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 2025  maggio 24 Sabato calendario

Maureen Dowd: "Washington e Hollywood produttori gemelli di illusioni"

Che fine abbia fatto la politica lo si capisce dal fatto che Maureen Dowd, più famosa editorialista politica del New York Times, vincitrice nel 1999 del Pulitzer per i suoi articoli su Bill Clinton, negli ultimi anni abbia deciso di scrivere un solo editoriale a settimana, invece che due, tenendosi libera per ritrarre e intervistare personaggi d’ogni sorta. E che, dovendo raccogliere in volume le sue interviste, abbia da poco mandato nelle librerie americane un tomo, Notorious, ancora senza editore italiano, che ha l’eloquente sottotitolo “Ritratti di star di Hollywood, della cultura, della moda, della tecnologia”. Politici neanche mezzo, teoricamente. Perché ovviamente tutto è politica, anche il regista del Laureato che racconta la serata in cui Marilyn cantò gli auguri al presidente Kennedy. E perché due delle più interessanti conversazioni contenute nel libro sono con Peter Thiel – primo investitore di Facebook, cofondatore di PayPal – e con Elon Musk. Sono del 2017, quando Thiel aveva aiutato Trump con la transizione dalla presidenza Obama, ed era l’eccezione repubblicana nella Silicon Valley; e Musk non aveva in gran simpatia Trump. Come si è evoluta la situazione lo sappiamo. L’avremmo saputo da allora, forse, se avessimo letto con più attenzione. Le interviste di Dowd si chiudono tutte con la formula “Confirm or deny": la donna più fascinosamente laconica del mondo, una che se le chiedi un’intervista con una mail di trenta righe risponde solo «sure», ha inventato un efficace format in cui lei elenca congetture, e gli intervistati devono solo confermare o negare. Ovviamente, anche quest’intervista finirà così: bisogna sempre copiare da quelle brave.
«Mi chiedono sempre se Trump sia un personaggio shakespeariano, visto che mi sono laureata secoli fa su Shakespeare, ma a me sembra somigli più a P.T. Barnum: l’America dai suoi politici vuole lo spettacolo, Biden per loro era troppo noioso, poi quell’altro fa crollare l’economia ma pazienza».
Il circense Barnum mi pare il modello comportamentale d’un po’ tutto il presente, anche per aver teorizzato la necessità di creare diversivi, di dirottare l’attenzione, che è esattamente quel che fa Trump sparandone di sempre più grosse e impedendoci di tenere il conto di tutto.
«Certo, è per quello che sul circo c’erano tre piste: è successo un pasticcio su questa pista, presto, guardate di qua, c’è un elefante sull’altra pista! Quando Elon Musk saltella nello studio Ovale con in testa due cappellini, è Barnum. Nel libro c’è un ritratto di Peter Thiel che scrissi nel 2017, e all’epoca Elon e Trump non erano alleati, ma Thiel prevedeva che sarebbero finiti insieme perché erano tutti e due “venditori magistrali e figure assai ingombranti”. Ma, come sappiamo, quando due figure ingombranti occupano lo stesso spazio una deve farsi da parte, e credo che stia per toccare a Elon».
L’intervista a Thiel è abbastanza impressionante, io leggendola all’epoca non avevo capito che ci stava raccontando il futuro.
«Ci sono due aneddoti lì che dicono molto di Musk. Quello della partita di poker in cui puntano un sacco di soldi, Elon a casaccio, e poi confessa di non aver mai giocato a poker prima di allora. È la stessa cosa che è successa col Doge, il dipartimento per l’efficienza governativa: non sapeva cosa fosse la pubblica amministrazione, non la capiva, e gli sembrava che per tagliare i costi di Washington lo strumento più adatto fosse una sega elettrica: io sono nata a Washington, nella mia famiglia hanno sempre lavorato tutti nel settore pubblico, e il disprezzo che questa amministrazione dimostra per loro è scioccante».
