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 2025  maggio 23 Venerdì calendario

Due italiani su tre sentono di appartenere alla classe di mezzo

Specchio delle mie brame, chi è il ceto medio di questo reame? Stando al rapporto Cida-Censis, e giocando con i numeri e con le statistiche elaborate nel documento, è prima di tutto la maggioranza del Bel Paese. Due italiani su tre (il 66,1%), infatti, si autodefiniscono «ceto medio». Anche se in questo esercito che ama immaginarsi addosso un bell’abito piccolo borghese e sotto il sedere una Bianchina fantozziana c’è, in realtà, di tutto.
Il 12,8 per cento di chi si candida a rappresentante del ceto medio è costituito da famiglie che hanno un reddito inferiore ai 15.000 euro annui, circa 1.250 euro al mese. Il 45,2% dichiara tra 16 e 35mila euro annui. Un quarto abbondante (27,8%) tra 36 e 50mila, e l’11,5% fra 50 e 90mila. E poi c’è un 2,7% che pur superando i 90mila euro l’anno si sente ancora «ceto medio». Più Tesla che Bianchina, più dismorfismo fiscale che modestia.

L’italiano «medio» del ceto medio è adulto (51,2%, contro un 20,7% di giovani e 28,1% di anziani), abita al Nord (51,8% tra Nord-Ovest e Nord-Est, 21,3 al Centro, 26,9 Sud o Isole) e ha un buon livello d’istruzione (49,7% diplomato, 41,4% laureato, solo l’8,9 per cento ha la licenza media). Infatti, dall’alto dei suoi titoli, più del 75 per cento di questi italiani che son sospesi tra bassi e alti redditi sono insoddisfatti del proprio stipendio, e pensano che dovrebbero guadagnare molto di più. Insomma, al capitale culturale non sembra corrispondere un adeguato ritorno economico.
D’altra parte l’italiano della classe media, anche quando (e se) guadagna bene, è preoccupato e ne ha motivo. In dieci anni, in effetti, proprio le fasce media e alta di questo strato sociale hanno visto sgretolarsi parte della propria ricchezza, con un calo del proprio patrimonio, al netto dell’inflazione, pari a quasi un quinto (19,7%). Nessuno ha fatto peggio: né i ceti popolari e medio bassi (2,9%) né i benestanti (4,3%).
Guardando all’ultimo triennio, metà abbondante degli «italiani di mezzo» (54,1%) sostiene che il proprio reddito sia rimasto stabile. Solo uno su cinque (19,8%) ha avuto un incremento, mentre per gli altri le entrate si sono contratte. Non stupisce che, nello stesso periodo, soltanto l’11,1 per cento di questa borghesia diffusa abbia aumentato i consumi, mentre il resto per metà li ha mantenuti inalterati e per metà li ha ridotti prudenzialmente. Le prospettive non sono rosee (un terzo di questa fascia sociale è in ansia o insicuro per le proprie finanze e prevede che peggioreranno nel prossimo triennio), e il welfare non aiuta: il 40,5% del ceto medio italico dice che è peggiorato negli ultimi tre anni, il 26,9% pensa che non garantisca nemmeno le prestazioni essenziali, e infatti il 44,9 per cento ha sottoscritto almeno uno strumento di welfare integrativo. Anche il fisco, per il ceto medio, è percepito come sproporzionato rispetto ai servizi ottenuti. Il 70,1% chiede un taglio delle imposte sui redditi lordi, e l’81,2% ritiene che lo Stato non restituisca abbastanza in termini di welfare e servizi pubblici.

Eppure se lo Stato sociale perde colpi, la famiglia resta un faro come ammortizzatore sociale. Restando nella classe media, il 41,2% delle famiglie aiuta figli e nipoti, il 65 per cento li ha aiutati o li aiuterà con somme consistenti a comprare casa o l’auto, e quasi la metà di chi è in pensione (46,9) sgancia ai discendenti parte del proprio assegno.
La sfiducia si riflette nel futuro sognato per i figli: più della metà dei genitori di ceto medio (52,8%) li vorrebbe vedere volare all’estero per gli studi universitari, sperando che oltreconfine trovino prospettive migliori.