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 2025  maggio 25 Domenica calendario

In giro per l’Europa

Notizie tratte da: Nicola Lecca, Altrove. L’Europa che non ti aspetti, Ares, 2022
 
La città ungherese di Mosonmagyaróvár «è veramente incantevole. Situata in una posizione strategica, a pochi chilometri sia dal confine austriaco sia da quello slovacco, Mosonmagyaróvár è un luogo in bilico: non soltanto fra tre Stati, ma anche tra presente e passato. Tra storia e futuro. Qui, per la gioia dei passeri, i bambini – servendosi di vecchie scatole – costruiscono piccole casette e vi appendono accanto una fetta di pane raffermo. Davanti alla porta d’ingresso delle case piccole statue di leoni e di cavalli imbizzarriti desiderano dimostrare un certo amore per l’arte e, magari, ostentare la disponibilità finanziaria di chi le possiede. Quasi tutti girano in bicicletta: uno dei pochi aspetti salutari della povertà. (…) Decine e decine di studi dentistici (…) affollano le strade e anche i vicoli di questa città. Basta sceglierne uno a caso e chiedere una semplice visita di controllo per rendersi conto che, qui, la cortesia regna più che altrove. Subito ci si preoccupa di offrire al paziente una tazza di caffè caldo, qualche cioccolatino e ci si scusa dei pochi minuti d’attesa che dovranno essere affrontati. Le assistenti dei dentisti sono tutte giovanissime e assai formose: portano un camice che pare loro cucito addosso per quanto è attillato. Non sembra indossino alcuna biancheria intima, e questo fa certamente la gioia degli anziani clienti austriaci che qui vengono in massa per risparmiare enormi cifre su otturazioni, corone e impianti. Ma anche su tante altre cose. Perché a Mosonmagyaróvár tutto costa la metà che altrove. Dalle sigarette ai medici, dalle mele ai gelati, dai ristoranti alle prostitute».
 
«Pensatela il più lontana possibile da Napoli: Oslo è esattamente così. Una città in cui tutto splende e in cui i pochi barboni che s’incontrano alla stazione dei treni rappresentano quasi un paradosso. È incredibile a dirsi: ma sono barboni eleganti, trasportano carrelli del supermercato in cui tutto è sistemato con un certo ordine e – in qualche caso – perfino con grazia».
 
Tromsø, in Norvegia, è «una città davvero speciale in molti sensi, e certamente una della più insolite e delle più particolari al mondo. Per la sua strepitosa posizione così a Nord (ben oltre il circolo polare artico) Tromsø è anche conosciuta con il solenne appellativo di “Top of the World”. Cima del mondo, appunto. In realtà Murmansk, in Russia – con i suoi tanti abitanti – meriterebbe il riconoscimento di questo primato. Ma Murmansk è una città difficile da raggiungere, ruvida, spigolosa, decadente e severa. Ai turisti non piace. Dunque, nell’immaginario collettivo, la cima del mondo rimane Tromsø: assai più graziosamente ospitata in un fiordo, su un’isola lunga e stretta, protetta da imponenti montagne che la circondano e la sovrastano. (…) Tromsø (…) è una città gentile e armoniosa che appare piccola come una barchetta di carta, specialmente quando la si ammira dalla cima del fiordo che la sovrasta. (…) Il panorama che da qui si può ammirare è tra i più spettacolari che una città europea possa offrire».
 
«A Tromsø, nel 1898, l’elenco telefonico si componeva di un’unica pagina, e i numeri di telefono erano composti soltanto da due cifre».
 
«Inspiegabilmente chiamata “la Parigi del Nord”, Tromsø ospita un mercato degli artigiani in cui tutto è talmente costoso che lo si pagherebbe volentieri a rate».
 
«L’aeroporto cittadino di Reykjavík è piccolissimo: sembra una stazione degli autobus. Per i voli interni le formalità al banco dell’accettazione sono ridotte al minimo. Non si controlla il bagaglio a mano né il documento di identità. La gente, pigra, arriva cinque o dieci minuti prima del volo. Gli aerei sono piccoli: hanno 18 o 50 posti. Le turbolenze, in compenso, si sentono molto».
 