L’altra storiella eloquente immagino sia quella in cui vanno a fare un giro sulla macchina di Formula1, si cappottano, per puro caso non s’ammazzano, e neppure avevano l’assicurazione.
«Stiamo parlando di una persona fuori controllo alla quale sono state date le chiavi del regno. Ricordiamoci che quella conversazione avviene nel 2017, quando a parte lo stesso Thiel, che si era trovato coinvolto nel comitato di transizione verso la prima presidenza Trump, la Silicon Valley a stento si accorgeva di Washington: per loro era un fastidioso posto a est del paese che forse avrebbe fatto delle leggi sgradite. Non somigliava a quel che è successo con questo secondo mandato, quando si sono accorti che potevano uscire dal campetto di pallone digitale e venire a giocare a Washington. L’immagine che resterà del secondo insediamento Trump sono i padroni della Silicon Valley in fila a omaggiarlo».
A un certo punto di una vostra conversazione Musk cita i Monty Python, «Nessuno si aspetta l’inquisizione spagnola», che potrebbe essere un po’ la sinossi della seconda presidenza Trump.
«A me piace molto anche quando, parlando di come l’intelligenza artificiale potrebbe finire fuori controllo, dice che un impero è un’ottima idea se l’imperatore è Marco Aurelio, molto meno se l’imperatore è Caligola. Non poteva sapere che otto anni dopo Trump sarebbe stato considerato Caligola».
Ho visto un video di Zuckerberg che dice che l’intelligenza artificiale ci fornirà i dodici amici in più che ci mancano.
«Quando ho iniziato a scrivere di loro, l’intelligenza artificiale era una bimbetta. Adesso è un’adolescente e inizia a guardarci chiedendosi chi siano questi rimbambiti. Tra un po’ sarà abbastanza grande da volerci uccidere. Non sono sicura sia una buona idea considerarla amica».
Mi vengono in mente un paio di casi di cronaca italiana di tardoadolescenti che uccisero i genitori. L’intelligenza artificiale come Erika De Nardo.
«Elon nel 2017 era l’unico che diceva che ci voleva un pulsante che potesse sopprimere l’intelligenza artificiale, che era un demone, che sarebbe diventata pericolosa. Tutti gli altri pensavano solo a quanti miliardi potevano farci: è per quello che lui e Sam Altman, che ha trasformato OpenAI in un’azienda a scopo di lucro, sono in causa. Sarà un processo stupendo. I miliardi sono un’attrazione troppo forte, e Washington è stata troppo sprovveduta per legiferare. Risultato: il selvaggio west. Questi ragazzi provano qualcosa d’inedito: possono creare una nuova specie, una cosa che finora era permessa solo alle donne, ovvio che gli giri la testa».
Thiel le dice, commentando la sconfitta di Hillary Clinton, che c’era una bolla autoconfermativa fatta di gente che aveva paura di dire che era una candidata debole. Chissà se pensa la stessa cosa della candidatura di Kamala Harris.
«Quando io ho iniziato a occuparmi della Silicon Valley, una decina d’anni fa, erano più di sinistra. Libertari e roba del genere. Poi Trump è stato favorevolmente colpito quando, dopo l’attentato, Zuckerberg ha detto che era un badass...»
Uno cazzuto.
«…e che alla Casa Bianca serviva un’energia più virile; è nata così la nuova alleanza, questa bislacca maschiosfera. Solo per aver detto “badass"».
Basta così poco per accattivarselo?
«Così mi dicono quelli che lavorano con lui, che questa parola l’avesse lusingato moltissimo. Trump è sempre stato un bambino ricco ma escluso dai giri giusti, col naso schiacciato sulle vetrine della pasticceria elitaria. Insulta le élite, ma brama la loro approvazione. È elettrizzato che Elon, cui una volta non piaceva, ora praticamente abbia la residenza nella sua stanza degli ospiti. Jeff Bezos ha dato quaranta milioni di dollari alla produzione d’un documentario su Melania per girare il quale basterebbe un milione. Se l’è comprato».
