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 2025  maggio 23 Venerdì calendario

Caro Saviano, in Argentina la mafia c’è sempre stata

Intervistato dal programma Pop Corner, Roberto Saviano ha sostenuto che sebbene in Argentina esistano le mafie, non sarebbero italiane. Già l’anno scorso aveva dichiarato a Otto e mezzo: “(Milei) non tocca mai quell’argomento (mafia). Come mai l’Argentina, un Paese di italiani, non ha mai avuto una mafia italiana o italo-argentina forte? Perché ha sempre avuto uno Stato che si è occupato di crimine. Per questo Milei può fare questo tipo di comunicazione, perché una parte dell’Argentina associa polizia e Stato al crimine. Ecco perché a noi sembra bizzarro e strano come lui possa ottenere così tanto consenso”. Se è vero che spesso l’ignoranza è una costruzione – o una carenza – collettiva, allora vale la pena ricordare che Milei – il massimo rappresentante dello Stato argentino, che ha ottenuto il riconoscimento della cittadinanza italiana poco prima del decreto Tajani – parla di mafie dal 2017. Pochi giorni prima dell’inizio della pandemia in Argentina, Milei twittò: “Tra la mafia e lo Stato preferisco la mafia. La mafia ha dei codici, la mafia mantiene le promesse, la mafia non mente, la mafia compete”. Durante la crisi sanitaria il suo discorso si è radicalizzato nel tentativo di intercettare il malcontento generato dalle misure ufficiali, facendo riferimento esplicito al proibizionismo negli anni Venti negli Stati Uniti.
Durante la campagna presidenziale, Milei ha cercato di differenziarsi dai suoi avversari politici attraverso una costruzione del marchio in chiave negativa, senza trascurare il riferimento – ormai di obbligo – alle mafie. È per questo che risulta paradossale che proprio durante il suo governo sia stata promulgata la prima legge “antimafia” nella storia dell’Argentina, che ha ricevuto diverse critiche per il grado di arbitrarietà che ne consente l’applicazione.
Stando alla stampa argentina dell’epoca, l’origine della mafia in Argentina era calabrese e andava cercata verso la fine del XIX secolo, meno nella stigmatizzata Rosario che nel porto di Buenos Aires. Dall’ultima decade del XIX secolo, l’emigrazione italiana in Argentina aveva cominciato a stabilirsi non solo nelle campagne, ma anche nelle aree urbane. L’attività di Gaetano Ganghi era nota a Buenos Aires già dai primi anni del XX secolo. Nato a Napoli, Ganghi era politicamente legato a Carlos Pellegrini, politico d’origine sarda e presidente della Repubblica argentina tra il 1890 e il 1892, e a José Figueroa Alcorta, presidente della nazione tra il 1906 e il 1910. Ganghi risolveva le “raccomandazioni” che quotidianamente riceveva per pratiche relative all’acquisto di cittadinanza, per sfamare qualche bisognoso, e perfino per far uscire di prigione il marito di una moglie disperata. In cambio, Ganghi disponeva dei libretti elettorali durante le elezioni.
Sebbene per Mussolini l’emigrazione rappresentasse una perdita del potere statale, la migrazione di “mafiosi” verso l’Argentina avrebbe contribuito ad alleggerire la situazione interna, sia dal punto di vista economico che criminale. Esiste ampia evidenza nella stampa antifascista in Argentina, sia in italiano che in spagnolo, a sostegno di questa ipotesi.
Tra il 1925 e il 1938, almeno 98 “mafiosi” furono identificati nella cronaca nera de L’Italia del Popolo, quotidiano antifascista stampato in italiano a Buenos Aires. Alla fine degli anni Venti, Crítica, allora il giornale in castigliano più letto in Argentina, anche esso antifascista, stimava che la mafia locale contasse già più di cinquecento membri.
A questo punto, le notizie sulle mafie in Argentina erano ormai meno l’eccezione che la regola. Solo nel 1932 si registrano ben 92 titoli con riferimento esplicito al fenomeno mafioso su Crítica. Quello stesso anno, le mafie locali apparvero in prima pagina almeno otto volte. Tra l’ottobre del 1932 e il febbraio del 1933 si verificarono a Buenos Aires, Córdoba e Santa Fe due sequestri e due omicidi – un medico, un giornalista, il figlio di un ricco imprenditore e il figlio di un medico appartenente all’élite locale – che segnarono un punto di svolta nella visibilità delle mafie italiane in Argentina. Questi eventi ispirarono film – alcuni dei quali furono censurati – come En las garras de la maffia (1933), di Alberto Garignani, Bajo las garras de la mafia (1933), di Ugo Anselmi, e Asesinos (1933), di José García Silva. Alcuni di questi fatti furono attribuiti alla banda di Giovanni Galiffi, un siciliano che da allora monopolizzò il discorso sulla presenza della mafia in Argentina.
Ma negli anni Quaranta, Salvatore Giuliano, Salvatore “Lucky Luciano” Lucania e Tommaso Buscetta, tra gli altri affiliati alla mafia siciliana, ottennero i permessi per emigrare in Argentina. Dati ignorati sia da Francesco Rosi in Salvatore Giuliano (1963), sia da Marco Bellocchio in Il traditore (2019)…
Solo nella prima metà degli anni Settanta il racconto locale sulle mafie italiane fu ripreso dal noto regista Leopoldo Torre Nilsson. La maffia (1972), che fu esibito anche in Italia, suscitò il rifiuto di alcuni settori della collettività calabrese residente in Argentina. Seguirono La flor de la mafia (1974), di Hugo Moser, Los años infames (1975), di Alejandro Doria, Don Carmelo il capo (1976), di Carlos Pellizza, e Contragolpe (1979), di Alejandro Doria. Quest’ultimo fu prodotto dalla Mbc, di proprietà dei fratelli Macri, premiata in Italia con il Sagittario d’Oro nel 1976 per la qualità artistica delle sue produzioni…
Verso la fine degli anni Ottanta, le mafie italiane in Argentina riemersero nel discorso giuridico-poliziesco. Nel 1991, il giudice Giovanni Falcone visitò l’Argentina in missione ufficiale. Dopo la strage di Capaci, il ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli riconobbe il ruolo strategico dell’Argentina nella cooperazione internazionale contro le mafie, che si tradusse nella firma dell’accordo bilaterale su terrorismo, traffico illecito, narcotici e crimine organizzato.
Nel 1994, le autorità giudiziarie argentine ratificarono la sentenza per l’estradizione del calabrese Pasquale Mollica. Un anno dopo, fu confermata la sentenza per la richiesta di estradizione del siciliano Gaetano Fidanzati. Dopo un lungo processo giudiziario, fu emessa la sentenza di estradizione del campano Mario Fabbrocino. Parafrasando Falcone: tre mafiosi in un paese fanno la mafia. Da allora, l’Argentina è stata teatro di diversi arresti internazionali di mafiosi.
Ma una certa visione, di cui Saviano è portatore – sano? – si ostina a sostenere che le mafie italiane in Argentina non siano mai esistite.