Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  maggio 25 Domenica calendario

Gaza, fine pena mai tra gli scudi umani e gli aiuti-trappola

Il ciclopico portone d’acciaio non lascia neanche immaginare quante case dall’altra parte della muraglia stiano ancora in piedi. Da questo lato della barriera di cemento alta come un palazzo, prati e i fiori coltivati sfidano l’aridità del deserto israeliano. A duecento passi dal confine egiziano e a pochi metri dalla Striscia, centinaia di camionisti da settimane attendono di poter consegnare gli aiuti a Gaza. Parlano poco e malvolentieri. Dicono che ad attenderli, una volta entrati, ci sono altre insidie. A cominciare dai percorsi assegnati dalle autorità militari. Israele ha dichiarato che da lunedì 388 camion sono entrati a Gaza. Secondo fonti palestinesi solo 119 hanno effettivamente attraversato il valico.
I gruppi di estremisti israeliani provenienti dalla colonie di occupazione, presidiano l’area minacciando di bloccare i tir. Un arabo israeliano che trasporta tonnellate di cibo in scatola – «a quest’ora sarà cotto dal sole e immangiabile», avverte – non si spiega perché dovrà percorrere strade scassate, vie insicure, tra le rovine, anche di notte, «quando invece potrebbero farci passare dal corridoio principale, vicino al vecchio aeroporto. Lo sorvegliano gli stessi soldati israeliani». Sarebbe più rapido e sicuro e terrebbe le spedizioni al riparo dalle gang, come quella di “Abu Shabab”, un clan di Khan Yunis specializzato in contrabbando, estorsioni, furti, e altri crimini. In passato li hanno visti spararsi a vista con i miliziani di Hamas. «Fanno soldi, non fanno politica», ci conferma una fonte locale -. Ma loro hanno bisogno di Hamas per continuare nei traffici, e Hamas ha bisogno di loro perché sanno come spostare persone e merci». Saccheggiano gli aiuti per rivenderli a peso d’oro. Sono accusati di tenere il cibo prigioniero nei loro magazzini, «in modo che il prezzo al mercato nero resti alto e loro possano continuare ad arricchirsi», spiega via messaggio un volontario internazionale. Un sacco di farina da 25 chili può arrivare a costare 220 dollari, quasi 8 euro per un chilo. Una fortuna per gente che già prima della guerra viveva con 8 euro al giorno. Il massiccio arrivo di aiuti umanitari oltre a sfamare gli sfollati spezzerebbe la catena di arricchimento dei predoni. Il malizioso camionista arabo ha una sua teoria: «Se gli aiuti vengono saccheggiati, Netanyahu potrà continuare a dire che neanche Onu e Croce Rossa sono in grado di garantire una distribuzione ordinata». Sottinteso: consegnare i carichi vorrebbe dire fare il gioco di estremisti e criminali. Un pretesto per tenere i varchi chiusi e far transitare soccorsi con il contagocce. In guerra di leggende ne circolano fin troppe. Ma questa va ascoltata. Quando nell’autunno del 2024 i furti si sono moltiplicati, Georgios Petropoulos, dell’ufficio per il coordinamento degli Affari umanitari Onu parlò di «saccheggio sistematico, tattico, armato e criminale. Un furto su larga scala». E con quel «tattico» intendeva dire molte cose. Più volte gli operatori umanitari hanno accusato Israele, nella migliore delle ipotesi, di ignorare deliberatamente il problema. Nella peggiore, di permettere ai pirati del cibo di agire impunemente.
Le Nazioni Unite non consentono ai soldati israeliani di scortare i convogli umanitari, ritenendo che questo possa compromettere la neutralità delle agenzie Onu. L’alternativa ci sarebbe: l’assegnazione di percorsi già presidiati dall’esercito di Tel Aviv, dove i saccheggiatori non si farebbero vivi. Ma al momento restano accessibili solo le vie dove i ladroni al massimo si sparano tra loro. L’offensiva, dopo il nuovo ordine di spostamento di decine di migliaia di civili dalle macerie del nord alle rovine del sud, è ripresa con un centinaio di attacchi solo ieri. Gli obiettivi, riferisce l’esercito, comprendevano edifici utilizzati da Hamas, una postazione lanciarazzi, tunnel e altre infrastrutture. E almeno 73 persone sono state uccise in 24 ore secondo il ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas. Tra loro i 9 figli della dottoressa Alaa e 6 uomini armati avvistati dai droni nei pressi dei convogli umanitari. L’Associated Press ha citato testimonianze di palestinesi e soldati israeliani secondo cui vengono usati i prigionieri palestinesi come scudi umani durante le operazioni a Gaza: mandati in avanscoperta nei tunnel o nei covi degli estremisti. L’esercito ha fatto sapere di voler «investigare», ma che non intende al momento fornire altri dettagli. Dopo 597 giorni di guerra, per il governo israeliano il sostegno dell’opinione pubblica non è scontato. E ad attaccare Netanyahu ci sono sempre più spesso esponenti del suo stesso partito. Come Amit Halevi, membro della Knesset, il Parlamento di Gerusalemme. «Questa guerra è una truffa», ha dichiarato. «Ci hanno mentito sui risultati», ha rincarato parlando di «un piano fallito da 20 mesi. Lo Stato di Israele non è in grado di sconfiggere Hamas».