Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  maggio 21 Mercoledì calendario

La Spoon River dei senza nome

La Spoon River dei morti senza nome è un filare di croci invisibili. Quei cadaveri non li piange nessuno, perché nessuno li cerca. La morte li ha cancellati per sempre. In Italia, al 30 aprile scorso, erano 1.108, un piccolo esercito di vite sconosciute. Rimangono per anni negli obitori, o vengono seppelliti in una tomba anonima con una croce di legno spezzato quando il Comune in cui li hanno trovati può farsi carico delle spese, regalando anche un triste funerale per beneficenza. Seicento e 50 di loro hanno avuto questa sepoltura, grazie a un protocollo firmato da 9 Regioni, che si accollano anche i costi necessari per cercare di dare un’identità a queste morti.
Sono anziani che non hanno più fatto ritorno a casa, persone scomparse e dimenticate, qualche barbone, qualche migrante irregolare, e molti suicidi, soprattutto, impiccati o straziati dalle ruote di un treno. Uomini e donne che hanno vissuto piccole e grandi tragedie, vittime di reati tremendi o di sventure accidentali, accomunati insieme nella morte da un destino comune: quello di essere diventati invisibili. Li hanno trovati sui binari delle ferrovie, nei boschi, nelle baracche, sulle sponde di fiumi e negli ospedali di città come Roma, Milano, Genova.
I numeri sono impressionanti. Nel Lazio sono stati contati 269 cadaveri non identificati, di cui 251 solo a Roma. Su 107 di questi sono stati prelevati campioni biologici, inseriti nella banca dati del dna (69 presentano segni particolari utili per il riconoscimento). Quando non si riesce a dare un nome a questi morti, i loro corpi possono restare in obitorio anche per un tempo indefinito. In Lombardia, prima Regione ad aver sottoscritto il protocollo (seguita da Lazio, Liguria, Puglia, Toscana), i cadaveri non identificati sono 180, di cui 101 a Milano, 8 a Bergamo, 9 a Brescia, 12 a Mantova e 22 a Pavia. In Puglia 65 (25 a Foggia, 12 a Bari e 17 a Brindisi), in Toscana 52 (16 a Firenze, 10 a Pisa), in Liguria 41 (15 a Genova, 17 a Imperia, 6 a Savona). In Sardegna 38.
Nelle nove Regioni che hanno firmato il protocollo, molti di questi morti hanno avuto almeno sepoltura. Il medico legale Dalila Ranalletta, delegata dalla Regione Lazio all’attuazione dell’intesa con le Prefetture e le Procure, spiega che «ogni Comune ha dedicato uno spazio nei propri cimiteri ai cadaveri senza nome, dove i corpi vengono trasferiti solo dopo che la scientifica ha ultimato gli accertamenti, e una volta arrivati i risultati di tutte le analisi. Il nodo da sciogliere è sulle spese da sostenere. Il commissario straordinario del governo è senza portafoglio, ma c’è da far fronte a diversi oneri, come il prelievo del dna e gli accertamenti anche odontoiatrici. I Comuni pagano il trasporto e il seppellimento della salma, con funerali per beneficenza a carico delle diverse amministrazioni. Ma nei Comuni più piccoli, che hanno un bilancio più limitato, queste spese sono difficili da sostenere».
Tutti questi dati, già di per sé abbastanza sconvolgenti, si sommano a quelli sulle persone scomparse, 24mila solo nell’ultimo anno. È un esercito di vite perdute che vaga dentro alle nostre esistenze. La morte che non dà un nome alle sue vittime cancella anche le loro vite. Non si può conoscere la storia di chi non esiste, i suoi dolori, i suoi sogni, la felicità e le ingiustizie patite, le cose che ha fatto o che voleva fare nello spazio del suo tempo e quello che è rimasto di lui, perché tutti noi lasciamo qualcosa quando ce ne andiamo. Per loro non vale nemmeno quello che diceva Sant’Agostino, che «la morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte: è come se fossi nascosto nella stanza accanto».
Ai tempi dei romani e dei greci era ritenuta cosa mostruosa lasciare un cadavere senza sepoltura, perché l’anima così non poteva allontanarsi, soprattutto nel caso di una morte violenta, ed era condannata a vagare sopra la terra a danno dei viventi. In America quelli che hanno avuto la morte da invisibili li chiamano John Doe (lo stesso nome che danno ai testimoni che vogliono restare anonimi), come lo spietato assassino di Seven, se si tratta di uomini, e Jane Doe quando invece sono donne. Ma non c’è salvezza se il nome è finto. È solo quello vero che ti ridà la vita.—