La Stampa, 25 maggio 2025
Le mani sul ponte
Dell’inchiesta più recente sugli appetiti di Cosa nostra e ‘ndrangheta verso l’opera che vuole unire le sponde di Reggio Calabria e Messina se n’è avuta traccia quando sarebbe stato meglio non parlarne ancora perché le indagini erano (e sono tutt’ora) in corso. E cioè quando la procura di Caltanissetta, indagando sul depistaggio della strage Borsellino intercetta per mesi l’ex superpoliziotto Gianni De Gennaro perché vuole arrivare a comprendere di più sulle trame di un uomo a lui vicino all’epoca dei fatti (l’ex capo della Mobile di Palermo Arnaldo la Barbera) immaginato come l’uomo che “rubò” l’agenda rossa del giudice dopo l’esplosione dell’autobomba in via D’Amelio.
Nelle cuffie dell’antimafia finisce un pranzo che si sarebbe dovuto tenere il primo di aprile 2025 a Roma, al ristorante Vinando, di piazza Margana. De Gennaro, oggi presidente di Eurolink, il general contractor che si occupa della progettazione e della costruzione dell’opera incontra – insieme all’ex poliziotto Francesco Gratteri che oggi fa il consulente della società Webuild socio forte di Eurolink – il procuratore aggiunto della direzione nazionale Antimafia Michele Prestipino. Quest’ultimo finisce indagato (e va in pensione anticipatamente rivendicando una condotta del tutto estranea alle contestazioni) perché avrebbe rivelato dei segreti d’ufficio costringendo la procura di Caltanissetta – indirettamente, ma nei fatti – a fare discovery sull’esistenza di inchieste convergenti di cinque procure italiane (Catanzaro, Catania, Messina, Reggio Calabria e anche Milano) a cui Prestipino avrebbe accennato. Contorni più precisi sulle indagini non sono noti e sul punto c’è assoluto riserbo, ma l’idea che muove più di una decina di pm delle singole Dda è questa: colletti bianchi e professionisti legati a entrambi i gruppi criminali (calabresi e siciliani), avrebbero iniziato a manifestare interesse per acquisire terreni e proprietà compatibili con un business legato all’opera del nuovo ponte in particolare destinate al futuro stoccaggio dei materiali. Non solo: le intercettazioni avrebbero registrato un allarmante movimentismo dei gruppi nell’apertura di società ad hoc, apparentemente pulite e schermate da abili prestanome, per aprirsi la strada ai futuri subappalti miliardari. E degli appetiti o dei movimenti sospetti di uomini vicini (o legati) alle cosche sull’opera da 13,5 miliardi di euro divenuta negli ultimi giorni argomento divisivo anche politicamente parlando, si trovano tracce – di differente gravità probatoria – anche in altre inchieste recenti e meno recenti. È il caso di quella coordinata dalla procura di Milano i cui atti sono andati in discovery nel luglio scorso. Nel mirino erano finiti due imprenditori Giovanni Bontempo e Francesco Scirocco, imprenditori originari del Messinese. Entrambi con trascorsi giudiziari non lievi, conosciuti o conoscibili, si sarebbero interessati a una trattativa, poi naufragata, per l’acquisizione da parte di Webuild di un capannone, un deposito, un magazzino “in zona strategica rispetto ai cantieri”, sul versante siciliano della mega-infrastruttura. Grazie alle intercettazioni, disposte anche per vagliare altri fronti della loro attività, era emerso che, tra mille cautele, Danilo Condipodero, dipendente della società che è tra le principali protagoniste della costruzione del Ponte, si era rivolto nel 2023 a Bontempo per ottenere l’immobile nella zona di Tremestieri, a Messina: edificio che sarebbe stato riconducibile a Scirocco, condannato per concorso esterno e che ufficialmente non poteva comparire nell’operazione.
Il dipendente (non indagato), oltre a essere consapevole della caratura delle persone con cui aveva a che fare, avrebbe usato con Bontempo alcune cautele sospette, tra cui non far partecipare il “noto” Scirocco al sopralluogo sull’immobile da acquisire. Insomma, sarà stato per questo o per altro, alla fine Webuild affittò altrove. Scoppiato comunque lo scandalo, la società ridimensionò subito il ruolo del dipendente, indicato come «assistente contabile di magazzino» e ricordò che, con tutti i passaggi e i controlli diretti ad assicurare il rispetto della legalità, sarebbe stata «del tutto improbabile la stipula di atti o contratti con i soggetti indicati o con società agli stessi riferiti». Il Riesame ha di molto ridimensionato il quadro delle contestazioni agli imprenditori che però restano indagati.
Corsi e ricorsi verrebbe da dire. Perché del tanto decantato ponte che non c’è ancora, la mafia ne parla da decenni, da quando l’idea della sua realizzazione ha iniziato ad affacciarsi negli ambienti politici e governativi. È un fatto che una delle più sanguinose guerre di mafia, mai registrate nel mondo (quella di Reggio Calabria tra il 1986 e il 1991 con più di 700 morti) sia scoppiata proprio per le mire di opposti blocchi criminali sui terreni di Villa San Giovanni. Tra i De Stefano-Libri-Tegano di Reggio e gli Imerti-Rosmini-Condello. E come dimenticare, sul punto, l’inchiesta Brooklyn che ipotizzò come circa 15 anni fa, un boss della nota famiglia mafiosa canadese Rizzuto, originario di Cattolica Eraclea (Agrigento), da sempre legato alle cosche Cuntrera/Caruana avesse incaricato un ingegnere di 80 anni di reinvestire i proventi dei delitti nella realizzazione del ponte attraverso un articolato sistema di riciclaggio che si basava sulla riscossione (quota/parte) dei pedaggi.