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 2025  maggio 25 Domenica calendario

Intervista a Massimo Romeo Piparo

In Italia, per quanto riguarda il musical, è il numero uno. Il suo nome è Massimo Romeo Piparo, è nato a Messina 58 anni fa, come regista e produttore ha firmato oltre trenta regie le versioni italiane di Jesus Christ Superstar con Ted Neeley, il Gesù originale del film del 1973; Cats ed Evita con Malika Ayane, We Will Rock You con Anastacia, School of rock con Lillo etc e dal 2013 è il direttore artistico del Sistina di Roma, dopo aver guidato il Teatro Greco di Tindari (dal 1995 al 1996), il Nazionale di Milano (dal 2000 al 2004), lo Stabile di Messina (dal 2005 al 2007). A ottobre nel Sistina Chapiteau, tendone che ha progettato e realizzato per portare ovunque i suoi spettacoli, metterà in scena a Roma Moulin Rouge! Il Musical, tratto dall’omonimo film che nel 2002 ha vinto due premi Oscar – del regista australiano Baz Luhrmann. Ci vediamo in teatro, nel suo ufficio, stracolmo di premi (in bella vista, però, ci sono soprattutto quelli vinti come velista).
Con il tendone raddoppiano gli spazi o uno sostituisce l’altro?
«Da ottobre ci facciamo in due, sperando che duri il più a lungo possibile. In teatro la normale programmazione, nello Chapiteau (sarà montato in viale Tor di Quinto, ndr) Moulin Rouge! Ogni giorno faremo divertire tremila persone in tutto. E il 6 giugno torna West Side Story».
Con due Sistina non c’è il rischio di confondere gli spettatori?
«No. È un po’ come McDonalds’s, l’hamburger è buono ovunque. Aspetti, mi sa che ho fatto l’esempio sbagliato... Vabbè, ci siamo capiti: la qualità Sistina è la stessa».
A che punto è con il cast?
«Da quindici giorni sto selezionando i 22 artisti in scena. Non cerco nomi altisonanti, come si faceva un tempo, ma super professionisti. Si sono iscritti più di diecimila persone. Una cosa mai vista prima. La scrematura è faticosa ma veloce: bisogna avere un’esperienza talmente solida per uno spettacolo così che si capisce subito chi può farlo».
Perché proprio “Moulin Rouge!”?
«Lo sogno da anni, da quando nel 2001 uscì il film. A Baz Luhrmann glielo chiesi subito, però mi rispose che prima avrebbe dovuto realizzare anche il musical, a Broadway, poi ne avremmo parlato. Adesso, dopo vent’anni, la mia credibilità internazionale è cresciuta e l’australiana Global Creatures, la sua società, ha dato subito l’ok. Molto pignoli si sono rivelati quelli del Moulin Rouge: non vogliono che si crei confusione con il locale parigino».
Quando debutta a Roma?
«La premiere sarà il 23 ottobre, ma sarà preceduta da una settimana di anteprime che iniziano il 15».
A 58 anni lei come si presenta?
«Sono un uomo fortunato e realizzato. Volevo fare teatro e a 17 anni iniziai a fare l’attore. Dopo l’università, in compagnia con Carlo Cecchi, a Messina durante la pausa natalizia del pesantissimo spettacolo Leonce e Lena di Georg Büchner provai a dirigere e produrre con alcuni amici Jesus Christ Superstar, e subito realizzai che la mia strada era quella. Mi divertivo di più. Era il 1993. Andò così bene che finimmo allo Smeraldo di Milano. E dopo due settimane lì, mi chiamò Pietro Garinei per il Sistina. Per due anni non facemmo altro, in tutta Italia».
Per farsi strada, arrivando dalla periferia del Paese, di cosa ha avuto più bisogno?
«Coraggio. E anche una famiglia splendida alle spalle che non mi ha mai detto: “Occhio che stai facendo una follia"».
Che lavoro faceva suo padre?
«Capo area della Martini e Rossi, quella del liquore, per tutta la Sicilia orientale. Se sono attento all’aspetto commerciale del mio lavoro, lo devo a lui».
Quando anni dopo, nel 2005, tornò a Messina per dirigere il Teatro Stabile, come andò?
«Male. Riuscii a fare poco o niente. Dopo poco mi dimisi, lasciai Messina e non ci sono più tornato».
È direttore artistico del Sistina dal 2013: che Roma si vede dal suo osservatorio?
«Una città molto complicata, che non ci considera. I bus turistici in pieno centro fanno quello che vogliono e lo stesso vale per i tavolini all’aperto, ma se chiediamo l’isola pedonale per consentire un ingresso sicuro, non ci viene dato. Per non parlare di chi parcheggia davanti alle uscite di sicurezza: il carro attrezzi quando serve non c’è mai».
