Sette, 24 maggio 2025
«Ogni giorno 20-30 uomini, ma ho un figlio da mantenere»: quelle lettere delle prostitute delle case chiuse
Lettera n° 54: «Si entra con l’incoscienza, il miraggio di ambizioni stupide. E dopo, quando vediamo che questo denaro sudato con il nostro dono migliore non dà né il risultato e nemmeno la felicità, non siamo più capaci di trovare la vera via (…) Passano gli anni, le speranze, qualche illusione d’amore, una grande pietà ci prende per noi stesse, di essere così perdutamente sole». Così una prostituta scriveva a Lina Merlin in una delle 70 lettere che andavano a formare il libro «Lettere dalle case chiuse» elaborato e pubblicato dalla stessa senatrice socialista insieme alla giornalista Carla Barberis (pseudonimo di Carla Voltolina, moglie dell’allora vice-segretario del Psi Sandro Pertini) nel 1955, mentre era in corso il dibattito per l’approvazione della legge che avrebbe portato alla chiusura delle case «di meretricio» come erano definite nel regolamento del 1931.
Sono passati 70 anni dalla pubblicazione di quel volume che suscitò scalpore ma ebbe il merito di dare voce alle dirette interessate, le ragazze delle «case», mostrare i loro desideri e le loro speranze di riscatto e rendere più consapevoli gli italiani sulla reale condizione di vita nei postriboli. Le ragazze raccontano storie di segregazione e schiavitù, rivelano l’impossibilità di cambiare vita ma sperano nella liberazione che arriverà dalla nuova legge. Merlin aveva come obiettivo la dignità alle donne in nome dei principi di uguaglianza della Costituzione e l’idea di far parlare le prostitute era stata dirompente. Perché spostava finalmente l’attenzione da questioni come morale, salute (quella dei clienti) o decoro al tema dei diritti delle persone.
LE LETTERE
Le lettere, settanta in tutto, sono suddivise in tre parti: come si entra, come si vive nelle case e perché è durissimo uscirne. Sono racconti pieni di umanità, scritti da persone semplici e sempre molto lucide nell’analisi della situazione. Alcune lettere sono firmate con nome e cognome, altre con iniziali o pseudonimi. Qualcuna è inviata da «un gruppo di ragazze»
INCOMINCIA COSI’
«Sono una di quelle – si leggere nella lettera numero 2 – le dirò perché a 25 anni faccio questa vita. Il mio principale, quando ha visto che sull’atto di nascita risultavo figlia di N.N., ha subito preteso di approfittar di me. Il resto va da sé».
«Quando una di noi è nel giro – è la lettera numero 7 – se proprio non è finita, non la lasciano più uscire, perché oltretutto ci fanno firmare tante cambiali, ci indebitiamo per vestirci, per le malattie, per tutto. Quando non andiamo a finire al cimitero andiamo a finire all’ospedale. Eppure siamo giovani e sembriamo delle vecchie». Molte di queste donne hanno figli, come racconta la lettera numero 9
PRIGIONI LIBERE
«…Ogni giorno venti o trenta uomini. Ma io ho un figlio che devo mantenere e devo fare queste cose per forza: il mio bambino è in collegio. Lui non deve mai sapere. Costa moltissimi soldi mantenerlo»
Qualcuna, poi, pensa al futuro. A cosa succederà quando le case saranno chiuse. «(…)Per il destino avverso sono entrata in queste prigioni libere. (…) Ci darà il governo un lavoro? Oppure saremo disprezzate e allontanate come siamo oggi?»
