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 2025  maggio 23 Venerdì calendario

Le royalty di Spotify oltre quota 10 miliardi Tra i cantanti però c’è molto scontento

Se ascolti in streaming una canzone su Spotify, quanto guadagna l’artista? Quello che sappiamo è che oggi un abbonamento mensile a un servizio di streaming audio, che offra un comodo accesso a una parte considerevole della storia della musica registrata, costa molto meno dell’acquisto di un singolo album registrato su supporto fisico. Ma di questa accessibilità di prezzo, chi ne sta facendo le spese? Oggi la musica in streaming rappresenta circa l’80% per cento del fatturato dell’industria discografica, motivo per cui si tendono a osservare i numeri positivi della piattaforma più nota, Spotify con i suoi 268 milioni di abbonati paganti (dati marzo 2025) – come un indicatore positivo della salute dell’industria musicale. Secondo “Loud & Clear”, il rapporto annuale di Spotify, le royalties generate dagli artisti italiani su Spotify nel 2024 sono più che triplicate rispetto al 2019, avvicinandosi ai 150 milioni di euro, con un aumento di quasi il 20% solo nell’ultimo anno. Una crescita superiore rispetto al +8,5% di quella del mercato totale della musica registrata in Italia nel 2024, o del +13,6% considerando solo lo streaming. I 2024 è stato anche l’anno in cui Spotify ha distribuito all’industria musicale globale la cifra record di 10 miliardi di dollari, di cui la metà alle major, raggiungendo quasi 60 miliardi complessivi da quando la piattaforma esiste, più di quanto abbia fatto qualsiasi altro servizio competitor e in assoluto la cifra più alta di sempre distribuita in un solo anno.
Nel 2014 Spotify generava il 10% delle entrate annuali globali di musica registrata, una quota salita a oltre il 25% lo scorso anno. Il numero di artisti italiani che ha generato royalties oltre le soglie di 10mila, 50mila e 100mila euro – sottolinea l’azienda – è più che raddoppiato dal 2019 al 2024.
«Lo streaming permette realmente a un numero sempre maggiore di artisti di raggiungere il successo, di farsi conoscere, nel proprio Paese e nel mondo» ha commentato Federica Tremolada, general manager Europe di Spotify, che ha aggiunto «ma la crescita dell’industria musicale non è solo una questione finanziaria, è anche una questione culturale. Stiamo vivendo in un’industria musicale sempre più senza confini, come mai prima d’ora».
Indubbiamente i musiclover sono entusiasti di tutto ciò e del rapporto qualità-prezzo del loro abbonamento mensile – che oggi costa 11 euro al mese ma in Europa potrebbe avere un rialzo di un euro nei prossimi mesi – che garantisce un accesso a un catalogo estesissimo. I musicisti, però, sostengono che il modello di remunerazione della piattaforma svedese, che genera solo pochi centesimi per ascolto, non remuneri gli artisti abbastanza per guadagnarsi da vivere. Secondo il Financial Times questa reazione negativa si è attenuata nel corso degli anni, con la crescita di Spotify che ha portato anche un aumento delle royalties pagate agli artisti, ma l’ostilità resta. La cantante Björk a gennaio aveva dichiarato: «Spotify è probabilmente la cosa peggiore che sia mai capitata ai musicisti».
Di fatto, Spotify versa la maggior parte dei ricavi che riceve dagli utenti abbonati ai titolari dei diritti musicali, tra cui etichette discografiche, editori e altri gruppi, che possiedono i diritti d’autore del suo catalogo musicale. Gli artisti non vengono pagati semplicemente in base al numero di ascolti che i loro brani raggiungono, ma in base alla percentuale di ascolti totali che rappresentano in ogni Paese: nel libro inchiesta della giornalista newyorkese Liz Pelly dal titolo “Mood Machine” si trovano i dettagli tecnici su questo sistema, che in breve paga i detentori dei diritti in base alla percentuale di stream che il loro catalogo genera rispetto al totale degli stream sulla piattaforma in un dato mese.
Secondo Sam Duboff, responsabile marketing e policy per il settore musicale di Spotify, spiega che a essere centrale è “l’engagement”, la fidelizzazione degli utenti che passano sempre più ore sulla piattaforma con musica in sottofondo, attraverso playlist pensate per ogni momento della giornata e curate appositamente da Spotify in collaborazione con licenziatari specializzati in musica funzionale. Di fatto, un’altra strategia che va a discapito della musica e della composizione d’autore. E se il tempo di engagement si alza, a beneficiarne sono i ricavi pubblicitari, considerando che l’advertising arriva agli utenti non premium e sostiene il modello dei podcast. E solo, secondariamente si può ipotizzare che l’engagement possa favorire anche la vendita del merchandising dei musicisti e i biglietti dei loro concerti attraverso Spotify che resta il vero controllore e beneficiario dei ricavi.