La Lettura, 25 maggio 2025
L’uomo di Denisova sbarcò a Taiwan
Tutto era cominciato con un mignolo, quindici anni fa. La nostra specie, Homo sapiens, e la specie cugina a noi più prossima, Homo neanderthalensis, di cui si è molto parlato, vengono da un antenato comune africano, Homo heidelbergensis. Oggi ci accorgiamo che da questa specie si diffuse anche un terzo ramo evolutivo, per separazione geografica di una specie asiatica finora poco conosciuta, scoperta solo nel 2010 grazie al Dna estratto dalla falange di un dito – o, a essere precisi, dall’epifisi, la prima falange di un mignolo del peso di solo 40 grammi – rinvenuta nella grotta di Denisova, sui monti Altaj, una fredda ma prospera regione che separa le steppe orientali che arrivano fino alla Cina da quelle caspiche a occidente.
La falange era appartenuta a una ragazza denisovana di circa 12-13 anni, vissuta tra 76 mila e 52 mila anni fa.
Per la prima volta nella storia della paleoantropologia una nuova specie umana veniva definita solo sulla base del suo genoma: senza morfologia, senza parti consistenti dello scheletro, senza artefatti. Nella grotta non si è trovato nulla di più grande perché le altre ossa sono state frantumate e masticate dalle iene, per procurarsi il calcio quando sono incinte. Denisova è geneticamente più vicino a Neanderthal che a Homo sapiens. Di sicuro, Denisova e Neanderthal si sono frequentati in quegli anfratti di roccia per tanto tempo. Forse condividevano gli stessi adattamenti al clima freddo: l’uso del fuoco e del grasso animale, il ricorso a calzari e pelli. Percorrevano grandi distanze lungo i corsi d’acqua. E si accoppiavano: Denisova 11 è la scheggia di un osso lungo, trovata nella stessa grotta, appartenuta a un ibrido di prima generazione fra Denisova e Neanderthal. Denny, 13 anni, aveva una madre neandertaliana e un papà denisovano. Una situazione inimmaginabile oggi.
Per formalizzare un nuovo nome di specie in latino, bisogna scoprire e attribuire con una certa attendibilità almeno una parte dello scheletro. Per ora non ci sono abbastanza elementi, a parte la sequenza del Dna, per dare un nome a questa terza specie e così la chiamano tutti Denisova o Denisovani, dal nome della grotta della falange. I Denisovani, per un certo periodo, abitavano negli stessi territori della Siberia meridionale insieme ai Neanderthal prima e dopo anche a Homo sapiens, nel frattempo fuoriuscito dall’Africa, per poi stabilirsi soprattutto nell’altopiano del Tibet e più a est, mentre in Indonesia vivevano due specie pigmee, isolane, Homo floresiensis e Homo luzonensis, che discendevano da migrazioni molto più antiche. Questo significa che fino a 50 millenni fa, tra Africa ed Eurasia, circolavano almeno cinque specie umane differenti. Non eravamo soli.
Qualcuno, sulla base di reperti fossili, si è spinto a sostenere che ci sia stata presenza di Denisovani in Estremo Oriente, in particolare in Cina, ma in assenza di evidenze molecolari tutto questo era difficile da provare.
Adesso spunta una novità importante: un lavoro appena pubblicato su «Science» (basato su una tecnologia estremamente sofisticata, che consente di estrarre proteine da reperti fossili antichissimi) rivoluziona le nostre conoscenze sulla distribuzione geografica di questa specie cugina, non più confinata alle lande fredde e sconfinate della Siberia e del Tibet, ma capace di raggiungere i climi caldi e umidi dell’Estremo Oriente. Come lo sappiamo? Grazie a una... mandibola, sì, avete capito bene, una mandibola e, a dirla tutta, anche a quattro denti eccezionalmente ben conservati.
A questi reperti hanno dato anche un nome: Penghu 1, perché sono stati trovati nelle reti da alcuni pescatori nel canale di Penghu, a 25 chilometri dalla costa occidentale di Taiwan. Il fossile doveva trovarsi a una profondità compresa fra 60 e 120 metri. Da almeno due anni, i ricercatori erano alle prese con una sperimentazione molto particolare ma anche stimolante: si erano messi in testa di isolare frammenti di proteine arcaiche e per cominciare sono partiti da frammenti ossei di animali rinvenuti proprio nella stessa area geografica. Quando la tecnica era a punto hanno deciso di cimentarsi – potete immaginare con che circospezione e con quale patema d’animo – con i resti della mandibola e dei molari di Penghu 1.
I risultati li hanno lasciati senza parole: due frammenti proteici estratti avevano sequenze di aminoacidi (i costituenti fondamentali delle proteine, appunto) che corrispondevano perfettamente al Dna estratto dal dito nella grotta di Denisova, nei monti Altaj: stessa sequenza, stesse varianti con minime differenze. Insomma, un denisovano a Taiwan, di sesso maschile.
Vissuto quando? Chi lo sa. I denisovani hanno popolato la Siberia almeno fra 200 mila e 50 mila anni fa, anche se alcune tracce di Dna ambientale (raccolto cioè direttamente dai sedimenti nelle grotte e non da frammenti ossei specifici) recano tracce denisovane già ben prima di 300 mila anni fa. E allora – sostiene Rainer Grün, professore di geocronologia all’Università di Canberra, in Australia – il denisovano di Taiwan risale come minimo a 50 mila anni fa, ma non si può escludere che quel reperto appartenesse a qualcuno vissuto molti millenni prima, anche tra 130 e 190 mila anni fa. In alcune fasi del Pleistocene il livello del mare era più basso di quanto non sia oggi e Taiwan era collegata alla terraferma in quella che oggi è la Cina. Chi ha fatto questa scoperta – ricercatori di Copenaghen, Dublino, Tokyo, e Taiwan naturalmente – ne va giustamente fiero, anche perché Penghu è a 4 mila chilometri a sud-est della grotta di Denisova e a duemila chilometri da Xiahe, dove si erano rinvenuti altri resti di denisovani.