Come tanti teatri pubblici prende contributi dallo Stato?
«Nessuno. Il Sistina è una repubblica autonoma... Abbiamo fatto richiesta come centro di produzione al Fus, il Fondo unico per lo spettacolo. Aspettiamo la risposta».
Da Milly Carlucci a Fiorello, come autore ha lavorato spesso con grandi nomi: le piacerebbe tornare a fare tv?
«No. Tra gli Anni 90 e i primi del Duemila ho vissuto l’ultimo decennio d’oro della tv, quando le idee degli autori contavano. Poi i conduttori hanno iniziato a fare tutto loro e allora ho cambiato aria. Io non sono un esecutore, ma un creativo. Sono contento di aver scelto Ballando con le stelle, per esempio. Una mia intuizione, e anche una mia forzatura».
Perché forzatura?
«Non fu accolta bene né dalla Rai né dallo staff di Ballandi. Temevano di portare atmosfere da balera su Rai1. Anche Milly Carlucci era molto titubante e dubbiosa su tanti aspetti che invece oggi sono i punti forti del programma».
Chi scelse Milly Carlucci?
«Bibi Ballandi. Lei da tempo non faceva programmi e bisognava trovarle qualcosa da fare. La scenografia con i palchi è mia: mi ispirai a un teatro d’opera per dare nobiltà alla “balera”. Ricordo che mi contestarono il velluto rosso: è di Rai2, noi siamo Rai1, meglio blu».
Quando andò via?
«Dopo tre anni, per fare altro: Festivalbar e Miss Italia».
In generale tutti quelli che ha aiutato l’hanno ringraziata?
«Nel nostro mondo non si usa e ormai ho smesso di sorprendermi e di starci male, che è una gran cosa».
Niente neanche dal gruppo di “Ballando”?
«I cantanti e i musicisti, che sono ancora quelli che portai io vent’anni fa, sì. Mi mandano il messaggino: “Un pensiero a te, grazie al quale siamo qui stasera”. Ma per tutti gli autori che io ho battezzato, che poi fanno solo quello, neanche un “Ciao, come stai? Sei vivo?"».
E Milly Carlucci?
«Non ne parliamo. Le ho mandato gli auguri per i vent’anni, ovviamente. Lei: “Grazie, che bello, ciao”. Fine».
Ha tanti nemici?
«Non saprei. Di sicuro il teatro italiano è totalmente assistito dal denaro pubblico. Io sono sul mercato, da solo, e quindi qualcuno non ammettendo che ci possa essere uno bravo che fa risultati, senza aiuti, dice che sotto chissà cosa ci sarà. Io, invece, sono libero e dipendo solo dal pubblico».
E con la politica come è messo?
«La destra mi ha sempre detto che sono di sinistra e la sinistra non mi ha mai dato niente. Anzi, se ha potuto mi ha messo da parte».
Dove vuole arrivare?
«Vincere il Campionato europeo di vela a fine luglio».
È un uomo sazio?
«Se dicessi di no, sarei un ingrato. Ho fatto e ho avuto tutto quello che volevo».
Un film lo farebbe?
«Ho lavorato anni fa come aiuto regista, ma quel treno è passato».
E la regia di un’opera lirica?
«Sì, certo. Cavalleria Rusticana, per esempio. Da trent’anni faccio melodramma con i musical, ma nessuno me l’ha mai chiesto. All’estero i registi di musical fanno anche le opere, non c’è alcuna differenza. Com’è possibile che io non sia appetibile?».
Hai lavorato con Fiorello, quante volte gli ha chiesto di fare un musical?
«Una, ai tempi di Stasera pago io. Mi ha detto: “Pipareddu lassa perdere proprio”. A lui piace molto, ma lo spettacolo è lui. Perché interpretare un altro?».
Quello con cui è stato più facile lavorare?
«Tanti. Rossella Brescia, Lillo, Paolo Conticini, Luca Ward, Cesare Bocci... Tutte belle persone».
E in cima alla lista di quelli con cui ha lavorato male chi c’è?
«Massimo Ghini. È bravo e intelligente ma abbiamo avuto un’esperienza poco felice. Lui se l’è goduta poco, e anche io. Abbiamo fatto una stagione del Vizietto e l’anno dopo ci siamo separati. Il ruolo suo l’ho affidato all’ottimo Enzo Iacchetti».
In pensione quando va?
«Presto. Ho sacrificato molti anni della mia vita per arrivare dove sono. Se riuscissi a recuperarli non mi dispiacerebbe. Andrei più spesso in barca».