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 2025  maggio 23 Venerdì calendario

Intervista a Massimo Osanna

Massimo Osanna smentisce tutti gli stereotipi. È professore ordinario di Archeologia all’Università Federico II di Napoli, da più di quattro anni dirige i musei nazionali, per sette anni ha avuto cura dello sterminato patrimonio archeologico di Pompei. Ma nulla si porta addosso della polvere di reperti e rovine, solare come un bimbo in gita scolastica. Ride di gusto, ancora prima di cominciare questa intervista. «È che per me le necropoli sono come i luna park».
In che senso?
«Ci giocavo da bambino. Il paese dove sono nato è pieno di catacombe, ci sono le più famose, quelle ebraiche e, accanto, quelle cristiane».
In quale paese è nato?
«A Venosa, in provincia di Potenza, più di diecimila anime immerse nella storia del parco archeologico monumentale. Ma non solo».
Cos’altro?
«Venosa è il luogo dell’Incompiuta dove i resti medievali si uniscono a quelli della Venusia romana».
Un imprinting ineluttabile quindi quello di diventare archeologo?
«Un’attrazione fatale. Ai miei tempi, circa cinquanta’anni fa, si poteva scorrazzare liberamente per le rovine storiche, non c’erano i recinti che sono stati messi poi per i turisti».
E le necropoli erano il suo parco giochi.
«Una volta con un mio amico abbiamo trovato anche un teschio».
Un teschio? E che ci avete fatto?
«Non abbiamo detto a nessuno di quella scoperta e lo abbiamo tenuto come giocattolo».
Ma non era un reperto di valore?
«Probabile, ma all’epoca non potevo saperlo. Chissà che fine ha fatto».
Un’infanzia sui generis la sua.
«Un’infanzia felice. Ha segnato il percorso della mia vita senza farmi mai avere dubbi o ripensamenti».
Lei è stato nominato direttore dei musei nazionali del ministero della Cultura alla fine del 2020, nel pieno dramma della pandemia.
«Già. La mia nomina è stata perfezionata a settembre del 2020, per la precisione, in un’Italia smarrita e stordita dal Covid».
Un momento complicato per cominciare un nuovo incarico.
«Per me è stato l’esatto contrario».
Come mai?
«Per il mio lavoro ho avuto una deroga per poter circolare liberamente, sono andato in giro per musei da solo e, ovviamente, li trovavo tutti vuoti. È stato straordinario. Mai come in quelle settimane avrei potuto conoscere e approfondire al meglio il nostro patrimonio museale».
Quanti sono i musei italiani?
«In totale circa cinquemila, di cui quasi cinquecento sono i musei nazionali e quattromila e cinquecento i musei pubblici tra quelli non statali e quelli privati».
Li dirige tutti lei?
«Coordino il sistema dei musei nazionali, seguendo le linee di indirizzo del ministro Giuli che mi ha dato anche la responsabilità del monitoraggio dei progetti per la misura Pnrr relativa all’accessibilità, sono 1.129 progetti».
Ci fa un esempio di uno di questi progetti?
«L’abbattimento delle barriere cognitive».
Le barriere cognitive?
«Sì, sono quegli ostacoli che si creano con linguaggi e narrazioni non adatte a tutti i tipi di pubblico».
Di quale pubblico parla?
«I bambini, le persone disabili, quelle senza istruzione superiore o anche provenienti da altre aree del mondo e altre culture. Noi al ministero ci siamo impegnati a rimuovere le barriere nei luoghi della cultura. Ma non soltanto quelle cognitive».
Quali altre?
«Le barriere fisiche. Grazie al Pnrr abbiamo avuto a disposizione trecento milioni per eliminare ogni tipo di ostacolo. Altri trecento, poi, per l’efficentamento energetico. Poi la app».
Quale app?
«Si chiama musei italiani ed è il mio fiore all’occhiello. Provarla per capire».
Prima di dirigere i musei, si è occupato a lungo del Parco archeologico di Pompei.
«Sette anni meravigliosi. All’epoca sulle rovine arrivarono i finanziamenti del Grande progetto Pompei, oltre cento milioni».
Cosa ci ha fatto?
«Tutto quello che potevo, che potevamo. È stato un grande lavoro di squadra grazie anche al generale Giovanni Nistri».
Ovvero?
«Abbiamo aperto e riaperto venticinque domus, per fare un esempio».
Tra queste qual è la domus più importante?
«Non so, sono tutte quante importanti. Le case Championnet, i Praedia di Giulia Felice, la casa della Venere in Conchiglia, la domus dei Vettii, la villa di Diomede, la casa di Sirico. Pompei e tutta la Campania mi sono rimasti nel cuore».
Infatti seguendo il suo cuore ha scelto Capri per il matrimonio con Gianluca.
«La nostra prima scelta non era stata Capri. All’inizio avevamo pensato di sposarci a Ligalli».
Ligalli?
«Sono due isole piccolissime di fronte a Positano, dove c’è una villa che apparteneva a Nureyev. Sono le isole delle sirene legate al mito di Parthenope. Ci piaceva l’idea di sposarci lì, poi ci siamo detti che era meglio lasciare perdere, ci sembrava molto complicata tutta la logistica».
Beh poi però come logistica a Capri non siete andati meglio...
«In effetti».
Avete voluto fare la cerimonia a Villa Lysis, un posto inarrivabile che ha stroncato persino l’ardimento di Paolo Sorrentino.
«Già, ci ha maledetto (ride, di nuovo, ndr)».
L’omelia di Sorrentino per il vostro matrimonio è diventata virale sul web.
«Io e Gianluca non riuscivamo a trattenerci dalle risate mentre Paolo la leggeva. Aveva in ogni modo cercato di dissuaderci dall’arrampicarci e far arrampicare tutti fino a lassù».
Poi ha desistito?
«Era impossibile far desistere noi da volere Villa Lysis come location. Per tutti e due rappresenta un luogo del cuore».
Valeria Golino è stata la sua testimone?
«Lo è stata di Gianluca, il mondano della coppia è lui. Dalla parte mia ci sono soltanto accademici. Gianluca aveva trascinato Valeria a fare la testimone anche a Paros».
Vi siete sposati due volte?
«No, a Paros è stato un matrimonio simbolico. Gianluca ha voluto organizzarmelo a sorpresa un anno prima di quello vero, nel 2021».
Come mai Paros?
«Anche lì, un altro posto del cuore. Poi il sovraintendente delle Cicladi è un mio amico e Gianluca lo ha usato come pretesto per trascinarmi a Paros. Aveva fatto arrivare da Atene anche i ballerini di Sirtaki. Sembrava tutto meraviglioso, ma alla fine è stato un mezzo disastro».
Perché?
«Il compagno di Valeria, Fabio, era arrivato dalla Sardegna dove si era preso il Covid e Salma Hayek, che era lì con il marito, era terrorizzata».
E cosa è successo?
«Alla fine Valeria ha dovuto fare da testimone in videoconferenza dalla stanza d’albergo accanto alla nostra».
Lei e Gianluca siete una coppia omosessuale, vi sentite discriminati?
«No. A cominciare dalla mia famiglia nessuno mi ha mai fatto sentire diverso. Ma non vale».
Cosa non vale?
«Prendere il mio nucleo di famiglia e di affetti come metro delle discriminazioni gay».
Perché dice così?
«Nel mondo dove vivo e lavoro l’omossesualità non è neanche un argomento di conversazione. E mi chiedo: davvero in Italia esistono ancora le discriminazioni per i gay?».