Corriere della Sera, 25 maggio 2025
Come imparare a parlare il maori a 40 anni
Imparare a parlare maori a quarant’anni, magari come un madrelingua potrebbe rivelarsi più facile del previsto: l’importante è «dimenticarsi» di essere adulti e tornare bambini, anzi neonati. Niente grammatica, niente letture di testi, «solo» l’ascolto della lingua, almeno all’inizio. È l’approccio al bilinguismo proposto agli adulti da ricercatori della Charles University di Praga, che hanno studiato i meccanismi con cui apprendiamo la lingua primaria da neonati e hanno provato a metterli alla prova anche in chi è già cresciuto.
Come spiega la coordinatrice della ricerca, Katerina Chládková, «i bambini iniziano a imparare la lingua madre già in utero, ascoltandone il ritmo e la melodia; da neonati sentono poi il suono delle parole e pian piano capiscono che quei frammenti di suono identificano le cose. Serve più di un anno di ascolto e osservazione prima che possano dire la loro prima parola, molto di più perché riescano a leggere o scrivere. Da adulti la modalità di apprendimento di una seconda lingua è praticamente ribaltata: si fanno esercizi scritti, si imparano le parole leggendole e si tenta di pronunciarle anche prima di aver compreso come “suona” il nuovo linguaggio».
Chládková e i suoi colleghi hanno perciò provato a far ascoltare qualche minuto di lingua maori a poco meno di 200 adulti che non l’avevano mai sentita prima, filtrando il sonoro per renderlo simile a quello che si udirebbe se fossimo in utero, quindi preservandone melodia e ritmo ma rimuovendo alcune frequenze. Dopo il test, i volontari erano capaci di riconoscere il maori dal malese, una lingua simile ma per loro altrettanto ignota; la performance però peggiorava se all’ascolto del maori erano associati i sottotitoli in quella lingua, a dimostrare che per un principiante assoluto eventuali aiuti testuali sono addirittura controproducenti. Secondo gli esperti questo significa che nel cervello adulto restano intatti i percorsi che portano a riconoscere i pattern ritmici e melodici di un linguaggio e che quindi una nuova lingua si potrebbe imparare meglio con un approccio inverso rispetto a quello consueto che, esponendo prima alle parole scritte e dopo al parlato, può ridurre la capacità di acquisire una buona fluenza verbale e perfino le competenze grammaticali o la ricchezza di vocabolario. «Nei bambini è dimostrato che iniziare con l’esposizione al parlato facilita l’apprendimento della lingua. In passato si sosteneva che la “finestra” per l’acquisizione dei suoni caratteristici di una lingua, tale da poterla poi considerare al pari della lingua madre, si chiude attorno ai sei anni: non è un caso che sia proprio questa l’età a cui si comincia a scrivere», dice Chládková, secondo cui l’approccio uditivo è vincente anche da adulti.
«All’inizio ascoltare podcast o conversazioni anziché leggere dispense o fare esercizi scritti potrebbe favorire un apprendimento più immersivo, tanto più efficace quanto più si è all’oscuro della lingua che vogliamo imparare», conclude l’esperta.