«Percorrendo la strada A1 – che si estende in cerchio per 1.300 chilometri attorno all’Islanda – si possono incontrare nel bel mezzo della carreggiata animali selvatici o, più spesso, le pecore, attratte dalle sostanze saline sparse sull’asfalto per contrastare il ghiaccio. È un pericolo per gli automobilisti: soprattutto con la nebbia. A mano a mano che si procede verso il lago Mývatn il paesaggio muta. Diviene lunare. È qui, infatti, che gli astronauti americani si sono allenati a lungo prima di cominciare la loro missione spaziale alla conquista della Luna. Il cielo, bianco come la neve, invade i monti e la lava accanto alla strada, rendendo questa vista un sogno. Sembra di immergersi in un mondo di latte. Ma lo stupore più grande deve ancora venire. Il lago Mývatn – che la leggenda vuole formato dall’urina del diavolo – ha un perimetro di 80 km ma è poco profondo. Si alimenta di sorgenti sotterranee d’acqua tiepida e, se anche la neve lo ha ricoperto quasi interamente, vi sono dei punti in cui il tepore dell’acqua fa scomparire il ghiaccio. Attorno, crateri lunari: decine, forse centinaia. Per raggiungere la sommità del più alto bisogna servirsi di una Jeep molto potente e di una guida esperta. Si arriva, infine, davanti a una fabbrica abbandonata e spettrale e si attraversa un cancello nero che sembra tanto la porta dell’Inferno. (…) Una volta in cima, sull’orlo del vulcano, il silenzio più assoluto e il vuoto vengono a far impallidire l’anima».
 
«Ogni mattina, al risveglio, i gallesi si trovano davanti a un dilemma profondo: desiderano cedere al richiamo dell’identità e sentirsi parte di una nazione molto piccola (i cui atleti non vincono quasi mai la medaglia d’oro alle olimpiadi) oppure preferiscono respirare la gloria del grande Impero britannico, sentendosi parte di un Regno Unito meno potente di un tempo (è vero) ma comunque blasonato e celebrato in tutto il mondo? La decisione va presa quotidianamente nella solitudine della propria camera da letto, perché dopo (immediatamente dopo) bisognerà cominciare a comportarsi di conseguenza. Bisognerà scegliere se ascoltare il telegiornale del mattino in inglese o in gallese (per esempio), e in quale lingua rivolgersi al postino che, a breve, busserà alla porta. Il supermercato all’angolo, intanto, saluta i clienti con un gran WELCOME stampigliato sulla vetrina, e duplicato da un altrettanto grande CROESO, che significa ugualmente “benvenuto”, ma in gallese. Chiunque si trovi a passare davanti a quella vetrina dovrà scegliere: preferisce sentirsi welcome o croeso? Il dilemma, fortunatamente, non si pone durante le partite di calcio (il Galles, infatti, ha una propria nazionale, esattamente come l’Inghilterra)».
 
«Nonostante, oggi, una sola persona su quattro sia capace di parlare correntemente il gallese, il bilinguismo trionfa ovunque fin dal 1955, quando la città di Cardiff (Caerdydd in gallese) ha potuto acquisire lo status di capitale del Galles. Da quel giorno (…) una rinnovata ondata d’orgoglio si è diffusa tra la popolazione: fino a che il Galles (nel 1988) è stato dotato di una propria Assemblea nazionale, oggi ospitata in un sorprendente edificio moderno (tutto vetri e legno) inaugurato dalla regina Elisabetta a pochi passi dal mare, e quotidianamente aperto al pubblico a dimostrazione della propria trasparenza. Nella sua ampia e lussuosa sala del primo piano i cittadini si incontrano per discutere, per giocare a carte o, più semplicemente, per leggere il giornale nell’inusuale comodità offerta da divani e poltrone in pelle Chester. Le enormi vetrate dell’Assemblea nazionale guardano verso il mare e offrono una rilassante vista della baia».
 
