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 2025  maggio 23 Venerdì calendario

Il disordine mondiale e le regole necessarie

I conflitti del mondo sono da tempo in una fase di stallo e nessuno sembra avere il potere di risolverli. Che cosa sta succedendo? Perché le vecchie regole che hanno tutto sommato garantito per decenni un buon livello di convivenza sono saltate? Che fine hanno fatto le norme internazionali che dopo la Seconda Guerra Mondiale imponevano principi di proporzionalità e di moderazione anche nei conflitti armati? L’instabilità globale ha preso il posto delle poche certezze che ci erano rimaste, e non se ne vede la fine. Il presidente americano Donald Trump aveva fatto credere di avere la soluzione in tasca per Gaza e per l’Ucraina, ma visto inutile ogni tentativo anche lui comincia a defilarsi. Ci sta ora provando papa Leone XIV: il Wall Street Journal ha dato per certo un primo vertice in Vaticano tra i rappresentanti di Mosca e Kiev a metà giugno, anche se il Cremlino ha smentito che se ne sia parlato. La convinzione della maggior parte degli analisti è che il presidente russo Vladimir Putin cercherà solo di prendere tempo: l’estate si avvicina e il suo esercito ne approfitterà per conquistare altre parti dell’Ucraina, rafforzando ulteriormente il suo potere di stabilire le condizioni della pace. Neppure da Israele arrivano segnali incoraggianti. Nonostante la forte pressione internazionale e la condanna unanime per il sanguinoso prolungarsi della risposta militare all’aggressione di Hamas del 7 ottobre 2023, il premier Benjamin Netanyahu sembra deciso a non fermarsi. La sua sopravvivenza politica è possibile solo con una vittoria totale.
Ai tempi della Guerra Fredda, Stati Uniti e Unione Sovietica si erano divisi parti del mondo nelle quali ognuno esercitava, a modo suo, un controllo. La creazione di organismi internazionali come le Nazioni Unite aveva contribuito a rafforzare la stabilità, mentre l’America aveva guidato fin dagli Anni 50 l’evoluzione dell’ordine internazionale e del commercio globale, ampliando la propria influenza culturale ed economica su gran parte dell’umanità. Oggi sappiamo che questi decenni di stabilità hanno avuto il loro rovescio della medaglia: i paesi più potenti ne hanno tratto vantaggi sproporzionati, e se nuova ricchezza è stata certamente distribuita, sono anche aumentati le diseguaglianze e il degrado ambientale. E poi tutto è improvvisamente cambiato. L’assalto al Campidoglio di Washington del 6 gennaio 2021 ha rivelato una nuova fragilità delle democrazie, anche di quelle consolidate nel tempo. Le tecnologie robotiche e l’Intelligenza artificiale hanno cominciato a sconvolgere il mercato del lavoro, mentre la velocità delle informazioni ha reso sempre più difficile distinguere la verità dalle manipolazioni. Il risultato è stato un’erosione della fiducia nei governi e nelle istituzioni, con la ricerca di una soluzione nel nazionalismo populista, nella xenofobia, nel protezionismo e nell’autoritarismo. Molti leader politici sembrano oggi agire al di fuori di ogni regola etica, portati a pensare dagli incoraggiamenti che ricevono sui social che questo sia pure il desiderio di chi li ha votati. Le vecchie regole sono saltate anche nelle guerre: oggi l’uso della violenza indiscriminata, con l’attacco alle infrastrutture civili e alla popolazione, è terribile nei suoi effetti immediati, ma mina nello stesso tempo le norme internazionali, incoraggia altri a fare lo stesso e alimenta ritorsioni. Le guerre non finiscono anche perché sono diventate più difficili da vincere. In Ucraina l’utilizzo di droni e di proiettili a guida autonoma ha reso estremamente rischioso il movimento aperto delle truppe, costrette a proteggersi nelle trincee come si faceva più di un secolo fa. In Israele a impedire la fine della guerra è il fatto che per Netanyahu la vittoria consiste nel controllo totale di Gaza, mentre per Hamas è solo la sopravvivenza dell’organizzazione. Il primo obiettivo richiede ampie distruzioni, anche al costo della vita di molti civili e degli ostaggi. Il secondo è più modesto e facilmente raggiungibile. Anzi, più rovine e vittime ci sono nella Striscia e meglio è, perché il sostegno internazionale a Israele si incrina. I guardiani che per decenni hanno cercato di tenere il mondo tranquillo non ci sono più. Le risoluzioni dell’Onu non vengono rispettate. La Corte penale dell’Aja emette mandati di cattura per crimini contro l’umanità che nessuno esegue, e sprofonda nel ridicolo dopo che il suo capo è costretto a dimettersi per probabili reati sessuali. Putin insegue i suoi obiettivi senza dare retta al presidente americano Donald Trump o all’Unione Europea, e Netanyahu fa lo stesso. Nei rapporti internazionali sembra quasi farsi largo una nuova dottrina: ognuno pensi a se stesso e prenda quello che gli serve.
In Occidente si parla molto degli orrori di Gaza e dell’Ucraina perché le immagini e le testimonianze di questi conflitti fanno parte da mesi della nostra vita quotidiana. Ma ce ne sono decine di altri in corso in Somalia, Niger, Burkina Faso, Eritrea, Sudan, Mozambico, Myanmar, dei quali quasi non si parla. Anche in quei paesi ci sono bambini che muoiono di fame, si contano migliaia di morti e ci sono popolazioni allo stremo che chiedono aiuto. La normalizzazione della violenza è in atto in mezzo mondo, gettando ombre cupe sul futuro dell’umanità. È urgente per la comunità internazionale trovare un nuovo modo di arginare i conflitti, perché quello vecchio non funziona più.