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 2025  maggio 25 Domenica calendario

Norman Foster. Nuove case per chi ha più bisogno

Bisogna guardare i dati. Studiarli, confrontarli. «Look at the data!», dice Lord Norman Foster, alzando solo di un poco il tono del suo elegante eloquio British. Elenca numeri che parlano di emergenze abitative, di profughi, di comunità condannate a vivere senz’acqua, senza luce. E di guerre, di città devastate dalle bombe come Kharkiv, in Ucraina. Eccoli allora, i dati: sono più di un miliardo gli esseri umani che non dispongono di servizi essenziali come fognature, elettricità e alloggi adeguati; entro il 2050 si stima che nel mondo una persona su tre vivrà in «insediamenti informali», baraccopoli cioè. E poi ci sono i 6 milioni e 600 mila rifugiati nelle tendopoli, dove rimangono in media per una decina di anni (a volte anche venti) nonostante le tende abbiano una «vita» di circa un anno. Sono sistemazioni insicure, brutte, precarie. Negano privacy e dignità. Su questi temi si batte la Norman Foster Foundation, creata nel 1999 dall’archistar premio Pritzker. Perché «l’architettura è ottimismo, è guardare il futuro». I progetti della fondazione, quelli più recenti, sono ora in mostra alla Triennale di Milano, focus dell’Esposizione internazionale Inequalities. «Combattere le disuguaglianze – sottolinea Foster – significa migliorare la qualità della vita. Di tutti».
Rigenerare gli slum. «Comunità non di disperazione, ma di speranza», precisa subito Foster. «Possono essere trasformate da dentro, senza ricorrere a demolizioni forzate. Abbiamo fatto così a Odisha, in India». In quel pezzo di terra, di fango, la Fondazione (con Tata Trusts) ha coinvolto gli abitanti attraverso interviste e laboratori per rinnovare l’insediamento. Insieme sono stati progettati e creati spazi pubblici, parchi giochi, sistemi per il riciclo dei rifiuti. In una cerimonia simbolica sono stati consegnati i certificati di proprietà dei terreni. «Senza radere tutto al suolo, senza allontanare le famiglie dalle loro radici, dalle loro abitudini».
Vita nelle baracche. Sicure, dignitose. Luce e senso di stabilità. Privacy e igiene. Anche (anzi, soprattutto) quando si tratta di rifugiati. Da questa convinzione è nato un altro progetto in mostra a Milano, Essential Homes (2022-in corso), dedicato originariamente agli alloggi nei campi profughi ma destinato a imprevisti sviluppi successivi. «Non si può stare sotto una tenda per tutto quel tempo», sospira Foster. Bisogna cambiare. La proposta – nata da un workshop con neolaureati provenienti da ogni parte del mondo; Foster ama coinvolgere i giovani, per questo esiste il Norman Foster Institute – si è materializzata in un modulo abitativo realizzabile in pochi giorni ma, rispetto alle tende, resistente e al cento per cento riciclabile. La multinazionale Holcim ci ha creduto: ha chiesto alla fondazione di mettere in pratica quelle teorie e realizzare un prototipo da usare come padiglione per la Biennale di Venezia del 2023. Bellissimo: struttura senza fondamenta (non ne ha bisogno) dotata di cucina, bagno, mobili e un terrazzamento esterno in lastre prefabbricate di calcestruzzo che di giorno assorbono la luce e la sera diventano luminose. Le unità possono essere collegate tra loro creando spazi raccolti molto diversi dalle anonime file che siamo abituati a vedere nei campi profughi. Racconta Foster: «Eravamo molto contenti del risultato. Lo ha notato un gruppo del governo del Costa Rica in visita a Venezia. Ci ha proposto una nuova sfida, una versione di casa a schiera a costruzione rapida in grado di fornire un’abitazione dotata di due camere da letto, cucina, soggiorno, bagno e portico. Lo abbiamo fatto». Prezzo per alloggio: 16 mila dollari. «Cambiando i materiali ma usando gli stessi principi si possono creare appartamenti a basso costo, modulari, e di alta qualità».
Magia dell’industrializzazione, un sogno che l’architettura (e l’ingegneria, e l’impresa) accarezza da decenni: unità da impilare una sopra l’altra per formare grattacieli, creare quartieri low cost, erigere ospedali in tempi record. Con moduli realizzati in fabbrica e sfornati da una filiera produttiva, con impianti idraulici e di manutenzione già integrati e pronti per essere collegati. Possibile? Sì. A Braga, in Portogallo, dove la Fondazione di Foster è responsabile della ricerca di un sistema di costruzione (guidato da Zethaus azienda del Dst Group e con il sostegno del governo portoghese) che coinvolge, tra gli altri, 24 aziende e 16 università. Modulo per studenti: letto, bagno, tavolo. Ce n’è uno anche a Milano, all’interno della mostra (e uno più grande, all’esterno). Foster accarezza il legno, «prova» il letto: «In questo modo possono nascere campus, cittadelle mediche: immaginate quante possibilità. In Portogallo si arriverà a produrre mille moduli in nove mesi. Sarebbero garantiti qualità, controllo dei costi e dei tempi di realizzazione».
Il grande progettista del «Gherkin», il grattacielo-cetriolo che ormai fa parte dello skyline londinese, il papà del Millennium Bridge, del nuovo Reichstag, il signore del vetro e dell’acciaio immagina quartieri disposti come mattoncini, «ma vivi, belli». Domanda: allora cos’è più difficile: progettare grattacieli o slum? Risposta: «Le dimensioni non contano, è tutto progetto, cioè il risultato di una scelta. Di un singolo o di un gruppo. E io faccio parte di un gruppo». Anche quando si tratta di «ricostruire città devastate dalla guerra come Kharkiv e Gaza».
