ilfattoquotidiano.it, 21 maggio 2025
Caso Huawei, revoca dell’immunità chiesta per 5 eurodeputati: anche 3 italiani
Sono stati mesi di silenzio dopo il terremoto che ha colpito nuovamente la credibilità dell’Unione europea. La presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, ha parlato davanti all’aula per annunciare che la Procura federale belga ha chiesto la revoca dell’immunità per cinque europarlamentari che considera coinvolti nello scandalo di corruzione che ha portato agli arresti di lobbisti del gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei e alcuni assistenti parlamentari. Tra coloro che, adesso, rischiano di perdere l’immunità ci sono anche gli europarlamentari italiani Fulvio Martusciello, Salvatore De Meo e Giusi Princi, tutti di Forza Italia. Gli altri due sono il bulgaro Nikola Minchev e il maltese Daniel Attard.
Sono passati poco più di due mesi da quando il caso è diventato di dominio pubblico dopo i 21 blitz compiuti dagli agenti belgi, portoghesi e francesi su mandato della Procura federale belga che stava indagando su un presunto giro di mazzette che da Huawei passavano nelle mani di lobbisti e assistenti parlamentari per poi finire nelle tasche anche di europarlamentari. Il motivo va ricercato nella corsa dei colossi delle tlc ad accaparrarsi bandi per lo sviluppo della rete 5G in Europa. Da parte degli Stati Uniti e di anime della politica europea si chiedeva l’esclusione delle società cinesi per motivi di sicurezza interna. Cosa che poi è avvenuta. Per evitarla, è la tesi della Procura, i lobbisti di Huawei spingevano alcuni europarlamentari, dietro ricompensa, a fare pressione sulle istituzioni affinché non escludessero le aziende di Pechino, arrivando a parlare di “razzismo tecnologico“.
La tesi degli inquirenti è supportata da una lettera datata gennaio 2021 nella quale il primo firmatario, Martusciello, e altri sette eurodeputati si appellavano direttamente alla Commissione. Proprio il capodelegazione forzista, oggetto della richiesta di revoca dell’immunità, è uno dei nomi che secondo chi indaga sono al centro di questo sistema. Suo è il conto nel quale finisce una parte dei soldi che si presume arrivino dal colosso cinese, sua è l’assistente, Lucia Luciana Simeone, finita in manette e poi ai domiciliari (prima di mettersi per giorni a disposizione degli inquirenti belgi) per aver ricevuto, anche lei, un bonifico da persone indagate ed è sempre un suo ex assistente, l’attuale lobbista Nuno Wahnon Martins considerato il vero deus ex machina del presunto sistema corruttivo, colui che ha ricevuto e smistato i soldi. Oltre al denaro, europarlamentari e assistenti avrebbero anche ricevuto regali e la possibilità di accedere allo skybox gestito da Huawei all’interno dello stadio dell’Anderlecht per poter assistere alle partite della squadra brussellese.
Prima dell’ufficialità della richiesta di revoca dell’immunità, alcuni degli europarlamentari coinvolti hanno rilasciato dichiarazioni. De Meo, parlando a Euractiv ha spiegato che quello oggetto d’indagine è stato “un incontro conviviale, non organizzato da Huawei, svoltosi al di fuori del Parlamento europeo, al quale sarebbero stati presenti rappresentanti di Huawei. Non ho mai preso posizioni a favore di Huawei, né firmando lettere, né presentando emendamenti, né con alcuna attività legislativa riconducibile ai loro interessi”. Un nome mai emerso fino a oggi è quello di Princi che, anche lei, esclude qualsiasi tipo di responsabilità: “Il mio coinvolgimento nel caso Huawei è un chiaro errore di persona“, ha affermato aggiungendo che si trovava in Italia al momento dell’incontro a cui è accusata di aver partecipato e non avendo ancora assunto il suo ruolo di eurodeputata. “Avendo piena fiducia nella giustizia, confido quindi che questo evidente errore venga chiarito il prima possibile”. Martusciello, invece, mantiene la strategia assunta dall’inizio di questa vicenda evitando di rilasciare dichiarazioni.
Una replica alle accuse ha deciso di farla anche il maltese Attard (Socialisti) che su Facebook ha scritto che i belgi vogliono chiarimenti sulla sua partecipazione, lo scorso settembre a Bruxelles, a una partita di Europa League alla quale ha assistito grazie a biglietti aziendali forniti da Huawei. Ha dichiarato però che all’epoca non sapeva che i biglietti per il match provenissero dal colosso cinese: “È emerso successivamente che l’invito era stato fatto da una persona attualmente indagata dalle autorità belghe e che intendeva parlarmi di Huawei durante la partita”, ha scritto Attard. Il tema, in effetti, è stato discusso. E soprattutto, Attard ha incontrato il lobbista una seconda volta a Strasburgo.
Il membro di Renew Nikola Minchev, anche lui con un assistente, Adam Mouchtar, finito in arresto, ha dichiarato che “non vi è alcuna accusa o imputazione nei miei confronti”. Come Attard, ha affermato di essere stato invitato a una partita dell’Anderlecht lo scorso ottobre: “L’organizzatore è poi risultato coinvolto in un’indagine avviata anni fa”.