C’è una conversazione con Mike Nichols in cui lui le racconta d’aver origliato quel che si dicevano Bob Kennedy e Marilyn Monroe a una serata alla Casa Bianca...
«John e Bob e Marilyn erano un triangolo da film noir, con tutte le bizzarrie sessuali dei Kennedy».
Ma quel che le volevo dire è che io ho letto e ho pensato: cosa darei per vedere il filmato di Mike Nichols che imita le voci di Monroe e Kennedy. Vent’anni fa non l’avrei mai pensato: mi sarebbe bastato leggere lei che lo racconta. I video hanno rovinato per sempre la lettura?
«Eh. I giovani preferiscono informarsi nell’abisso di TikTok. Ma vede: ancora oggi, quando leggo il New York Times, io mi sento più intelligente; quando guardo Instagram o TikTok, no. Mi sento stupida, e anche invidiosa, perché mi sembra che tutti abbiano vite più scintillanti della mia».
Posso stamparmi su una t-shirt “Mi sento più intelligente quando leggo i giornali”?
«Facciamoci le tazze per il cappuccino».
Ha accennato che Harvey Weinstein cercò di bloccare l’intervista con Uma Thurman, in cui le disse per la prima volta che aveva molestato anche lei. Può dirmi di più?
«Era l’inizio del 2018, lui era in una clinica in Texas a disintossicarsi da non so bene cosa, forse dal sesso. Gli abbiamo dovuto sottoporre le dichiarazioni di Uma per dargli il diritto di replica, e lui si è molto agitato, e ha passato il tutto a Tmz, un sito scandalistico, pensando che se fosse uscita lì ci avrebbe bruciato l’esclusiva e non l’avremmo più pubblicata. Loro sono andati a casa di Uma, e lei è stata bravissima, calma, li ha illusi che gli avrebbe dato un’intervista, ha preso tempo, e ci ha dato modo di uscire. Ma è stato spaventoso vedere Harvey che, dalle ceneri della sua carriera, riusciva ancora a muovere i fili, aveva ancora potere. Sto sempre nello stesso albergo, quando lavoro da New York, ma da allora mi sono fatta cambiare stanza perché sono traumatizzata a ripensare a lui che risorge quando sembrava fosse finita».
Conferma o smentisce che le persone più odiose sono i migliori intervistati?
«Certo! La mia intervista con Kevin Costner è nelle classifiche delle migliori interviste a gente famosa perché lui era minuziosamente insultante, invece che noiosamente educato».

Conferma o smentisce che Bill Clinton fosse un politico migliore di Barack Obama?
«Migliore nel senso che capiva che la politica è l’arte di convincere, sì. Ma peggiore perché non capiva che non gli sarebbero state perdonate le cose che erano state perdonate a JFK cinquant’anni prima, che i tempi erano cambiati».
Elon Musk le ha confermato che ha una chat coi fratelli Emanuel, uno dei quali, Rahm, è il più sensato candidato democratico per il 2028. Conferma o smentisce che, anche se Trump perde, Musk sarà amico del prossimo presidente?
«Se Rahm si candida, voglio seguire la campagna, sarà molto divertente. Lo sa che Ari, il fratello che fa l’agente a Los Angeles, era l’agente di Trump quando faceva televisione?».
In Italia abbiamo un detto, non si può fare la rivoluzione perché ci conosciamo tutti. Direi che vale anche lì.
«Per come la vedo io, Washington e Hollywood sono l’una lo specchio dell’altra, produttori gemelli di illusioni e narcisismo. Ma già dai tempi di Reagan, almeno».
Conferma o smentisce che se avesse vent’anni non si metterebbe a fare la giornalista nel mondo d’oggi?
«Confermo. Io ho fatto la giornalista per le redazioni, per lo scambio, per i rapporti. Era in redazione che trovavi gli amici, gli amori».
Adesso per gli amici c’è l’AI.
«Giusto, devo andare a procurarmi i miei dodici amici. No, credo che mi occuperei di bestiame in Wyoming, mi sembra più divertente che fare giornalismo su Zoom».