrei e fatto decapitare in piazza del Popolo i cospiratori Targhini e Montanari. E per aver boicottato la vaccinazione contro il vaiolo, rendendola facoltativa. Papa Leone, prima di salire al soglio, fu diplomatico. Dodici anni in Germania, e poi nunzio a Parigi, dopo il Congresso di Vienna. Assai cagionevole di salute: ai cardinali che lo avevano nominato disse: «Avete eletto un cadavere». E proprio per questo del resto, cioè sperando che morisse presto, i cardinali lo avevano eletto. In tutta la sua vita, avrebbe ricevuto l’estrema unzione diciassette volte. Belli lo definì «un zomaro, un vorpone, un cazzomatto». Lasciò il proprio grosso gatto in eredità a Chateaubriand.
 
Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Raffaele Pecci, nato a Carpineto Romano il 2 marzo 1810, morto il 20 luglio 1903. Conte, papa dal 20 febbraio1878). Pontefice dalle 86 encicliche, tra cui celebre la Rerum novarum del 15 maggio 1891, nella quale si interveniva, per la prima volta nella storia, a favore della classe lavoratrice. Vi si legge che il socialismo e l’abolizione della proprietà privata non sono la soluzione, e non è da approvare nemmeno lo sciopero. Va invece incoraggiata l’intesa armoniosa tra padroni e lavoratori. E il ricorso alle leggi: «Se con il lavoro eccessivo o non conveniente al sesso e all’età, si reca danno alla sanità dei lavoratori; in questi casi si deve adoperare, entro i debiti confini, la forza e l’autorità delle leggi»; «Nel tutelare le ragioni dei privati, si deve avere un riguardo speciale ai deboli e ai poveri. Il ceto dei ricchi, forte per sé stesso, abbisogna meno della pubblica difesa; le misere plebi, che mancano di sostegno proprio, hanno speciale necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei deboli e dei bisognosi, lo Stato deve di preferenza rivolgere le cure e le provvidenze sue»; «Un lavoro proporzionato all’uomo alto e robusto, non è ragionevole che s’imponga a una donna o a un fanciullo. (…) Certe specie di lavoro non si addicono alle donne, fatte da natura per i lavori domestici, i quali grandemente proteggono l’onestà del sesso debole, e hanno naturale corrispondenza con l’educazione dei figli e il benessere della casa.». Sono condannate l’eccessiva concentrazione della ricchezza e le troppe differenze tra ricchi e poveri, e si riconosce la legittimità delle organizzazioni operaie. Si auspicano associazioni dove lavoratori e datori di lavoro collaborino. L’Enciclica, fondamento della cosiddetta “dottrina sociale della Chiesa”, reagiva ai primi passi dell’industrializzazione italiana, ma si giustificava storicamente anche per l’avanzare impetuoso, nel Paese, del verbo socialista. Il Partito socialista sarebbe stato fondato di lì a poco, nel parlamento italiano sedevano già da qualche anno dei socialisti, e insomma i socialisti pascolavano nello stesso campo delle parrocchie, quello dei poveri. Leone XIII va poi ricordato anche per un’altra cosa. Quando gli italiani avevano preso Roma (1870), il papa Pio IX s’era chiuso nella città leonina, aveva scomunicato gli invasori e, accettando lo slogan «né eletti né elettori», aveva vietato ai fedeli di partecipare alla vita politica degli «usurpatori». Leone XIII, senza sconfessare il suo predecessore, e continuando ad attaccare gli «italiani», operò però discretamente per un riavvicinamento con le autorità civili, dando sempre più spesso ai cattolici di certe zone il permesso di partecipare alle elezioni politiche. Si sentì per la prima volta l’espressione «democrazia cristiana» proprio durante il suo pontificato.
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