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 2025  maggio 22 Giovedì calendario

Toquinho, la vita è un “Acquarello”

Quando lo scrivente era un ginnasiale, ed erano già 20 anni quelli di carriera della “voz do povo do Brasil”, Antonio Pecci Filho, in arte Toquinho, ci fu un incontro sfumato a un passo dal “Paradiso”. Nome del mitico discodancing di Covignano in cui ci presentammo in cinque, tutti ragazzini, per una improbabile intervista con il nostro mito brasiliano: respinti, con quasi perdita di denti, per l’intervento del bodyguard del locale riminese. Questo, Toquinho, lo scoprirà a intervista pubblicata. Una chiacchierata con encomio, senza piaggeria: «Antonio, lei parla un italiano migliore di quello di alcuni nostri ministri al governo». Sorride divertito il 78enne artista di San Paolo, in tour nel nostro Paese che ama, riamato, da sempre. Sul palco del Teatro Arcimboldi di Milano stasera è di scena, con la cantante Camilla Faustino, con “60 anni di carriera”. Toquinho ringrazia per il complimento al suo buon italiano e lo fa pizzicando la chitarra, amata compagna di vita che non abbandonerà un solo istante per tutto il tempo della nostra conversazione. Stesso rito di Pino Daniele. «Lo so che Pino Daniele parlava e intanto suonava la chitarra. La suonava tutto il giorno. Pino è stato un grande della musica, ho rifatto la sua Outra historia, Tutta ’nata storia. Bellissima».
La sua, di storia, con l’Italia, al di là delle radici familiari molisane (emigrati dal paese di Toro) per via paterna e mantovane da parte di madre, cominciò nel lontano 1968.
«Nel ‘68 la legge marziale del regime militare costrinse all’esilio molti brasiliani dissidenti come il grande poeta Chico Buarque de Hollanda che aveva scelto Roma come suo rifugio. Io allora ero un ragazzo e come tutti quelli che credono nella democrazia soffrivo molto la censura, così sono volato a Roma per vedere come viveva Chico. È stato un periodo difficile, ma per un artista le proibizioni e le violenze delle dittature sono spesso anche uno stimolo a reagire e a creare. Perciò quando siamo tornati in Brasile ci sentivamo più forti e pieni di una fantasia rinnovata. La musica non può cambiare un Paese, ma può aiutare a capire meglio la cultura e la politica di quel Paese».
Quando è tornato in Brasile è cominciato il sodalizio Toquinho- Vinícius de Moraes.
«”Poetinha”, così chiamavo Vinícius, è stato un maestro, un artista straordinario che ho amato e con cui ho avuto il privilegio di fare un lungo tratto di strada. Insieme abbiamo pubblicato 30 album, scritto 150 delle mie 450 canzoni e fatto più di mille concerti in tutto il mondo. La sua era un’intelligenza raffinata, Vinícius de Moraes possedeva una sensibilità e un’umanità incredibile, lui è sempre presente nella mia anima e in quella di ogni brasiliano».
Ogni brasiliano usa l’espressione La vita, amico, è l´arte dell´incontro, titolo del vostro album più celebre in cui canta Sergio Endrigo e Giuseppe Ungaretti recita le poesie.
«Fu Vinicius a creare questo incontro davvero ad arte. Ungaretti allora non l’ho conosciuto bene, ero troppo giovane, poi con gli anni ho letto e apprezzato le sue poesie. Endrigo possedeva una musicalità fantastica. Ricordo quel Sanremo del ‘68 che vinse in coppia con Roberto Carlos con Canzone per te. Splendida.
Io che amo solo te di Endrigo è un meraviglioso inno d’amore e per me è universale quanto Volare (accenna alla chitarra Nel blu dipinto di blu) di Domenico Modugno. Oltre a Endrigo, voglio ricordare anche quel grande paroliere e amico di Sergio Bardotti, anima di quel disco».
Musica e parole memorabili rimangono anche quelle dell’album La voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria in cui diventaste un trio: Moraes-Toquinho- Vanoni.