I CONTROLLI SANITARI? FINZIONE
Ancora più duri sono i racconti di come si svolge la vita: testimonianze che smontano anche il presupposto su cui si reggono le case, ovvero i controlli sanitari e la tutela della salute pubblica. Questo racconta la lettera numero 13:
«Mi fanno ridere quando vengono per le visite di controllo. La maggioranza sono sempre d’accordo (mangiano tutti e tutti tacciono). (…)Le fecero fare l’esame del sangue, dopo dieci giorni ebbe la risposta positiva. Quanti sifilitici à (così nel testo) fatti solo lei? Mettiamo che sono 40 al giorno, dieci giorni 400 persone»
Controlli pochi e di facciata e in più la beffa (Lettera numero 14)
«…Dalla parte poi delle Signorine si devono levare tutte le spese di disinfettanti, di dottori, di Professori, perché tutti mangiano, regali alle padrone, alle direttrici. È inutile anche che mandiate commissioni e ci interroghiate davanti alla direttrice, alle padrone, oppure anche senza queste, dentro le case. La verità non si può mai dire, non per viltà, ma perché sai che puoi fare la valigia e andartene. (…) Se stai male, hai la febbre, devi lavorare lo stesso perché altrimenti la padrona ti manda via»
LA POLIZIA NON FA NULLA
E poi la consapevolezza di essere sfruttate e di essere finita in una situazione in cui anche chi dovrebbe vigilare è colluso, come si legge nella numero 16:
«Come hanno potuto arricchire così certi esseri spregevoli col sangue delle povere vittime. Accordi con trafficanti, ragazze rovinate. Quello che impressiona è che la polizia non indaga mai».
O come ci racconta la lettera numero 26 : «(..) Oltre a essere sfruttate dalle proprietarie di detti locali, siamo pure sfruttate da certi Sanitari disonesti preposti dall’Autorità per le visite Giornaliere e di Controllo a dette Case».
Qualcuna (lettera numero 27) si rivolge con forza alla senatrice Merlin
«(…) le finestre sono ermeticamente chiuse (…) uscire sole è vietato, ordine del questore. Il questore vieta a noi l’uscita perché dice che teme dia scandalo e permette che i tenutari nei caffè parlino ad alta voce dei loro loschi incassi. (…) Credetemi egregia signora, anche modificando le leggi a nostro riguardo andrà sempre a vantaggio dei tenutari e noi si sarà sempre delle vittime. E allora, signora, lottate, lottate perché questo triste mercato cessi, chiudete chiudete queste tombe dei vivi».
LA SPERANZA DI UNA VITA DIVERSA
Qualcuna di queste ragazze (lettera numero 24) però riesce a immaginare una vita diversa:
«Finalmente una speranza è entrata nei nostri cuori (…) presto o tardi saremo liberate e potremo tornare persone civili, con diritti pari a tutte le altre (…) Dormiamo negli stessi letti dove di giorno riceviamo i clienti e ogni notte abbiamo incubi. (…)Lei deve spezzare questa catena. Vogliamo tornare a essere donne come le altre e che ci assicurino un lavoro un lavoro onesto e non una carità»
Sfruttate, prese in giro con controlli sanitari all’acqua di rose, schedate e imbrigliate nella burocrazia: anche scegliere di cambiare vita e chiudersi alle spalle la porta della casa non era affatto un percorso semplice come si legge nella lettera 30
«…Ho avuto la forza di resistere nella sola speranza di tornare a essere una brava persona. (…) Al momento giusto non mi fu rilasciato il libretto di lavoro perché non avevo ancora una residenza. Chiesta la residenza, non fu concessa perché non avevo un lavoro che giustificasse la mia presenza in quella città».
Casa chiusa a Brera Milano
SCHEDATE, QUINDI CONDANNATE A VITA
“«Nessun mestiere riesco poter fare, avendo praticato “le Case” ed in qualsiasi posto mi presento vogliono informazioni che naturalmente non posso fare prendere, perché verrebbero orrende. Perché nessuna persona potrebbe aver fiducia in una donna che ha il passato segnato da tale mestiere».
La parte finale del libro contiene i pareri favorevoli (pochi in realtà nelle lettere arrivate alla senatrice Merlin) e contrari alla chiusura della case. «Non siamo schiave di nessuno, ma libere delle nostre azioni -si legge nello scritto catalogato come lettera 42- la prostituzione che piace a voi, cioè quella libera – si legge ancora nello stesso estratto- ci fa ribrezzo». Qualcuna invece per spiegare la propria condizione usa l’immagine dei «negozianti di carne umana e di povere donne schiave di questi mercenari» (Lettera 43) e chiedono alla senatrice di liberarle dalla schiavitù.
