Avvenire, 24 maggio 2025
Una fede sempre più “liquida” Uno su cinque cambia religione
«Qual è la vostra religione attuale, se ne avete una? E con quale siete cresciuti nella vostra infanzia?». Due semplici domande, per un sondaggio che ha coinvolto circa ottantamila persone adulte, la metà negli Stati Uniti, il resto in altri trentacinque Paesi alle più diverse latitudini. I risultati dell’indagine, pubblicati poche settimane fa dal Pew Research Center di Washington, rivelano che nella maggior parte dei Paesi considerati, almeno un quinto degli intervistati ha abbandonato il gruppo religioso in cui è cresciuto. Cristianesimo e buddismo hanno registrato le perdite più significative, non tanto per conversioni ad altre fedi, ma per una progressiva tendenza a non avere più alcuna affiliazione religiosa.
Ci sono popoli per cui è scelta rara quella di convertirsi o di abbandonare la propria religione senza adottarne una alternativa. È così in India, Israele, Nigeria e Thailandia, dove il 95% o più degli adulti del campione afferma di appartenere ancora al gruppo religioso in cui è nato. La maggior parte delle persone cresciute come ebree in Israele e negli Stati Uniti si definisce tale ancora oggi, con alti tassi di permanenza in quella comunità in entrambi i Paesi. Anche fra i musulmani si rintracciano fuoriuscite limitate: a livello globale, percentuali molto ridotte di popolazione hanno abbandonato l’Islam (e, ugualmente in bassa misura, vi si rilevano nuove adesioni). Emerge invece tutt’altra tendenza in Europa occidentale, Asia orientale, Nord e Sud America. Così, il 50% degli intervistati in Corea del Sud, il 40% in Spagna, il 38% in Canada – solo per citare i tre Paesi con le percentuali più alte – non si identificano più con la religione della loro infanzia. In Europa si vedono tassi abbondantemente sopra il 30% in Svezia, Paesi Bassi, Regno Unito, Francia e Germania. In Italia riferisce di non appartenere più alla confessione religiosa d’origine circa un intervistato su quattro, cioè il 24% delle persone coinvolte. Di queste, quasi la totalità (il 21%) ora si definisce ateo, agnostico o non si sente affiliato a “nulla di particolare”. E infatti la stragrande maggioranza degli italiani intervistati, il 94%, afferma di essere stata educata secondo il cristianesimo, ma un numero molto inferiore, solo il 73%, si descrive ancora oggi come cristiano. Nella nostra penisola per ogni nuovo fedele che si è avvicinato da adulto al cristianesimo, si contano 28,4 fedeli che se ne sono allontanati, malgrado fossero cristiani da bambini.
A livello globale, Italia, Colombia e Grecia presentano i tassi più elevati di cittadini che un tempo erano fedeli a qualche confessione e che ora fanno parte della categoria dei non affiliati ad alcuna religione.
E tuttavia, là dove da atei si sceglie di avvicinarsi alla fede, come in Argentina, a venire scelto più di frequente è il cristianesimo. In una manciata di Paesi, il cristianesimo cresce proprio a seguito dei cambi di religione. Singapore e Corea del Sud presentano tassi elevati di “adesione”, con oltre quattro adulti cristiani su dieci che hanno raccontato ai sondaggisti di essere nati con un’altra religione o in famiglie senza alcuna affiliazione. Si tratta di luoghi però in cui i cristiani rimangono una minoranza (il 18% degli abitanti di Singapore e il 33% di quelli della Corea del Sud si definiscono tali). E si tratta di due nazioni dove l’indagine – insieme al Giappone – registra gravi perdite per la comunità buddista. Interessante osservare da questa angolazione quanti, fra gli intervistati di ciascun Paese, oggi si dichiarano cristiani, ma sono invece nati in un’altra comunità confessionale o completamente estranei a qualsiasi pratica religiosa. Quanti, dunque, si sono avvicinati al cristianesimo solo di recente: in Spagna è il 5% del totale dei cristiani, in Olanda il 7% e in Svezia il 9%. Cioè nel Paese scandinavo quasi un cristiano su dieci non lo era da piccolo (in Italia è solo uno su cento).
Globalmente, i tassi di cambiamento (o di perdita) della propria religione originaria non variano molto tra persone con diversi livelli di istruzione. Tuttavia, in alcuni dei Paesi esaminati, i cittadini che hanno avuto percorsi scolastici più lunghi tendono a mostrare tassi più alti. È il caso dell’Italia, dove il 33% degli intervistati con gradi di istruzione elevati (diploma superiore o post-secondario) ha cambiato o ha perduto la propria fede, rispetto al 21% di chi ha un livello di istruzione più basso. Tendenza simile se si utilizza le lente del genere: se a livello mondiale si registrano percentuali pressoché uguali di donne e uomini che hanno abbandonato la loro religione della loro infanzia, in sei Paesi tra cui Italia, Giappone e Usa, si riscontrano differenze davvero significative, con gli uomini più propensi delle donne al cambiamento. Nella nostra penisola, la percentuale di uomini che si è allontanato dalla propria fede per seguirne un’altra o per diventare atei è del 28%, mentre si ferma al 19% il tasso delle donne che ha scelto di intraprendere questa strada.