Ma, a pensarci bene, che i denisovani si possano essere spinti a est del Tibet era verosimile sulla base di un’altra considerazione: chi oggi vive in quelle aree del Pacifico ha nel proprio Dna geni di Denisova. Come è possibile? Sì, è il risultato dell’ibridazione tra Homo sapiens e denisovani avvenuta in momenti successivi a quando i nostri antenati diretti hanno lasciato l’Africa. Una delle varianti genetiche che ha consentito di considerare Penghu 1 parte della famiglia dei Denisova è presente ancora oggi nel 20% delle popolazioni delle Filippine.
Nel 2019 si era scoperto che a Baishiya – una grotta nel nord-est del Tibet a 4.500 metri di quota abitata dai denisovani almeno da 165 mila anni fa – era presente il gene EPAS1 che aumenta l’efficienza dell’emoglobina come adattamento all’altitudine. Quello stesso gene è stato passato agli odierni tibetani. Un’etnia negritos filippina di Luzon, gli Ayta Magbukon, presenta addirittura il 5% di Dna denisovano. Si pensa che a queste latitudini le ibridazioni con i Denisova abbiano regalato ai sapiens una minore suscettibilità ai patogeni tropicali. Tracce genetiche denisovane si riscontrano anche fra alcuni aborigeni indiani e delle isole Andamane. Mediamente, tutti gli abitanti dell’estremo oriente di oggi hanno dall’1 al 5% di Dna denisovano, una presenza davvero pervasiva e con un’estensione territoriale che va dai monti Altaj e dal Tibet, a ovest, fino alla Melanesia, a est.
Dunque l’aver scoperto il Denisova di Taiwan per via molecolare potrebbe avere una portata molto più vasta: se i denisovani sono arrivati fino in Cina, chi ci dice che non avrebbero potuto spingersi anche a ovest o a sud, eventualmente fino in India da una parte e fino a Papua Nuova Guinea dall’altra? Tanto più che la presenza dei Denisova non solo nei freddi della Siberia o nelle altitudini del Tibet, ma pure nei climi caldo-umidi di Taiwan, suggerisce una capacità di adattamento a ecosistemi diversi che finora nessuno aveva sospettato (per quanto, a quei tempi, a Taiwan il clima fosse comunque più freddo di oggi). In Cina e nel Sud-est asiatico sono emersi indizi della capacità di Denisova di lavorare il bambù.
Anche questa specie umana si muoveva in base ai cambiamenti climatici. C’è chi si spinge a ipotizzare che Denisova abbia per lungo tempo colonizzato l’intera grande piattaforma continentale chiamata «Sonda», che nelle fasi di clima freddo si estendeva dall’Indocina attuale fino al Borneo, a Sumatra e a Giava. La costa orientale di questo continente coincideva all’incirca con la «linea di Wallace», una separazione biogeografica di faune che corre tra Bali e Lombok e tra Borneo e Sulawesi, individuata da Alfred Russel Wallace, il co-scopritore della teoria dell’evoluzione per selezione naturale. I denisovani sarebbero riusciti a superare anche la «linea di Wallace», giungendo fino a Papua Nuova Guinea, prima che «Sonda» venisse parzialmente sommersa, trasformandosi nell’attuale costellazione di arcipelaghi. Nell’evoluzione umana sono fondamentali gli spostamenti delle popolazioni e gli isolamenti geografici causati dai cambiamenti climatici.
Presto gli studiosi avranno accesso a molti più reperti fossili da cui estrarre Dna e proteine. E chissà che, in un tempo ragionevole, si possa anche sapere come erano fatti i denisovani in rapporto a quanto si sa già sulla struttura fisica dei Neanderthal e di Homo sapiens. Alcuni ipotizzano che l’aspetto fosse simile a quello dei Neanderthal: erano due specie sorelle con adattamenti convergenti tra Eurasia centro-occidentale l’una (i Neanderthal) ed Eurasia centro-orientale l’altra (i Denisovani). Di sicuro, i denti erano diversi: i denisovani avevano grandi molari da masticazione di piante coriacee.
Se verranno attribuiti a Denisova altri reperti scovati in Cina e Indocina (i crani di Dali e di Lingjing; quello di Harbin nella Cina settentrionale; le parti di uno scheletro femminile a Jinniushan; la mezza mandibola con alcuni denti di Xiahe, molto simile a quella di Penghu ma rinvenuta a 3280 metri di altitudine in Cina centrale; i resti di Maba in Cina meridionale; il molare della grotta del Cobra in Laos), l’identikit di questa specie misteriosa comincerà a delinearsi: corpo massiccio; faccia larga ma più verticale di quella neandertaliana; toro sopraorbitale marcato ma infossato a metà e sporgente ai lati; tecnologie e cervello paragonabili a quelli dei suoi due cugini, Neanderthal e Homo sapiens; carnagione scura; maturazione sessuale più veloce della nostra.
Neanderthal si estinse a Gibilterra intorno a 40 mila anni fa. Denisova in Asia forse nello stesso periodo, per motivi ancora da chiarire. Fino ad allora condividevamo la Terra con altri umani, le cui tracce genetiche persistono dentro di noi. La nostra solitudine di specie è un’eccezione recente nella storia intricata, e ancora in gran parte da scrivere, del genere Homo.