GLI UOMINI «LURIDI»
Donne disincantate e disilluse che aspettano l’approvazione della legge. «A tutto quelli che comprano il mio corpo chiedo cosa succede del progetto e tutti rispondono al medesimo modo: il governo ha troppo guadagno per chiudere una organizzazione del genere» (lettera 44).
«Cara senatrice Merlin – si legge nella 48 – Siate la nostra madre, la mamma di tutte noi. Chiudete le case di tolleranza. Non date ascolto a nessun uomo. Sono tutti luridi, gli uomini. Più gli sposati che gli scapoli. (…) Autorizzate le Ditte, gli uffici ad assumerci al lavoro».
DOVE ANDRANNO I POVERI SOLDATI?
Chi aspira a un lavoro «onesto», chi si considera «sepolta viva», chi teme i moduli della questura e le pressioni per dichiarare di essere contrarie alla chiusura dei bordelli. Ma c’è anche chi (lettera 50) si chiede «dove andranno centinaia di soldati, tutta la bella e sana gioventù cosa dovranno fare? (così nel testo), al bisogno fisico dell’uomo, con il rischio maggiore delle malattie. Noi italiani non siamo temperamenti da confrontare con i nordici, altro sangue scorre nelle nostre vene». A questa preoccupazione sembra rispondere la lettera 61: «Da tre anni vivo in questa boglia infernale, non so uscirne. Trovo più logico che si tolleri la prostituzione libera perché è sempre esistita (...) Finalmente la Donna potrà scegliere l’uomo e questi con conquista potrà avvicinarla. I nostri uomini bisogna che si abituino diversamente».
IL LAVORO SESSUALE OGGI
Sono passati 70 anni da quel libro e dalla legge e il lavoro sessuale in Italia è profondamente cambiato, soprattutto per l’arrivo delle donne migranti e per l’orrendo fenomeno della tratta che, secondo i report delle Nazioni Unite, ha numeri impressionanti. La legge che fissa i divieti (non la prostituzione in sé che è legittima ma il suo sfruttamento o favoreggiamento) è ancora la Merlin, nonostante si siano avvicendati circa 170 disegni di legge che proponevano di modificarne il quadro ora in senso proibizionista, ora con l’intento di regolamentare se l’attività è «libera» e non sottoposta a sfruttamento. Ma il tema è profondamente divisivo nel nostro Paese e nessun progetto è mai arrivato in Aula.
IL CORTOCIRCUITO DEL CODICE ATECO
Non stupisce, quindi, che abbia subito riacceso la polemica il caso dell’introduzione di un nuovo codice Ateco – ovvero uno di quei codici Istat che identifica le libere professioni, ne definisce le partite Iva ed è utile a fini statistici – pensato proprio per indicare quei «servizi per la persona» come «le attività di accompagnatori e di accompagnatrici (escort)». Il nuovo codice, ovvero il 96.99.92 andrebbe anche a indicare la «fornitura o organizzazione di servizi sessuali, organizzazione di eventi di prostituzione o gestione di locali di prostituzione». Dov’è è il cortocircuito? L’organizzazione della prostituzione è vietata (pene fino agli 8 anni di reclusione) quindi si rischia di codificare un reato grave in un atto ufficiale come la classificazione Istat. Come se si istituzionalizzasse la figura del protettore codificando l’organizzazione della prostituzione solo a fini fiscali scavalcando la legge.
Dall’Istat hanno precisato che il nuovo codice è necessario per adeguarci a norme Ue e che in Italia riguarderà solo attività legali come le agenzie matrimoniali e di speed dating. Quindi nessun aggiramento della legge. Ma immediatamente si è riaccesa la polemica politica: appena si accenna a ipotesi di regolamentazione del lavoro sessuale sembra ritornare dalla finestra il vecchio tema della riapertura di case chiuse controllate dallo Stato, se pur con qualche make-up di modernità, anziché affrontare un dibattito serio, magari anche dando voce alle dirette interessate. Proprio come fece Merlin 70 anni fa.