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 2025  maggio 22 Giovedì calendario

I sette volti dell’universo giovanile che non studia né lavora

In Italia oltre il 16 per cento dei giovani tra i 15 e i 29 anni risulta inattiva, almeno ufficialmente. La media europea oscilla intorno all’11 per cento. E tra il 2008 ed oggi sono oltre mezzo milione quelli che hanno scelto di andare all’estero: le ragioni del fenomeno
Pur essendosi ridotta, la platea dei giovani Neet, acronimo che significa Not in employement, education or training, pone il nostro Paese al vertice di una classifica europea della quale non possiamo andare fieri. Oltre il 16 per cento dei giovani tra i 15 e i 29 anni risulta inattiva, almeno ufficialmente. La media europea oscilla intorno all’11 per cento. Paesi come Germania e Olanda registrano un rassicurante 7 per cento. Intanto, sempre di più diplomati e laureati sono costretti a lasciare il Paese per cercare un’occupazione migliore e soprattutto salari e stipendi più accettabili. In dieci anni, secondo l’Istat, sono emigrati quasi centomila laureati, l’equivalente degli abitanti di Piacenza. Cioè di una media città italiana tutta abitata da cittadini con formazione terziaria.
Tra il 2008 ed oggi oltre mezzo milione di giovani hanno scelto di andare all’estero. Sono suppergiù la popolazione di Genova, capoluogo della regione più anziana d’Italia che domenica sceglierà il suo nuovo sindaco (o sindaca). Sono questi fenomeni di tale rilevanza che fatichiamo a credere che siano veri. Del resto, dove sono tutti questi Neet? Hanno mai manifestato? Magari lo facessero, sarebbe una buona notizia. Un sintomo della voglia di partecipare, anche scontrandosi con le generazioni più anziane. L’indifferenza e la rassegnazione sono peggio della protesta.
Le ragioni del fenomeno sono state scandagliate a fondo da molte ricerche. Ancora troppi gli abbandoni scolastici (l’Italia è quinta in Europa, ma migliora, con un tasso di dispersione superiore al 10 per cento). Il fenomeno è più accentuato nel Mezzogiorno, con Sicilia e Sardegna oltre il 17 per cento. E poi ci sono la scarsa cultura dell’alternanza scuola-lavoro (largamente avversata), le inefficienze del mercato del lavoro, pochi tirocini e apprendistati. Occorre uno sforzo ulteriore per porre il fenomeno all’attenzione della società e impedire che sia sommerso in una sorta di «intercapedine del nulla», ripostiglio di tante vite e talenti che meritano di avere più attenzione e soprattutto stimoli di riscatto.
Uno studio a cura di Federico Capeci, Valentina Meli ed Endri Basha (Neet, i sette volti di una generazione in attesa, Franco Angeli) cerca di capire come si possano suscitare forme di reazione personale a uno stato oggettivo di disagio o di attesa. Si individuano sette archetipi psicologici. Le categorie dei giovani fragili, sacrificati e disorientati tendono alla passività e all’introversione mentre i sabbatici e gli ambiziosi manifestano una certa assertività. Infine ci sono i cosiddetti svincolati e disillusi che appaiono più estroversi.
Cinque le tensioni scatenanti che vanno sotto l’acronimo Madei. Marginalizzazione (sentirsi esclusi), ansia (troppa pressione), disillusione (da lavori precari), entitlement (merito di più), idea di lavoro (che non è la prosecuzione della vita privata). «Una lente per interpretare la complessità» spiegano gli autori. Messaggio finale: vanno ascoltati di più, giudicati (spesso frettolosamente) di meno. E qualche volta messi, anche duramente, di fronte alla realtà.