«Dov’è il Galles? Dove porta questa battaglia per l’identità, questa voglia di essere “unici e grandi”? Bisogna prendere il treno per rendersene conto: bisogna viaggiare alla volta dell’estremo Nord-ovest del Paese. Ore e ore di treno attraverso paesaggi sempre più severi, sempre più irreali: alla scoperta di villaggi dove l’inglese è una lingua sconosciuta e dove si possono incontrare tradizione autentica e atmosfera reale. Ci si sente stranieri in terra straniera. Si fa fatica a comunicare, con tutte quelle “f” e “d” solo in apparenza inutilmente raddoppiate a rendere ogni parola incomprensibile fin dall’arrivo in stazione (“uscita”, in gallese, si scrive “ffordd”). Qui i modi e le mode sono finalmente diversi: al passaggio dell’ambulanza tutti si fanno il segno della croce e un gruppo di anziani distribuisce volantini che informano i passanti sulla pericolosità del diavolo, fornendo un numero di telefono utile (sembra) per salvarsi l’anima e guadagnare con certezza il paradiso».
 
Piccola ma eternata dalla letteratura l’isola di If, al largo di Marsiglia. «Era il 1513, quando nella piccola isola di If il primo rinoceronte mai arrivato in Europa sbarcò per sgranchirsi un po’ le zampe durante il lungo viaggio verso papa Leone X – cui fu donato dal re del Portogallo. Una quindicina di anni dopo, proprio su quest’isola puntiforme, Francesco I fece costruire una grandiosa fortezza destinata a diventare, nei secoli, una prigione di massima sicurezza. La stessa che Alexandre Dumas rese celebre nel suo romanzo Il conte di Montecristo, permettendo al protagonista Edmond Dantès un’intrepida evasione. (…) Il castello che ispirò Dumas – così come le sue oscure segrete – sono oggi visitabili».
 
«Cerbero: il favoloso cane a tre teste della mitologia greca, figlio di Tifone ed Echidna, custode dell’Ade: e posto da Dante nel terzo cerchio dell’Inferno a vigilare sulla dannazione dei golosi con le sue orride sembianze. Lui, avido di quelle focacce al miele che i parenti dei defunti sotterravano insieme ai cadaveri dei loro cari, nella speranza che quel dolce viatico li avrebbe aiutati a raggiungere l’aldilà. Ed è proprio da Cerbero, da questa fantasiosa ma inquietante figura, che il ridente paesino francese di Cerbère prende nome. E non a caso: dato che si trova proprio al confine con la Spagna e rappresenta non soltanto l’ultimo insediamento francese della Costa Vermiglia, ma anche la fine dei Pirenei, che qui sfumano via verso il mare davanti a una spiaggia che mozza il fiato, permettendo alla vista il privilegio di spaziare da zero a 643 metri in un batter d’occhio».
 
«La vocazione militare della città di Tolone ha radici antiche. Le mire espansionistiche di Luigi XIV trovarono nel suo porto un luogo strategico utile e sicuro. Ecco perché vennero presto costruiti un arsenale, una darsena e perfino una fabbrica di cordami. Il lunghissimo regno del re Sole, però, lasciò la Francia in grosse difficoltà, che culminarono, poco dopo la sua morte, in una tremenda pestilenza, capace di dimezzare in breve tempo la popolazione di Marsiglia e delle città limitrofe. A Napoleone, dunque, la gloriosa marina di Tolone arrivò allo sfascio. Ma il piccolo generale còrso era un uomo ambizioso: voleva che Tolone potesse ritornare a splendere e diventare il principale porto arsenale di tutta la Francia. Un luogo militarmente perfetto i cui nuovi vascelli avrebbero potuto vantare 120 cannoni ciascuno. Questo sognava Napoleone: e così fu. Oggi, la gloria militare di quei regni passati sopravvive nelle sale del Museo marittimo di Tolone».
 
«A seguito dell’Operazione Anton, voluta da Hitler, la Wehrmacht occupò Tolone il 27 novembre del 1942. Da quel momento in poi, fino alla sua liberazione (avvenuta nell’estate del 1944), la città francese subirà un’infinità di raid aerei, che la mutileranno irrimediabilmente. Ecco perché oggi, a un primo sguardo, Tolone non incanta: e, anzi, sarebbe la candidata ideale di un ipotetico premio per le cartoline più brutte d’Europa. Eppure, nonostante tutto, quel poco che resta della città vecchia mantiene con orgoglio la propria grazia».
 