Altri numeri, quelli di Kharkiv: oltre 11 mila palazzi danneggiati o distrutti, incluse 8 mila case e 40 edifici storici. Norman Foster è advocate per il Forum dei sindaci delle Nazioni Unite, che ogni anno, nella sede delle Nazioni Unite a Ginevra, riunisce amministratori cittadini di Europa, Stati Uniti e Asia. Durante l’incontro di aprile 2022, il sindaco di Kharkiv, Ihor Terekhov, gli ha chiesto aiuto per la ricostruzione e la rinascita della città, la seconda più grande dell’Ucraina, a soli 30 chilometri dal confine con la Russia. E visto che le cose fatte in squadra «riescono meglio», Foster ha subito coinvolto la fondazione, la società di ingegneria Arup di Berlino e due economisti: i professori Ian Goldin dell’università di Oxford e Edward Glaeser di quella di Harvard. Da allora oltre 160 sessioni di lavoro con 800 professionisti e i cittadini, l’invio di questionari e le conseguenti 16 mila risposte hanno prodotto un piano regolatore a lungo termine, con cinque progetti pilota che riguardano il patrimonio del centro storico cittadino (con spazi pubblici ridisegnati), la riqualificazione di fiumi (gli affluenti del Donez) e spazi verdi, la modernizzazione industriale (Kharkiv è stata a lungo epicentro dell’industria pesante prima sovietica e poi ucraina: il piano di Foster intende trasformare il vecchio sito in hub sostenibile dedicato a energia e agricoltura), lo sviluppo di nuove soluzioni abitative (l’80 per cento degli abitanti di Kharkiv vive in isolati fatti di cemento) e la creazione di un quartiere scientifico (il progetto intende trasformare il mercato di Barabashova in una cittadella delle scienze con tanto di parco). «L’intenzione – dice Foster – è ridisegnare una città resiliente e pronta al futuro. Lo sviluppo del masterplan non è solo uno strumento per rigenerare Kharkiv, ma serve anche come modello per la ricostruzione di altre città ucraine».
Un’opportunità dopo tanta sofferenza. Foster ricorda: «Durante la Seconda guerra mondiale il masterplan della nuova Londra era stampato in migliaia di copie e distribuito agli uomini al fronte, ai bambini, soprattutto ai cittadini. Era un manifesto di speranza nel futuro. La stessa cosa avviene oggi e il fatto di lavorare in gruppo permette di mettere insieme progetti, abilità, punti di vista diversi e di trovare una sintesi sempre interessante». Verso un futuro più equo. Foster parla di design, di ispirazioni, di visioni. «Il progetto ruota sempre intorno alla qualità della vita». Di tecnologia: «Architettura significa umanizzare le tecnologie, che fanno parte della nostra storia. Diamo per scontato che per accendere una luce si debba premere un pulsante, ma non è sempre stato così».
A proposito di energia: la Norman Foster Foundation e il Centro per i sistemi nucleari avanzati del Mit hanno avviato una collaborazione per indagare il potenziale di microreattori o batterie nucleari. Un modello è presente in mostra: «Lo so che fa discutere, ma guardate i dati! È la forma di produzione di energia più sicura. Le sue scorie sono minime e non hanno causato decessi. Al contrario, le persone che muoiono ogni anno a causa dei 40 miliardi di tonnellate di emissioni derivanti dalla combustione di carburanti fossili raggiungono cifre tra i sette e i dieci milioni». Dunque è «sempre questione di disuguaglianze». Spiegazione, supportata da altri dati: «Le società che consumano meno energia registrano il maggiore tasso di mortalità infantile e la più bassa aspettativa di vita, e soffrono di mancanza di libertà sessuale e politica». Da qui l’imperativo di mettere a disposizione energia per «rinforzare la società, dare a tutti la possibilità di migliorare». Aneddoto personale, che risale all’anno scorso: «Per questo mi sono così arrabbiato quando il governo britannico ha rottamato il piano di alta velocità ferroviaria che univa Birmingham e Manchester al ricco sud dell’Inghilterra».
Non perde l’ottimismo Foster: «Progettare è il nostro lusso più grande. È l’applicazione delle nostre energie creative. È un’attitudine mentale che, nella mia visione, è sempre una versione migliore rispetto al passato, perché se guardiamo alle nostre spalle ci rendiamo conto di quanta strada abbiamo fatto. Possiamo imparare dai maestri di un tempo, ma quanti traguardi che sembravano irraggiungibili ora sono alla nostra portata?». Sembra di parlare con un ventenne anziché con un quasi novantenne (li compirà domenica prossima, il 1° giugno). Sorride: «Traggo beneficio dalla vicinanza con i giovani». Anche se, ammette, «per loro ora è più semplice: una volta non esistevano i bandi, strumento oggi preziosissimo per chi ha buone idee, vuole emergere, farsi conoscere».
Battaglie ambientaliste, il lavoro con il Norman Foster Institute che forma i futuri amministratori locali (molti ex studenti lavorano nei municipi di tutto il mondo), l’impegno sulle uguaglianze. Foster trova anche il tempo per i suoi star-progetti. Per esempio? «La nuova sede di JP Morgan a New York, l’ampliamento del Museo del Prado a Madrid, il Museo di Belle Arti di Bilbao. E ho appena cominciato...».