«Quando nel 1976 abbiamo inciso quel disco venivamo già da cinque anni di “pazzeria” e di amicizia con Ornella Vanoni. Poi lei è venuta in Brasile e non ci siamo più persi di vista. L’ho invitata al concerto di Milano? Ornella è sempre invitata e anche se non la invito tanto lei viene lo stesso – sorride –. Comunque è sempre bello riabbracciarla, stare a cena con lei e sentirla raccontare quelle storie divertenti di ieri ma anche quelle di oggi».
Ha lavorato con la Vanoni e anche con la sua storica “antagonista”, Mina.
«Mina l’ho vista solo una volta, nel 1968 quando ha cantato La Banda. Abbiamo parlato cinque minuti, fu molto gentile. Poi attaccò a cantare La banda e non potevi che rimanere incantato da quella tecnica vocale che da sempre la rende unica nel suo genere».
Dopo quell’incontro con Mina ha collaborato con Ennio Morricone alla realizzazione del disco Per un pugno di samba di Chico Buarque.
«Ai tempi, Morricone era un maestro della Rca, molto schivo e professionale che faceva gli arrangiamenti per tanti cantanti pop sotto contratto di quella casa discografica. La sua dimensione è cresciuta nel tempo e solo molto dopo ho realizzato che era diventato il più grande compositore di musiche di film, un musicista da Oscar. Non ho visto il suo docufilm, Ennio, ma appena finisco la tournée lo vedrò».
Di tutti i suoi album da noi quello che si tramanda ancora è Acquarello, canzone hit dell’estate 1983.
«Acquarello è un inno alla tensione della vita. Una canzone ludica e fatalista allo stesso tempo e per questo motivo ha avuto tanto successo. Il senso della vita è che purtroppo “tutto scolorirà”. Cosa resta del nostro passaggio terreno? Resta quello a cui teniamo davvero. Per me resta quello che oggi vedo dalla mia finestra di Milano e il giorno dopo da un altro luogo del mondo. Il problema è riuscire a conservare il meglio possibile questo pianeta per lasciarlo nelle mani della generazione di mio nipote JoãoPedro che ha 8 anni. La speranza è che gli uomini di potere usino il cuore e il cervello e che la smettano di rovinare l’ambiente con i veleni e di avvelenare il mondo intero con le guerre».
Tornando ad Acquarello quell’estate dell’83 Falcao era l’ottavo re di Roma e con Carlo Ancelotti, nuovo ct del Brasile, festeggiavano lo storico 2° scudetto romanista.
«Falcao è un grande amico da sempre. Ancelotti l’ho conosciuto meglio quando era al Milan. I brasiliani che allenava, Kakà, Dida, Serginho mi hanno detto che gli piaceva molto cantare Acquarello e insieme a loro mi ha spedito in dono una maglietta del Milan con la scritta “Toquinho 40” per i miei 40 anni di musica. In Brasile adesso lo aspetta un lavoraccio. Ancelotti deve dare un segnale da grande motivatore vincente qual è, ma ha poco tempo e poi c’è molta confusione intorno alla Seleçao: abbiamo buoni calciatori ma non facciamo un buon calcio. Io ovviamente tifo per lui».
Só tenho tempo pra ser feliz è il titolo del suo spettacolo teatrale. La musica la rende felice e l’avvicina a Dio?
«Fare musica per me è sempre stato un atto di fede. Ma la mia vita, come quella un po’ di tutti, è sempre un misto di voglia e di pazzia. La voglia è quella di lavorare sempre e non lasciare mai nessun progetto indietro. Devo finire un disco strumentale con molte canzoni nuove già pronte da anni. La pazzia esiste dentro di noi, ma la dobbiamo controllare con la ragione, senza però mai rinunciare al sogno, consapevoli che la vita è una mescolanza di tutto ciò che ci circonda e che ci accade, giorno per giorno. Nel titolo dello spettacolo c’è la mia filosofia di vita: ho tempo solo per essere felice».