Celebre in Sardegna è la roccia chiamata «Sa Crabarissa». «Una pietra enorme, granitica, e custode di una suggestiva leggenda popolare. Si narra infatti che, tanto tempo fa, durante la transumanza invernale, un pastorello di Austis si innamorò di una ragazza di Cabras. I due si giurarono amore eterno e si scambiarono i doni di fidanzamento per suggellare la loro unione. In seguito, con l’arrivo della bella stagione, la ragazza di Cabras affrontò un lungo e faticoso viaggio pur di giungere ad Austis, incontrare il suo fidanzato e unirsi a lui in matrimonio. Purtroppo, però, giunta in paese, non tardò a scoprire che il bel pastorello, nel frattempo, si era sposato con un’altra donna. Il dolore e la disperazione furono tali che la ragazza si pietrificò all’istante. Oggi “Sa Crabarissa” con i suoi cinquanta metri di imponenza è una roccia granitica in bilico tra il confine di Austis e quello di Neoneli. La sua forma richiama alla mente il costume popolare indossato dalle ragazze di Cabras».
 
Visby, sede amministrativa di Gotland, in Svezia, «è una delle città medievali meglio preservate al mondo. Le sue mura, praticamente intatte, custodiscono chiese incantate senza più il tetto e casette – vecchie di secoli – in tutto simili a quelle raccontate nelle favole. Sono piccole, con i tetti spioventi, e offrono alla vista il contrasto tra i colori più accesi: giallo e rosso, verde e nero, grigio e turchese. Le loro porte d’ingresso sono contornate di rose rampicanti».
 
Tradizionale bevanda natalizia svedese è il glogg. «Si prepara con vino, buccia d’arancia, cannella e chiodi di garofano, ma ne esiste anche una versione analcolica per i bambini. Come il glogg, anche i biscotti pan di zenzero a forma di stella sono quasi d’obbligo. (…) Le pasticcerie li preparano grandissimi e li decorano con la glassa colorata. Peccato che, ai primi di gennaio, questi biscotti così buoni passino nel dimenticatoio. Non li si trova più da nessuna parte: sono un’esclusività natalizia. Proprio come un certo formaggio involto in una spessa carta rossa e lo Julmust, una bevanda molto simile alla Coca Cola, ma aromatizzata da zenzero e cannella».
 
«Paradossalmente anche il Nord ha il suo Sud. Prendiamo in considerazione la Svezia. Kiruna e Malmö: due città agli antipodi, distanti oltre1.500 km l’una dall’altra (tanto che, a voler prendere le misure, Malmö risulta più vicina a Milano che a Kiruna). Ebbene, Kiruna e Malmö, pur essendo parte della stessa nazione, rappresentano due mondi opposti: uno dominato dal gelo, l’altro baciato dalla corrente del Golfo e benedetto da un microclima mediterraneo. Per gli scandinavi Malmö è il Sud, e i suoi abitanti sono considerati i napoletani di Svezia. Per uno di Stoccolma, Malmö è come Marsiglia, Malmö è Genova: Malmö è il caos puro, la sporcizia per le strade, la losca atmosfera che regna nei vicoli delle città portuali».
 
«Le città, quasi tutte, hanno un colore particolare che le contraddistingue e le accompagna. Montpellier è una città bianca, Vienna è verderame, Milano è grigia, Ginevra è azzurra, Lisbona è giallo ocra. Uppsala, invece, è rosa. Un rosa antico, invecchiato dal tempo e ricco di mille diverse tonalità: da quella più chiara tendente al confetto al rosa d’annata di certe facciate medievali in piena armonia con il rosso dei mattoni circostanti. Circondata da boschi, contornata di verde, Uppsala è la più dotta di tutte le città svedesi: il cervello della Scandinavia, la città del sapere e dell’eterna giovinezza».
 
«A Göteborg abitano gli artisti. A Stoccolma i presuntuosi. Nel nord della Svezia le persone scontrose. Pare l’abbia detto il re Gustav Vasa. Il sovrano che attribuì a Uppsala il suo carattere di città indipendente, libera e dominata soltanto dalla piena libertà di pensiero».
 
