ilsole24ore.com, 25 maggio 2025
Nel popolo delle Partite Iva, la metà dei nuovi arrivati è under 35. Crescono gli over 50
Nel nostro Paese si contano oltre 4 milioni di Partite Iva. L’ultimo dato, relativo al 2023, che si può trovare sul sito del Mef, nella sezione delle dichiarazioni fiscali, è 4.174.782. Di queste la percentuale più alta, oltre il 22% fa riferimento al commercio, seguito dalle costruzioni e dalle attività professionali scientifiche e tecniche che si avvicinano al 12% circa. Secondo l’Osservatorio dedicato del Mef, nel primo trimestre di quest’anno sono state aperte 187.300 nuove Partite Iva, con un lieve incremento (+0,7%) rispetto allo stesso periodo del 2024. Lo scorso anno, nel complesso, sono state aperte 498.361 partite Iva, con un incremento dell’1,3% rispetto al 2023. Guardando alla distribuzione per natura giuridica il 67,8% delle nuove aperture riconduce a persone fisiche, il 24,5% a società di capitali, il 3,2% a società di persone e il 4,5% a soggetti non residenti e altre forme giuridiche. Le nuove aperture continuano a mantenersi al di sotto delle 500mila, un dato inferiore rispetto alla fase precedente al Covid, in cui invece le nuove aperture erano di gran lunga superiori. Quasi la metà si concentra al Nord, il settore produttivo dove ci concentrano la maggior parte è il commercio (18,5% nel 2024), seguito dalle attività professionali (17,1%) e dalle costruzioni (10,3%). Se prendiamo il 2024 poco meno della metà, il 49,1% è stato avviato da giovani under 35, il 30,3% da chi ha tra 36 e 50 anni. Il resto dalle fasce di età superiori. Andando a guardare la dinamica, si vede che sono proprio le aperture di nuove Partite Iva per chi ha tra 51 e 65 anni ad essere cresciute (+1,2%), mentre per le altre classi di età c’è stato un lieve calo. Poco più di un quinto fa riferimento a persone nate all’estero.
La ricerca
Se questo è il quadro complessivo, costruito attraverso i dati dell’Anagrafe tributaria, l’Osservatorio di Fidocommercialista, la startup nata per semplificare la burocrazia per aprire e gestire un’attività in Italia e aiutare gli imprenditori nella fiscalità quotidiana, ha realizzato un’ indagine sui liberi professionisti, prendendo un campione di circa 3.900 professionisti attivi, per capire chi sono, cosa fanno, quanto guadagno e come lavorano. Ne emerge un mondo molto popolato da giovani che sono alle prese con importanti sfide economiche e fiscali. Oltre un terzo del campione ha meno di 35 anni, ma avanza la fascia degli over 50. La modalità di lavoro è sempre più digitale e più di un terzo lavora esclusivamente online. Le entrate rappresentano sicuramente il fattore di maggiore debolezza e si attestano, in media, al di sotto dei 27mila euro, ma non fanno cambiare idea sulla scelta fatta. L’84% dice infatti che la rifarebbe per via dell’autonomia e dell’indipendenza di cui beneficia. Nicola Primieri, co-founder di Fidocommercialista, spiega che «il settore dei liberi professionisti è in continua evoluzione, ma è fondamentale che le politiche fiscali siano più incisive e mirate, per favorire la crescita di questa categoria cruciale per l’economia». L’identikit ricostruito dall’Osservatorio mostra che i professionisti italiani sono in gran parte giovani. La fascia di età tra i 26 e i 35 anni rappresenta infatti il 35,7% del totale. Cresce però la partecipazione degli over 50 nel mercato del lavoro autonomo, che tocca il 7,4%. Se guardiamo alle città, Milano, Roma e Torino sono quelle dove c’è la maggiore concentrazione di liberi professionisti, con un’espansione anche nelle regioni del Nord Italia, come la Lombardia e il Piemonte. «L’emergere di professionisti più giovani e la maggiore presenza degli over 50 testimoniano come la percezione del lavoro autonomo stia cambiando», osserva Primieri.
Le entrate
Dal punto di vista settoriale i servizi medici e odontoiatrici sono i più redditizi, mentre settori come la produzione industriale e la fabbricazione di calcestruzzo vedono risultati meno interessanti. Il fatturato medio annuo dei liberi professionisti è inferiore ai 27mila euro (26.888 euro), con variazioni stagionali molto importanti. Le maggiori vengono registrate in agosto, quando il fatturato medio mensile scende a circa 1.835,25 euro e dicembre con il picco che arriva a 2.834 euro. Le entrate rappresentano sicuramente un aspetto di fragilità della categoria. Più della metà delle partite Iva intervistate, circa il 56,1%, sostiene infatti che il reddito non è sufficiente a garantire una stabilità economica e solo il 43,9% si considera soddisfatto della propria situazione economica, un dato che riflette le difficoltà di molti professionisti nel far crescere il proprio reddito in modo continuo. «Le agevolazioni fiscali sono un elemento essenziale per garantire la competitività del lavoro autonomo, ma occorre che siano stabili e facilmente accessibili», afferma Primieri. Secondo l’indagine, solo l’8,5% dei professionisti ha beneficiato di incentivi fiscali continuativi, con una prevalenza di agevolazioni all’inizio dell’attività. Questo dato suggerisce che, nonostante il sistema di supporto, molti professionisti continuano a trovarsi in una situazione di incertezza. Nonostante la fragilità economica, però, l’84% degli intervistati rifarebbe la stessa scelta tornando indietro, perché, nonostante tutto, pur tra le difficoltà economiche e gestionali, prevalgono motivazioni di indipendenza, crescita e realizzazione personale.
La crescente digitalizzazione
Tra i professionisti intervistati, più di 8 su 10 (81,1%) dice di combinare attività online e offline, con una parte significativa che lavora esclusivamente in modalità digitale. In generale, un fattore che emerge con forza è la crescente digitalizzazione e flessibilità del lavoro autonomo, un aspetto che sembra destinato a caratterizzare il futuro del settore. La modalità di lavoro si orienta sempre più verso il digitale e la flessibilità: il 40,85% lavora in modalità mista online e offline, e un ulteriore 31,71% lavora completamente online. Questo dato conferma l’importanza crescente delle competenze digitali anche per chi svolge attività in proprio. Per Primieri questa tendenza evidenzia «come il settore digitale stia diventando sempre più cruciale per la sostenibilità delle attività professionali, considerando anche le nuove modalità di fruizione dei servizi che richiedono l’adattamento a nuove tecnologie.