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 2025  maggio 22 Giovedì calendario

Negramaro: "Il mondo s’aggiusta con il punk I ragazzi sono pronti a rompere tutto"

I Negramaro arrivano a Torino in un giorno qualsiasi, senza preavviso, salgono sulla Mole, cantano Meraviglioso, il cielo è lo stesso della canzone, il mare manca ma si sente, come sempre quando suonano loro: portare il mare è il talento specifico che hanno. Loro, naturalmente, non lo sanno. Acciuffiamo Giuliano Sangiorgi, il frontman – «Hai visto che fronte che ho? Ne hai mai visto una più grande?» – e Danilo Tasco, il batterista, e li portiamo alla Stampa, girano per la redazione, Sangiorgi sgrana gli occhi, si scusa per il disturbo, dice «è proprio come in un film!». Ci raccontano che sono venuti a Torino, nell’ordine, «prima di tutto a bere uno spritz», poi a vedere la mostra di James Cameron al Museo del Cinema e poi a parlare del tour nei palasport di Free Love (l’ultimo disco, il nono della loro carriera), che parte il 27 settembre e arriva qui il 10 ottobre. «L’ultimo tour nei palasport lo abbiamo fatto nel 2019 e lo avevamo preparato qui, nell’aula bunker del palazzetto, dove gli U2 hanno registrato un pezzo, anche se lo sanno in pochi, durante lo U2 360º Tour, nel 2010», dice Sangiorgi.
I concerti vi piacciono come sempre?
Giuliano Sangiorgi: «Ho un rapporto fisiologico con la musica, se la uso è perché ne ho bisogno. Se prendo una chitarra è per scrivere una canzone. Non subisco più il fascino di uno strumento come quando ero piccolo e solo entrare in un negozio di musica mi faceva impazzire. Ora, quando vado a un concerto, cerco l’emozione più forte che posso provare, ed è una e basta, legata magari a un unico pezzo: quando l’ho avuta, posso andare a casa. Non sono un fanatico, non più. L’unico concerto in cui ho pianto è stato The Wall al Wembley Stadium».
Danilo Tasco: «Non lo facciamo di proposito, ma finiamo con il lavorare anche quando andiamo ai concerti degli altri: ci concentriamo sugli aspetti tecnici di quello che ascoltiamo e vediamo».
GS: «Ecco perché non ascolto più musica prima di andare a dormire, ma solo podcast o classica, perché la classica è talmente immensa che crea una distanza, io non posso che essere ascoltatore di Puccini, e goderne».

Quindi anche i musicisti soffrono la deformazione professionale.
DT: «Diventa più difficile farsi travolgere. Prima del disco di Travis Scott, io per due anni non ho sentito niente di così potente».
GS: «Mi dispiace, ma devo correggerti: Kendrick Lamarr lo batte».
Trovatevi su un punto.
DT: «Diciamo che entrambi i dischi hanno una capacità incredibile, quasi sciamanica, di coinvolgere le persone».
Emozionare il pubblico è il solo compito di un musicista?
GS: «Me lo chiede come se fosse una cosa da poco».
No, giuro.
GS: «Emozionare è un atto politico. La canzone d’amore è un atto politico. Noi, qui, ora, stiamo facendo politica. Ho un rispetto enorme per la musica leggera perché ho un rispetto enorme per la musica e so che non c’è canzone che sia vuota: tutte dicono sempre qualcosa, a volte sono proprio le cosiddette canzonette a trasmettere le emozioni più profonde, la malinconia necessaria a guardare la vita, a fermarsi, a stare in bilico, che è la nostra cosa preferita. Noi siamo la band dello stare in bilico, e facciamo parte della generazione che sta in bilico».
E questo è bene o male?
«È il modo migliore che abbiamo trovato per guardare il mondo. E per continuare a sbagliare, perché sbagliare è importantissimo, e bisogna imparare a farlo: come tutti gli apprendistati, richiede tempo, tentativi, ripetizioni».
Si può stare in bilico e prendere una posizione netta?
«Certo. Eccone una: penso che non possa morire nemmeno un bambino. A Gaza ne sono morti migliaia ed è inaccettabile. Non mi importa il nome che diamo a questo massacro: genocidio o no, io credo sia in corso un umanicidio. E io non voglio morire di questo, non voglio morire dentro perché vedo bambini morire e persone che accettano che esistono vittime di serie A e di serie B. Le guerre vanno fermate e le persone vanno aiutate a non morire in mare. Quelli che mi accusano di dire queste cose perché sto seduto comodo sul divano di casa mia, sono convinto che sarebbero i primi a buttarsi in acqua per salvare un bambino che annega. Al cinismo non ho mai creduto: è una moda, come la cattiveria, che mi ha rotto il cazzo».
DT: «Per qualcuno, gli artisti che prendono posizione sono inopportuni. Invece, la musica è anche questo, e noi suoniamo perché siamo per la vita, e vogliamo prenderci cura della collettività».
Credete che la musica italiana sia promettente?
«Eccome. Il rap e la trap ci hanno aiutati a uscire dalle liriche con frasi brevi, dalle canzoni sintetiche, spostando l’attenzione dell’ascoltatore medio su tante parole. La nostra Perché Mentre tutto scorre ha il rap dentro, Nuvole e lenzuola è un rap melodico, il mio primo disco a otto anni è stato Don’t believe The hype dei Public Enemy, e con questo intendo dire che il rap fa parte della nostra vita e della nostra musica da molto tempo. De Andrè era un rapper, e Com’è profondo il mare potremmo farla diventare il punto zero di un rap melodico».
DT:«Io credo poi che parliamo molto poco dei ragazzi che fanno un altro tipo di musica, sono interessati agli strumenti, e stanno recuperando il cantautorato migliore, rinnovandolo. Ai nostri concerti i ragazzini cantano Meraviglioso. Alcuni credono che sia un pezzo nostro, non sanno chi sia Modugno, ma non importa: conta che una canzone immensa, di molto tempo fa, l’abbiano riconosciuta e amata».
Che facciamo dell’animale che ci portiamo dentro?
GS: «Ci scriviamo le canzoni. Free Love significa liberare anche le nostre passioni e le nostre ossessioni».
Siete due maschi: avete dentro, oltre all’animale, il patriarcato. Lo riconoscete?
GS: «Il patriarcato, purtroppo, lo portano dentro donne e uomini. Faccio parte di Una, nessuna, centomila, sono stato uno dei primi artisti maschi a unirmi, perché credo che la mia figura può aiutare a capire che siamo tutti parte del problema, anche chi, come me, non è sfiorato dall’idea che le donne siano meno che centrali in questo mondo».
DT: «Non ho alcuna difficoltà a definirmi femminista. Ci sono i femminicidi e gli stupri, certo, ma poi ci sono altre forme di prevaricazione molto sottili ma ugualmente inaccettabili e difficili da contrastare perché non si possono denunciare. E ce le ha mostrate il femminismo».
Una cosa bella?
GS: «I ragazzi. Tra dieci anni tornerà il punk, che non è un genere ma una reazione, e loro romperanno tutto. E ci salveranno da tutte le cose che cominciano già a sgretolarsi: influencer e ostentazione della ricchezza. Il passato non ha bisogno di noi per salvarsi: ciò che conta si salva da solo, e torna sempre».
DT: «Come l’amore». —