«Un villaggio privilegiato: simile a quelli delle favole. Un luogo irreale. Quasi finto. Abbondanza di cupole, di torri, di boutique e campanili: lusso a ogni angolo, banche private, stradine tirate a lucido, facciate color rosa confetto, antiche insegne in ferro battuto. Un po’ Portofino, un po’ St. Moritz, la piccola cittadina di Kitzbühel trasuda snobismo a ogni angolo. Paradiso degli sciatori desiderosi d’ostentazione, questo luogo a dire il vero un po’ ridicolo è motivo d’orgoglio internazionale per gli austriaci più conservatori. Un milione di euro per una casa di appena 150 mq. Le piccole valige di Louis Vuitton in vendita a 1.670 euro ciascuna, i cerini lunghi (per il caminetto) disponibili a 98 euro la scatola; e, ancora, saponette vendute a peso d’oro, candele profumate a 300 euro il paio: ma soprattutto la boutique specializzata in articoli canini con le sue prestigiose ciotole per la pappa e i rovinosi guinzagli in pelle di camoscio. C’è perfino un negozio che impone il pagamento di un euro a chiunque osi oltrepassare la sua soglia. Uno stratagemma per tener lontani i perditempo e coloro che non sono realmente intenzionati ad acquistare qualcosa. E, se questo non bastasse a sconcertarvi, meglio sarebbe visitare i negozi di giocattoli per bambini ricchi, dove orsacchiotti più piccoli di una mano si vendono a cento euro ciascuno. Oppure prendersi la briga di telefonare all’hotel Weisses Rössl e rendersi conto che soggiornare nella sua suite imperiale può costare fino a 21.560 euro a settimana. Minibar escluso, naturalmente».
 
«A Kitzbühel sono snob perfino le offerte speciali: “Un calice di champagne a soli dieci euro”, si legge nella lavagna esposta in un elegante bar del centro. Un luogo assurdo in cui i camerieri si danno spesso la mancia da soli arrotondando automaticamente l’importo dovuto ai cinque euro successivi. Nessuno protesta. È come se le monete fossero state bandite da Kitzbühel. Scomode, fredde, volgari. Inutili in un luogo come questo, dominato dalle banconote a doppio zero. Alla fine i veri eccentrici, qui, sono coloro che vanno a dormire nell’unico (e comunque costoso) ostello».
 
Il castello di Lockenhaus, in Austria, oggi prestigiosa sede di concerti di musica classica, un tempo fu teatro delle crudeli torture della «Contessa Sanguinaria». «Nata a Nyírbátor il 7 agosto del 1560, Elisabetta Bathory – figlia di due cugini e proprietaria di molti castelli – soffrì fin da piccola di epilessia e schizofrenia e – volendo seguire le orme paterne – a 11 anni si fidanzò con Ferenc Nádasdy, il suo cugino principe di Transilvania. Con lui si sposò quattro anni dopo, nonostante amasse vestirsi da uomo e avesse già avuto un figlio illegittimo. (…) Suo marito, come lei, era sadico fino all’inverosimile, tanto che amava ricoprire le sue giovani servette di miele per poi legarle accanto alle arnie: affinché fossero torturate dalle api. Non sorprende, dunque, che i diari adolescenziali di Elisabetta siano pervasi di partecipazioni a orge e sedute di magia nera. Il fascino per la tortura e l’invidia per le ragazze più belle di lei la portarono a seviziare le sue serve in maniere atroci: bastava un ritardo di pochi minuti perché le loro mani venissero cosparse di olio e poi esposte al potere purificatore del fuoco. Quelle che tentavano la fuga, poi, avevano una sorte ancora più atroce. Elisabetta le esponeva nude al gelo invernale, dopo averle ricoperte d’acqua perché potessero morire lentamente, assiderate. Con l’età la pazzia di Elisabetta si fece ancor più insensata. Nel 1585 cominciò a uccidere regolarmente le vergini dei villaggi prossimi ai suoi castelli per poi bagnarsi nel loro sangue e cercare, in questo modo, l’eterna giovinezza. Le sue vittime, annotate con scrupolo in un diario folle, pare siano state più di seicento. E sarebbero state molte di più se l’imperatore Mattia II non l’avesse fermata incriminandola per i suoi reati e condannandola a essere murata viva in una stanza del suo castello. (…) Elisabetta è ancora oggi considerata con una certa unanimità la più feroce serial killer nella storia dell’umanità. (…) Una donna inquietante Elisabetta Bathory: mossa da una ferocia inspiegabile, e talmente assetata di sadismo che ella stessa con le sue mani era solita cucire le bocche alle proprie vittime prima di ustionarle a morte con delle lastre di ferro rovente».
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